Questa estate (2005) i due soci sono andati improvvisamente in Terra Santa
e con loro c'era una donna di un paese vicino che da soli 3 mesi aveva
perso il marito (ha poco più di 50 anni). Il marito a suo tempo
aveva tentato di essere chiaro con don Pasquini di fronte ad atteggiamenti
ambigui di quest'ultimo, quindi il rapporto con loro era freddo da anni.
Il primo pensiero nostro è che a loro serviva naturalmente un "coperchio"
ovvero qualcuno con cui coprire delle magagne anche se poi, quando si stancano
di quel coperchio, lo fanno fuori e ne creano un altro. Riprendere il dialogo
con quella signora significava far vedere a tutti quanto loro erano buoni
e sapevano passare sui "torti subìti".
E' un aspetto tipico di don Piero e Daniela sfruttare il momento di debolezza
degli altri. Nel "coccolare" e consolare questa vedova nel suo lutto ancora
fresco, c'era un evidente scopo. Possiamo anche ammettere che non lo abbiano
fatto per denaro (anche se il dubbio un po' di rimane), sarebbe troppo
semplice e chiaro. E' qualcosa di più subdolo, è plagio.
E' comprarsi la stima e la fiducia dell'altro offrendo vicinanza e amicizia
proprio quando l'altro ne ha estremo bisogno. In apparenza quindi farebbero
addirittura del bene.
Quante bugie dette a tutti!
- per esempio
che non c'è la TV (invece è di sopra)
- che i
due soci hanno impegni improrogabili quando qualche coppia vorrebbe fermarsi
la domenica sera e prolungare il soggiorno (non si può far vedere
la realtà di Caresto)
- che i
prodotti del forno sono biologici (le farine provengono dalla Caritas o
sono comunque di normalissima farina bianca e non da grano di provenienza
biologica... però costa moltissimo il pane!)
- che si
vive solo del proprio lavoro, in povertà e umiltà (i soldi
girano a palate e Daniela va fuori spesso ingioiellata vistosamente, tanto
che è la derisione di tutto il paese).
Un altro problemino molto dibattutto e ammiccato in paese di sant'Angelo
è la facilità di costumi di don Piero con alcune donne: cosa
che la prode Daniela ha sempre dovuto digerire male.... ma cosa non si
fa per i soldi?
Per esempio tutti ricorderanno tempo fa una certa X, atea ma che faceva
il giro di varie comunità misticheggianti alla strenua ricerca del
"suo Io".
Alcuni
avevano facilmente notato che don Piero le faceva strette e carezze che
agli occhi maligni del paese andavano forse un po' aldilà dell'affetto
amichevole.
Nel dicembre 2005 è stato paerto un blog di discussione sulla questione
da alcuni giovani di sant'Angelo in Vado ma esso è stato dapprima
oscurato nella sua pagina principale e poi chiuso definitivamente nella
discussione. Non ci è difficile pensare che le pressioni o le minacce
fatte siano state diverse per giungere a questo risultato. Poco dopo è
stato aperto coraggiosamente un blog apposito su questo stesso sito che
ospita queste nostre pagine e che ringraziamo vivamente.
In esso
è giunta una particolare testimonianza che riportiamo per esteso
e che ci offre la misura di certi abusi subiti da alcuni.
#91 12:08, 07 febbraio, 2006
Rispondo
alla domanda di Ley.
Sì,
io a Caresto ci sono stata, per 15 anni.
Mi chiamo
Ornella Carciani e sono giunta a Caresto nel 1986 quando, dopo un tempo
di discernimento vocazionale e sotto la guida del mio padre spirituale
di allora, arrivai a decidere di sperimentare Caresto quale luogo per la
mia consacrazione a Dio e di servizio alla Chiesa. Un ideale e un sogno
che purtroppo non si realizzarono.
Nei miei
15 anni, Caresto assunse varie forme di servizio o, se vogliamo, varie
identità: casa di accoglienza per clochard, centro di spiritualità
per giovani e infine centro di spiritualità per famiglie.
Dall'ultimo
passaggio in poi, cioè dagli anni '90-'92 ai restanti della mia
permanenza, vennero meno quegli strumenti spirituali, già scarsamente
presenti anche prima, necessari a quelle realtà che come Caresto,
si propongono come centri di spiritualità: niente preghiera, niente
meditazione,in 15 anni non mi si diede mai l'opportunità di fare
gli esercizi spirituali, niente formazione, nulla.
L'attività
a cui fui relegata fu quella del forno. Tutti, e dico tutti quelli che
sono passati per Caresto dall’89 al 2000, mi ricorderanno ancora oggi come
"quella che faceva il pane". Nonostante la mia gracile struttura fisica
e con consistenti problemi di salute lavorai duramente al forno per 13
anni, i primi 3 come iscritta alla Coldiretti, i restanti 10 come iscritta
alla Camera di Commercio. Con l'imposizione della cassa comune il mio lavoro,
anche notturno, non venne mai retribuito. I proventi dell'attività
venivano versati direttamente in un conto corrente intestato a don Pasquini
prima, (con un conto presso la Banca delle Marche) o alla Comunità
di Caresto poi, (con la Banca Ambroveneta). Rimasi così intrappolata
per tanti anni. Quando poi iniziai a dire che ero stanca, che non ce la
facevo più a sostenere i ritmi e le fatiche del lavoro al forno,
che volevo anch'io come Daniela, dedicarmi alle famiglie e al servizio
che Caresto svolgeva e per il quale avevo scelto quella vita lasciando
tutto il resto, mi fu detto che ero psicologicamente debole, e probabilmente
depressa. Così fui mandata in cura da un neurologo di Bergamo. A
cura avviata poi mi persuasero che la mia stanchezza e insoddisfazione
derivava da una crisi vocazionale e che si rendeva necessario un tempo
fuori Caresto per "riflettere sulla mia vita e su ciò che volevo
farne" L'opera di convincimento durò vari mesi. Vi posi molta resistenza
perché a me sembrava invece molto chiaro cosa io volessi fare: quello
per cui avevo lasciato la famiglia, gli amici, gli studi, cioè pormi
al servizio della Chiesa e non lavorare notte e giorno al forno, ciò
a cui invece mi vidi costretta da sempre, negli anni. Fiduciosa poi nella
mia ingenuità, che don Piero e Daniela si prodigassero tanto a convincermi
per il mio bene, e non per altri scopi, accettai l’idea e partii. Tornai
dopo un anno e tre mesi, ma non fu possibile rientrare a Caresto. Il forno
era passato a una società che non mi comprendeva (nata durante la
mia assenza) e durante il censimento dell'autunno 2001 mi tolsero la residenza.
Provai il brivido di essere apolide per 48 ore. Non auguro a nessuno di
provare cosa significhi e quale turbamento provochi l’essere cacciati dalla
“propria famiglia”, quale ritenevo che fossero per me don Piero e Daniela.
Come ottennero
che io non rimisi più piede a Caresto (nemmeno a prendere le mie
cose) non è argomento che si possa dire in questa sede.
Il trovarmi
fuori da Caresto fu per me una liberazione, ma l’inganno, le bugie, i sotterfugi
attraverso i quali esso avvenne mi procurò enormi danni morali ed
economici di cui continuo a pagarne ancora oggi le drammatiche conseguenze.
Il mio
vissuto personale a Caresto, a cui non ho fatti qui che solo pochi accenni,
fa riferimento alla vita strettamente privata di Caresto, a quelli che
erano i rapporti e il ménage quotidiano e interno delle uniche persone
che per tanti anni componevano il gruppo, cioè la sottoscritta,
don Piero Pasquini e Daniela Maffei.
Al loro
arrivo i signori Piai e successivamente i signori Calori hanno abitato
a S. Angelo. Questo per dire che nemmeno loro hanno condiviso il “nostro
tetto” e anche per chiedere a tutti il rispetto per quanto ho detto; rispetto
e umiltà nel non voler presumere di conoscere ciò che nessuno
poteva allora conoscere, dato il carattere privato dei fatti intercorsi
e dato l’implicito obbligo al silenzio che avevamo verso gli esterni circa
i rapporti e gli affari interni e privati della “comunità”, dai
quali erano esclusi anche i Piai e i Calori nei primi anni successivi al
loro arrivo e finché durò la mia permanenza.
Questo è
un racconto personale, una testimonianza che non ha e non può avere
qui l'elencazione di fatti e dati che meglio descriverebbero quanto ho
esposto. In ogni caso le prove a cui qualcuno si richiamava, la documentazione
circostanziata a sostegno di tutto ciò, è depositata presso
le autorità ecclesiastiche
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