IL TERRORISMO DI STATO AMERICANO
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Jean Ziegler
Niente e nessuno è in grado di portare un argomento qualsiasi per spiegare o
scusare il massacro di quasi 3000 uomini e donne di 62 nazionalità a New York,
la mattina dell'11 settembre 2001. Occorre perseguirne gli artefici,
arrestarli, giudicarli, condannarli. Il crimine commesso a New York è un orrore
che si è profondamente ancorato nella coscienza degli uomini civili.
Ma l'uso politico che il presidente George W. Bush fa dell'indignazione,
dell'orrore suscitati dal massacro di New York è esecrabile. L'impero americano
si serve di quelle vittime per rinforzare il suo dominio egemone sul mondo.
Fra tutte le oligarchie che insieme costituiscono il cartello dei padroni del
mondo, quella nordamericana è di gran lunga la più potente, la più creativa, la
più viva. Essa ha colonizzato lo Stato molto prima del 1991, trasformandolo in
strumento prezioso ed efficace della realizzazione dei propri interessi
privati.
Considerare gli Stati Uniti un semplice Stato "nazionale" non ha
alcun senso. Gli Stati Uniti sono un vero e proprio impero, le cui forze armate
- terrestri, navali, aeree e spaziali -, i sistemi internazionali di ascolto,
gli apparati giganteschi di spionaggio e d'informazione garantiscono
l'espansione costante dell'ordine oligarchico del pianeta. Senza quest'impero e
la sua forza d'urto militare e poliziesca, il cartello dei padroni del mondo
non potrebbe sopravvivere.
La potenza militare, un tempo costruita per affrontare l'Unione sovietica,
serve oggi a proteggere l'ordine del capitale finanziario mondializzato. Questo
colossale apparecchio imperialista si sviluppa in modo quasi autonomo. Ha le
proprie leggi, la propria particolare dinamica. Ereditato dalla guerra fredda,
rivitalizzato, aggiunge la propria violenza a quella del capitale.
Marco Aurelio lanciava quest'avvertimento già 2000 anni fa: Imperium superat
regnum (l'impero è superiore al regno, ossia a tutti gli altri poteri). La
lezione fu impartita dagli imperatori romani a numerosi popoli d'Occidente e
d'Oriente. Le oligarchie capitaliste contemporanee procedono allo stesso modo.
Il loro impero ha le meglio su tutte le altre potenze. L'ordine imperialista
distrugge necessariamente gli Stati nazionali e ogni altra nazionalità che gli
volesse opporre resistenza.
L'arroganza dell'impero americano è senza limite. Ascoltiamo il suo proclama:
Siamo al centro, e al centro intendiamo restare [...]. Gli Stati Uniti devono
guidare il mondo tenendo alta la fiaccola morale, politica e militare del
diritto e della forza, e proporsi come esempio a tutti i popoli della terra[1]".
A chi appartengono queste parole? A un oscuro fanatico di una di quelle
innumerevoli sette xenofobe e razziste che pullulano negli Stati Uniti? A un
membro protofascista della John Birch Society o del Ku Klux Klan? Siete fuori strada!
L'autore si chiama Jesse Helms. Dal 1995 al 2001 ha presieduto la commissione
degli Affari esteri del Senato americano. A questo titolo è stato un attore
essenziale della politica estera di Washington.
Gli fa eco l'editorialista Charles Krauthammer: "L'America scavalca il
mondo come un gigante [...]. Da quando Roma distrusse Cartagine, nessun'altra
grande potenza si è innalzata al culmine cui siamo giunti noi[2]".
Ancora più esplicito Thomas Friedman, consigliere speciale della segretaria di
Stato Madeleine Albright durante l'amministrazione Clinton: "Per far
funzionare la mondializzazione, l'America non deve aver paura di agire come la
superpotenza invincibile che in effetti è [...]. La mano invisibile del mercato
non funzionerà mai senza un pugno invisibile. McDonald's non può espandersi
senza McDonnel Douglas, il fabbricante dell'F-15. E il pugno invisibile che
garantisce la sicurezza mondiale della tecnologia della Silicon Valley si
chiama esercito, aviazione, forza navale e corpo dei marines degli Stati Uniti[3]".
Il dogma ultraliberale predicato dai dirigenti di Washington e di Wall Street è
ispirato da un egoismo formidabile, da un rifiuto quasi totale di ogni idea di
solidarietà internazionale e da una volontà assoluta di imporre le loro mire ai
popoli del pianeta.
Così gli Stati Uniti hanno sconcertato il mondo rifiutando di ratificare la
convenzione internazionale che vietava la produzione, la diffusione e la
vendita di mine anti-uomo.
Si sono anche opposti al principio stesso di una giustizia internazionale.
Sotto la Convenzione di Roma del 1998, che prevedeva la sanzione giudiziaria
dei genocidi, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, nessuna
firma americana! La Corte penale internazionale? Gli Stati Uniti sono contro!
La Corte penale internazionale è un tribunale permanente dotato di una
competenza globale per giudicare gli individui rei di violazione massiccia dei
diritti umani. Essa può accusare i singoli, a differenza della Corte
internazionale di giustizia la cui giurisdizione è riservata agli Stati. E, a
differenza dei tribunali internazionali ad hoc del Ruanda o dell'ex
Jugoslavia, la sua competenza non ha limiti, né geografici né temporali. Così,
per la prima volta nella storia, ogni responsabile politico o militare è
suscettibile di dover render conto della violazione delle regole di diritto.
Il rifiuto americano di firmare la Convenzione del 1998 ha due ragioni
distinte. La prima: l'impero ritiene che i suoi generali, soldati e agenti
segreti siano al di sopra di ogni legge internazionale. Sono le circostanze a
spingerli ad intervenire ovunque sul pianeta. Hanno da render conto solo alle
istanze americane da cui sono controllati. La ragione dell'impero quindi vince
sul diritto internazionale. La seconda: nel vasto mondo, solo l'impero ha il
diritto di decidere chi va punito e chi merita clemenza. Solo l'impero deve
avere il diritto di bombardare, di ordinare un embargo, in breve, di colpire,
uccidere, o di promuovere chi valuta buono.
Un'altra caratteristica della politica estera dell'impero è il doppio
linguaggio.
In Palestina, il governo Sharon pratica l'assassinio selettivo dei dirigenti
politici arabi, la distruzione massiccia di coltivazioni, pozzi e abitazioni,
gli arresti arbitrari e le "sparizioni", la tortura sistematica dei
detenuti. Periodicamente questo governo fa attaccare e occupare dal suo
esercito città e villaggi palestinesi situati nelle zone autonome, e tuttavia
protette dagli accordi di Oslo. Sotto le case e le casupole bombardate dagli
elicotteri Apache o abbattute dai cannoni dei carri, donne, uomini e bambini
feriti restano in agonia a volte per giorni. Ora, la repressione cieca di
Sharon - che non ha nulla a che vedere con i principi di umanità e di
tolleranza dei fondatori dello Stato di Israele - beneficia del consenso muto
di Washington.
D'altro lato, durante la cinquantasettesima sessione della Commissione dei
diritti umani nell'aprile del 2001, gli Stati Uniti si sono mobilitati per far
votare la risoluzione che condanna i crimini degli ayatollah di Teheran. E
hanno avuto, com'è ovvio, ragione. Il loro consenso ai crimini di Sharon
preclude tuttavia ogni credibilità alla loro condanna di quelli commessi dagli
ayatollah.
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