Le fasi iniziali le abbiamo conosciute inizialmente soltanto dalla vulgata assai mitizzata dei “fondatori” e solo ultimamente dai testimoni della parte opposta.
All'inizio
Daniela frequentava l'oratorio dove don Pietro, appena ordinato, era stato
mandato come cappellano.
In quel
periodo vi furono a sant'Angelo diverse fazioni, divisioni, scandali eccetera
tanto che anche le autorità decisero di intervenire e per un certo
periodo arrivarono a sospendere e allontanare don Pietro dalla parrocchia
(che infatti non poteva dire neanche messa a sant'Angelo).
Don Pietro
si rifugiò a Caresto, vivendo da solo e cercando di ricostruire
l'antico borgo insieme ad alcuni giovani del paese.
Nel 1979
si stabilisce definitivamente a Caresto.
Daniela
lo segue a Caresto ma per un lungo periodo vive la sua giornata a Caresto
ma torna a dormire la sera dai genitori in paese.
I primi
a stabilirsi a Caresto sono una famiglia di Milano di provenienza hippie,
ma questi se ne vanno fin troppo presto.
Li segue
un'altra famiglia l'A., lui è un medico. Poco dopo si stabilisce
definitivamente a Caresto anche Daniela, mentre gli A. spariscono a loro
volta dalla storia-Caresto.
Negli anni
1980 una famiglia di Milano propone a caresto l'attività e la metodologia
di "Incontro Matrimoniale" e don Piero vi si lancia insieme ad alcune coppie
dell'urbinate (coppie un po' "alternative" non troppo soggette alle cure
ecclesiali).
Gli incontri
del week end di Incontro Matrimoniale cominciano a prendere piede a Caresto
che ha una struttura immobiliare che li favorisce ma ben presto le coppie
che ne facevano parte vengono allontanate e don Pietro pubblica una serie
di libri sulla "spiritualità carestina" usando e copiando spregiudicatamente
le dispense usate dal metodo di Incontro Matrimoniale (che non avevano
un copyright depositato).
Il filone
delle coppie ha un buon mercato e quindi negli anni '90 inizia la vera
storia della "comunità" per coppie tanto conosciuta al giorno d'oggi.
La storia
di Caresto comunque non è che la storia di don Piero e Daniela.
E fin dall’inizio la “comunità” non appariva nient’altro che un
espediente per coprire e legittimare la loro relazione.
A chi oggi
obietta che non appare credibile l’intento di dissimulare una storia proibita
con un’impresa di grande risonanza come quella attuale, rispondiamo che
così non era all’inizio. Che lo sviluppo recente è il frutto
di meccanismi e avvenimenti imprevedibili all’inizio.
Che Caresto
sia il frutto ambiguo e contorto di quella relazione altrettanto contorta
e ambigua è confermato dal fatto che il primissimo intento dei due
fu proprio quello di ottenere una certa legittimazione alla loro convivenza
proprio all’interno della cerchia di persone che approdavano a Caresto.
E lo facevano motivando e modulando il carattere della loro convivenza
secondo quello degli interlocutori. Andavano dalla franchezza esplicita
verso chi poteva simpatizzare se non addirittura condividere la loro “scelta”
alla dissimulazione più o meno marcata a seconda delle convinzioni
contrarie. Ma accadde anche che i conviventi fossero costretti alla franchezza
da chi li colse in flagrante, disapprovò energicamente e se ne andò
sbattendo la porta.
Abbiamo
conosciuto una coppia che fecero quest’esperienza, tentarono di denunciarla
alla Chiesa ma ne rimasero a tal punto segnati che oggi non ne vogliono
più sapere di aprir bocca.
Distingueremmo comunque la storia di Caresto in due grandi fasi: prima e dopo il ’90.
Prima del
’90 la “comunità” ha conosciuto diverse edizioni tutte più
o meno ispirate al progressismo sessantottino e postconciliare.
Ma, col
senno di poi, ci verrebbe da dire che quel progressismo veniva abilmente
strumentalizzato e condiviso solo nei suoi aspetti barricaderi e libertini.
Allo stesso modo in cui dal ’90 in poi tornò utile alla “comunità”
sventolare la bandiera della moderazione, se non della conservazione.
In questo
primo periodo che va dagli anni settanta al ’90 ( anche se ci pare che
la comunità divenisse residenziale solo a partire dagli anni ’80
), le persone che approdavano a Caresto provenivano tanto dalla variegata
galassia della gioventù cattolica e non ( giovani scontenti dell’Istituzione
e desiderosi di radicalità evangelica, altri più semplicemente
alla ricerca di un’esperienza diversa o originale) che dal serbatoio dei
bisognosi assistiti dalla Caritas (tossicodipendenti, girovaghi, psicolabili
etc..) di cui don Pasquini era il rappresentante diocesano e in funzione
della quale provò per un certo tempo a giustificare e promuovere
la sua “comunità”.
Le persone
venivano circuite nel momento del bisogno o in quello dell’entusiasmo,
a seconda degli ambiti di provenienza, invogliate a far parte della comunità
e “conservate” finché non si presentava l’opportunità di
un avvicendamento migliore. Infatti alle tensioni di una normale comunità
qui si aggiungevano quelle di una comunità anomala in cui il prete
era già “occupato”. Le relazioni comunitarie che ci si sarebbe attesi
normalmente strutturate attorno alla figura del prete andavano qui ridisegnate
in funzione di questa “coppia” implicita”, dei suoi meccanismi di dissimulazione
e dei suoi interessi. Non dimentichiamo che era proprio la figura del prete
diverso, con una comunità diversa, più informale ma allo
stesso tempo radicale, con una storia battagliera alle spalle, che attirava
a Caresto. Una volta a Caresto però, questa idealizzazione del prete
radicale, da battaglia, alla don Milani, svaniva rapidamente e appariva
…una coppia! Indefinibile ma realissima, con le sue esigenze e le
sue pretese. Il prete disponibile dei primi incontri nascondeva un uomo
grigio, freddo, interessato solo alla sua Daniela e al restauro di
Caresto, disorientato tra disobbedienze civili, campagne Amnesty, puntigli
antiliturgici e una scrupolosa pragmatica – anzi cinica - attenzione alla
politica ecclesiale locale, abilissimo dissimulatore di convinzioni – se
mai ne ebbe – fatti e intenzioni.
Don Piero
semplicemente non c’era, né come uomo men che meno come prete. Ma
viveva di rendita sulla devozione incondizionata che come uomo gli tributava
Daniela e sul rispetto e sul prestigio che per inveterata tradizione al
prete è dovuto da chiunque all’interno della nostra cultura.
Accanto
a lui: Daniela; apparentemente una di noi, per status ed età. Ma
la calda accoglienza di cui indubbiamente era capace si smorzava poco alla
volta in distanze e vicinanze calcolate lì per lì inspiegabili,
poi sempre più comprensibili. In realtà essa viveva per don
Piero soltanto.
Un rapporto
controllatissimo che pensiamo la facesse molto soffrire all'inizio. La
caricava di tensioni che non potevano non influenzare il suo ruolo. S’intuiva
che il suo temperamento e il suo carattere erano stati tutt’altra cosa
da come ormai li stava trasformando don Piero. Doveva aver avuto un’umanità
ricca e passionale, che ora utilizzava per conoscere e per difendersi dalla
concorrenza comunitaria, una lucidità d’intelligenza e una determinazione
ideali in una madre di famiglia che qui si mutavano in cinismo calcolatore,
insensibile, a volte vendicativo.
Inizialmente
la sua confidenza con don Piero veniva spiegata con la sua precedenza a
Caresto. Ma un po’ alla volta la loro relazione prendeva forma. Suscitando
reazioni differenziate a seconda della prospettiva. I cattolici la sublimavano
spiegandola come una grande “amicizia spirituale”, i laici la trovavano
perfettamente accettabile…in teoria! Perché in pratica i due avevano
dei metodi davvero poco democratici per imporre i loro punti di vista,
i loro progetti. Che si spingevano fino a pianificare la vita intima delle
persone. Chi non si adeguava veniva tollerato in mancanza di ricambio,
rimpiazzato non appena se ne presentava l’opportunità. Ma spesso
veniva eliminato anche chi si era adeguato, bastava che “non servisse più”
(espressione frequentissima di don Pasquini e a parer nostro assai rivelatrice
del suo modo di intendere le relazioni interpersonali ) .
La selezione
era così disinvolta che spesso bastava un nuovo arrivo per mettere
in moto la macchina dell’espulsione del dissenziente o dell’inutile di
turno. Si istituiva prontamente un processo di staliniana memoria opportunamente
paludato da democratica riunione comunitaria, spesso per giunta nella cornice
di una “confessione comunitaria” o di “esercizi spirituali” che oggi ci
paiono solo una farsa indegna perfino di quest’ultima qualifica.
In questo
ventennio si sono avvicendate tante edizioni che risulta difficile perfino
tenerne il conto.
Molti di noi ricordano a mo' d’esempio il caso di W.: era una giovane con gravi problemi di schizofrenia e con un divorzio alle spalle, fu convinta a pronunciare delle promesse di povertà, obbedienza e castità e a versare di conseguenza alla comunità l’ingente importo (60 o 70 Milioni di lire: a metà degli anni ottanta erano soldini!) degli arretrati della sua pensione di invalidità testé riconosciutagli. Nel volger di poco tempo fu congedata dalla “comunità” naturalmente alleggerita del sostanzioso gruzzolo.
La seconda
fase inizia nei primi anni 90. Quando la “comunità” può finalmente
permettersi di far a meno della …comunità! Cioè della vita
comune. Come può avvenire ciò?
Da una
parte dopo vent’anni di tenace, dosata esposizione locale, la “coppia”
s’è finalmente imposta alla chiesa locale, almeno a quella ufficiale
(complice la santa ingenuità di un vescovo la cui santità
all’epoca veniva evocata come ironico sinonimo della sua sprovvedutezza
ma che ora pare diventare materia di una causa di canonizzazione) guadagnando
prestigio e credibilità.
Dall’altra
lo scarsissimo impegno comunitario comportato dal “turismo religioso” attirato
a Caresto da una efficace campagna promozionale (Caresto diventa ora la
meta di ospiti occasionali o periodici che non vi si fermano che per pochi
giorni: il fine settimana o raramente l’intera settimana) permette ai due
di avvicinarsi parecchio all’agognata quadratura del cerchio: l’immagine
comunitaria può venir garantita in quel periodo a don Piero e Daniela
dalla sola Ornella, allora unica superstite degli avvicendamenti, prima
di essere debitamente allontanata anch'essa.. Ornella è una persona
emblematica e evanescente nel ricordo di quel periodo, che si riusciva
ad avvicinare raramente.
Come accennato
sopra in questa seconda fase l’orientamento ideologico di Caresto si sposta
decisamente verso un opportunismo calcolato ma evidente, a volta perfino
ridicolo: don Piero arriva a pubblicare sul giornale diocesano articoli
di aperta dissociazione da realtà familiari e associative locali
“alternative” che aveva corteggiato e spesso ospitato a Caresto per almeno
un decennio. Ora tutti i bisognosi che per abitudine si dirigono a Caresto,
vengono allontanati in malo modo. Non si perde occasione per ribadire che
ora a Caresto ci va “gente normale”, “gente perbene”. Si vuol far a tutti
i costi rimuovere il ricordo di Caresto ricovero “di sbandati”.
Perché
questa vergogna del proprio passato? Di un servizio che, svolto con spirito
evangelico, avrebbe dovuto semmai inorgoglire?
Non è
questo un contrappasso rivelatore non solo delle vere intenzioni con cui
veniva svolto quel servizio, ma anche della cattiva coscienza di chi lo
svolgeva? Intendo dire: non solo don Piero e Daniela in realtà s’erano
serviti di coloro che dicevano di servire (e in realtà erano gli
altri ospiti a svolgere queste mansioni di servizio ai disagiati), ma erano
loro stessi a sentirsi degli “sbandati” e probabilmente lo erano e … lo
sono ancora, oggi più che mai, nonostante il felice decennio di
successo e di idillio istituzionale. Allora comunque, ottenuto finalmente
con tanta fatica e ostinazione uno status ufficiale importante nella diocesi,
dovevano per forza tener lontani i parenti poveri d’un tempo, possibilmente
cancellarne perfino il ricordo.
Appartiene a questa seconda fase la specializzazione “familiare” di Caresto. La cui genesi meriterebbe un’attenzione particolare. Secondo noi essa venne a salvare Caresto dalla nevrotica apatia di quei tempi e, forse, dallo sfascio inevitabile. Infatti nel 90-91 dopo tante edizioni fantoccio la comunità sembrava pervenuta ad un punto morto. Il trio don Piero, Daniela e Ornella dava sempre più a chi li frequentava/conosceva bene l’impressione di un sodalizio cementato ormai soltanto da complicità inespresse ma certamente frustranti fino alla nevrosi.
Diciamo
questo perché ancor oggi in paese c’è chi idealizza la relazione
di don Piero e Daniela come si trattasse di una tenera e appassionata storia
d’amore degna almeno del rispetto dovuto ai sentimenti sinceri e agli amori
impossibili e legittima la loro unione quasi si trattasse di novelli Dante
e Betarice. Nessuno immagina l’enorme prezzo umano pagato dagli sfortunati
che portavano il peso delle loro complicità e delle loro ambizioni.
Nessuno immagina come la stessa Daniela sia la prima vittima di don Piero
e come lo siano ora le coppie che fungono da corollario alla "comunità"
e che non sanno come uscirne. La realtà, la triste realtà
è che don Piero è un uomo sostanzialmente infedele, come
prete e come amante. Oggi questa è una realtà assolutamente
evidente e abbondantemente provata, e credo permetta di rileggere e decifrare
la storia di questi quindici anni come una grande saga dell’infedeltà.
Nel
‘90 Daniela appariva fortemente disorientata e alla ricerca di un’identità
nuova . Viaggiava molto, in lungo e in largo, con una frenesia e un’insoddisfazione
sospette e spesso da lei stessa ammesse anzi direi quasi esibite con argomentazioni
autogiustificatorie che parevano voler stornare da quelle reali. In realtà
il suo pareva il comportamento tipico della donna delusa e abbandonata.
Don Piero e Daniela insomma, apparivano obbligati a Caresto più
da inespresse complicità che da un amore vero. Ancor meno dagli
ideali religiosi professati: un occhio poco più che avvezzo notava
presto la più totale assenza di una vera vita spirituale a Caresto.
La stessa preghiera (comune ) era ridotta ad una comparsata scadente da
sceneggiare alla meno peggio agli ospiti del momento, ma che si accantonava
senza alcun imbarazzo non appena questi partivano.
Fu l’istinto
commerciale (o imprenditoriale) di don Pasquini che intervenne a fornire
la chiave di volta alla situazione…
Cominciò
coll’organizzare incontri tra i movimenti familiari cattolici e a reclamizzarli
opportunamente, continuò col reclutare gli organizzatori - e la
clientela! - di “Incontro matrimoniale”, col frodare i loro metodi a
tal
punto da pubblicare i libri di Caresto usando delle dispense di Incontro
Matrimoniale che non avevano all'epoca il copyright. Tutto questo, coordinato
da un’ abile campagna promozionale sulle più importanti testate
cattoliche, produsse un po’ alla volta quel “miracolo economico” che a
molti pare anche spirituale. La disorientata Daniela ridivenne in breve
la sicura “co-fondatrice”d’un tempo, si riciclò e autopromosse a
maestra dello spirito, esperta consulente matrimoniale…
Ne guadagnò
perfino in fascino esteriore: smessa la sciatteria pseudo-francescana d’un
tempo, sfoderò un insospettato e raffinato gusto per l’abbigliamento
(naturalmente firmato) e per i gioielli. Cosa che fa tuttora chiacchierare
le “male lingue” locali ma che pare sedurre e affascinare oltremodo/non
turbare affatto i turisti dello spirito di mezza Italia.
Con l’uscita
di Ornella, don Piero e Daniela poterono finalmente coronare il sogno di
una comunità senza vita comunitaria. Giacché le due famiglie
esibite come comunità, a Caresto nemmeno dormono – abitano infatti
in paese e ai “Palazzi”- ma solo intervengono nelle comparsate dei Week-end
ai turisti.
Ecco
spiegato l’arcano del successo “carestino”.
Con in più
una postilla. Sui clienti tipo di Caresto. Su quei turisti (e ci sforziamo
di dar al termine un’accezione puramente tecnica) dello spirito che conosciamo
abbastanza bene.
Tutta brava
gente – intendiamoci - stanca del trantran quotidiano tra l’azienda, la
parrocchia ( parrocchie che non sono poi così male come l’abitudine
fa loro sembrare) le scuole dei figli, l’asfalto, il cemento, l’afa d’estate,
la nebbia d’inverno eccetera eccetera. Tutta questa brava gente arriva
predisposta dai propri bisogni e dalla propria formazione religiosa a farsi
suggestionare dal positivo che c’è ( un invidiabile ambiente bucolico,
paesaggio agreste con chiesetta rustica, pane integrale dal forno a legna,
eccetera,) e soprattutto da quel che non c’è, che si vorrebbe tanto
trovare, che viene accuratamente imbandito per la loro voracità
senza gusto: una frugalità falsa e..costosa ,una falsa convivialità
e un’accoglienza interessata, soprattutto una falsa comunità, inesistente
(suvvia: ma a chi verrebbe in mente di sospettarlo?), una falsa sintonìa
con la parrocchia locale presentata addirittura a modello per le
parrocchie d’origine (ma il confronto tra le parrocchie dei clienti veneti
di Caresto e quella di Sant'Angelo andrebbe certamente rovesciato).
Quante
volte sentivamo da dietro la gente che magnificava la bellezza del clima
di quei colli, la suggestione di quelle piazze medievali…come se fossero
opera di don Piero e Daniela! Che magari avevan visto solo di sfuggita,
come di sfuggita avevano visto quelle due famiglie, e li avevan sentiti
sciorinare tutte quelle ovvietà sul matrimonio, l’amore, il dialogo,
il perdono, che dette dal loro parroco fan scendere la noia fino ai calcagni,
ma dette lì, sugli ameni colli preappenninici da gente che ti racconta
che non guarda la TV (e mente) che vive in comunità (e mente) che
è il faro e il lievito della parrocchia (e ciò è verissimo
ma riguardo a valori assolutamente non cristiani) che è povera e
vive di provvidenza (ed è falso perché gli uditori non lo
sanno ma perfino le loro buste delle offerte sono segretamente contrassegnate
per poterne poi riconoscere l‘entità e quindi “selezionarli” proprio
in funzione del loro “contributo”)…tutto ciò detto qui e da costoro
ricrea la magia del monte delle beatitudini! E chi ha il coraggio di sciogliere
un tale incanto? E dove trovare gli argomenti per far ragionare chi ha
già “deciso”? Dove, soprattutto, trovare la forza e la faccia per
resistere alla taccia di sacrilego, calunniatore, diavolo profanatore di
un sogno così ben sognato? Come chiarire il madornale equivoco in
cui sono caduti?
Loro, i
turisti dello spirito, non lo sanno, ma sono loro con le loro idealizzazioni
che fanno e sostengono Caresto, non il contrario.
Don Piero
da buon commerciante ha intuito il bisogno e ha esposto un prodotto contraffatto,
adatto appunto ai turisti, che sta al contenuto vero come le gondolette-suovenir
veneziane stanno ai vaporetti…e ai mosaici di S.Marco.
E’ così
che Daniela ha potuto riemergere dalle sue frustrazioni attraverso il prestigio
di un ruolo finalmente appagante le sue ambizioni e compensante le sue
frustrazioni. Similmente le due famiglie hanno gratificazioni di prestigio
e convenienze economiche non indifferenti.