La misura del benessere dei popoli
 



di Andrea Mancia EMPORION on line n° 23  del 15 gennaio 2003



La Heritage Foundation è, molto probabilmente, il "think tank" più autorevole del mondo liberista e conservatore statunitense. Forte dei suoi 250mila finanziatori privati (non sono accettati aiuti pubblici o commesse esterne), la fondazione si propone, come si legge nello statuto, di "elaborare e promuovere strategie politiche basate sui principi del libero mercato, della limitazione dell'interventismo statale, delle libertà individuali, dei valori tradizionali americani e della difesa nazionale". Per raggiungere questi obiettivi, lo staff della Heritage Foundation produce periodicamente ricerche dedicate all'approfondimento di alcuni temi-chiave della politica interna ed estera statunitense. E cerca poi, spesso con efficacia, di coinvolgere nella discussione intorno ai temi affrontati la classe dirigente Usa: i componenti del Congresso e dell'esecutivo, i mass-media e la comunità accademica.

Tra tutte le attività svolte dalla Fondazione, in ogni caso, nessuna può essere consideratà più utile ed interessante della pubblicazione dell’Index of Economic Freedom, elaborato ogni anno (a partire dal 1995) in collaborazione con il Wall Street Journal. L’indice misura in modo sintetico il grado di libertà economica esistente in un numero crescente di paesi (156 stati nell’ultima edizione). L’analisi affronta una cinquantina di variabili indipendenti che vengono poi raggruppate in 10 fattori-chiave: politiche commerciali, pressione fiscale, intervento pubblico nell’economia, politiche monetarie, flussi di capitali e investimenti stranieri, attività bancaria, salari e prezzi, diritti di proprietà, regolazione, mercato nero. Ogni paese riceve, in ognuno di questi fattori, un punteggio compreso tra 1,00 (massimo grado di libertà economica) e 5,00 (minimo grado di libertà economica). E la media ponderata di questi risultati fornisce il punteggio finale complessivo (indicatore del grado di libertà economica) per ciascuno stato. Punteggi tra 1,00 e 1,95 connotano paesi come "liberi", tra 2,00 e 2,95 "prevalentemente liberi", tra 3,00 e 3,95 "prevalentemente non liberi", tra 4,00 e 5,00 "repressi".

Una sorta di “Top Ten” della libertà economica, dunque, che però fornisce diversi elementi di valutazione per la comprensione della natura e delle dinamiche dei sistemi politici. Come dimostrato ampiamente dai curatori dell’Index, infatti, il grado di libertà economica di un paese è strettamente ed indissolubilmente correlato con il suo tasso di sviluppo e prosperità. I cittadini dei paesi "liberi" guadagnano più del doppio - a parità di potere d'acquisto - di quelli che vivono in paesi "prevalentemente liberi" (26.855 dollari pro-capite contro 12.569). Per non parlare dei salari medi dei paesi "repressi" (3.585 dollari all'anno). Si tratta di un dato di fatto quasi scontato, che dovrebbe però far riflettere i tenaci avversari di qualsiasi politica orientata verso la “liberazione” del mercato ma anche (e soprattutto) i governanti del mondo occidentale.

Nel passaggio dal 2002 al 2003, malgrado il difficile periodo di transizione dell’economia mondiale, 74 nazioni hanno fatto registrare un punteggio migliore rispetto all'anno precedente, mentre 49 paesi hanno peggiorato la loro valutazione (e 32 hanno lo stesso "score"). In ultima analisi, 15 nazioni sono considerate "libere", 56 "prevalentemente libere", 76 "prevalentemente non libere" e 11 "represse". La macroregione più libera, naturalmente, resta quella composta da Nord-America ed Europa, che raggruppa 6 delle 10 nazioni con il punteggio più alto. Mentre le altre quattro (Hong Kong, Singapore, Nuova Zelanda e Australia) sono ex-colonie britanniche anch'esse "baciate" dalla Rule of Law. Delle 26 nazioni dell'area latino-americana e caraibica, invece, 11 hanno un risultato migliore rispetto all'Index del 2002, mentre 10 sono peggiorate. Merita una citazione, malgrado una lieve inversione di tendenza, l'economia cilena, che resta l'unica "libera" del sub-continente. Vanno meglio le cose anche in Nord Africa e Medio Oriente (11 paesi in crescita, 5 in calo), nella regione sub-sahariana (19-13) e in quella che comprende Asia e Pacifico (15-9). Tra le nazioni che si segnalano per la crescita maggiore rispetto allo scorso anno, spiccano Madagascar, Libia, Islanda, Sud Africa, Slovenia e Croazia. Mentre peggiora ancora una volta l'Argentina, che ha ottenuto un pesante 0.45 in meno rispetto al 2002. Negli ultimi due anni, l'Argentina ha perso addirittuta 0.85 punti e si trova ormai al "confine" con i paesi "prevalentemente non liberi". E poi dicono che la colpa è del libero mercato...

15 gennaio 2003

mancia@ideazione.com







questo articolo è tratto da un elenco di documenti riguardanti i "neoconservatori" o "neocon" americani presenti sul sito di Fisica/Mente. Non rispecchia quindi necessariamente l'opinione del curatore del sito Kelebek. Fare clic qui per la pagina principale di questa parte del sito, dedicata ai neoconservatori.




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