Elogio dell'antiamericanismo

Prima parte
 




di Domenico Losurdo


Dal sito di Fisicamente.net, dove troviamo questa premessa: "ringraziamo Critica Marxista e Domenico Losurdo per averci autorizzato a pubblicare questo importante saggio."

1. Mito e realtà dell'antiamericanismo di sinistra

L'ultima guerra contro l'Irak è stata accompagnata da un singolare fenomeno ideologico; si è cercato di mettere a tacere il movimento di protesta di un'ampiezza senza precedenti, che in tale occasione si è sviluppato, lanciando contro di esso l'accusa di antiamericanismo. E questo, più ancora che come un atteggiamento politico errato, è stato dipinto e viene tuttora dipinto, in previsione delle nuove guerre che si profilano all'orizzonte, come un morbo, come un sintomo di disadattamento rispetto alla modernità e di sordità alle ragioni della democrazia.

Tale morbo – si afferma – accomuna antiamericani di sinistra e di destra e caratterizza le pagine peggiori della storia europea; e dunque – si conclude – criticare Washington e la guerra preventiva non promette nulla di buono. Sarebbe facile replicare richiamando l'attenzione sull'antieuropeismo che sta montando dall'altra parte dell'Atlantico e che ha una lunga tradizione alle spalle. Dà soprattutto da pensare che in questo clima ideologico e politico, nessuno ricorda più il terrore scatenato dal Ku Klux Klan, in nome della difesa del «puro americanismo» ovvero dell'«americanismo al cento per cento», contro i neri e i bianchi colpevoli di mettere in discussione la white supremacy (in MacLean 1994, 4-5, 14).

Dileguata dalla memoria è anche la caccia maccartista alle streghe sospettate di nutrire idee o sentimenti un-american . Ma interroghiamoci sulla questione principale. Ha un qualche fondamento storico la tesi della convergenza, in chiave antidemocratica, dell'antiamericanismo di sinistra e di destra? In realtà, il giovane Karl Marx definisce gli Stati Uniti come il «paese dell'emancipazione politica compiuta», ovvero come «l'esempio più perfetto di Stato moderno», il quale assicura il dominio della borghesia senza escludere a priori alcuna classe sociale dal godimento dei diritti politici (cfr. Losurdo 1993, 21-2).

Già qui si può notare una certa indulgenza: più che essere assente, negli Stati Uniti la discriminazione censitaria assume una forma «razziale». Ancora più sbilanciato in senso filo-americano è l'atteggiamento di Engels. Dopo aver distinto tra «abolizione dello Stato» in senso comunista, in senso feudale, o in senso borghese, egli aggiunge: «Nei paesi borghesi l'abolizione dello Stato significa la riduzione del potere statale al livello del Nord-America. Qui i conflitti di classe sono sviluppati solo in modo incompleto; le collisioni di classe vengono di volta in volta camuffate mediante l'emigrazione all'Ovest della sovrappopolazione proletaria. L'intervento del potere statale, ridotto ad un minimo ad Est, non esiste affatto ad Ovest» (Marx-Engels 1955, VII, 288).

Oltre che di abolizione dello Stato (sia pure in senso borghese), l'Ovest sembra essere sinonimo di ampliamento della sfera della libertà: non c'è cenno alla sorte riservata ai pellerossa, così come si tace della schiavitù dei neri. Analogo è l'orientamento dell' Origine della famiglia , della proprietà privata e dello Stato : gli Stati Uniti vengono indicati come il paese in cui, almeno per certi periodi della sua storia e certe parti del suo territorio, l'apparato politico e militare separato dalla società tende a ridursi a zero (Marx-Engels 1955, XXI, 166). Siamo nel 1884: in questo momento, i neri non solo vengono privati dei diritti politici conquistati immediatamente dopo la guerra di Secessione, ma sono costretti ad un regime di apartheid e sottoposti ad una violenza che giunge sino alle forme più efferate di linciaggio.

Nel Sud degli USA, era forse debole lo Stato, ma era tanto più forte il Ku Klux Klan, espressione certo della società civile, la quale, però, può essere essa stessa il luogo dell'esercizio del potere, e di un potere anche brutale. Proprio l'anno prima della pubblicazione del libro di Engels, la Corte Suprema aveva dichiarato incostituzionale una legge federale che pretendeva di vietare la segregazione dei neri sui luoghi di lavoro o sui servizi (le ferrovie) gestiti da compagnie private, per definizione sottratti ad ogni interferenza statale.

E' soprattutto importante notare che, sul piano della politica internazionale, Engels sembra riecheggiare l'ideologia del Manifest Destiny , come emerge dalla celebrazione della guerra contro il Messico: grazie anche al «valore dei volontari americani», «la splendida California è stata strappata agli indolenti messicani, i quali non sapevano cosa farsene»; mettendo a profitto le nuove gigantesche conquiste, «gli energici Yankees» danno nuovo impulso alla produzione e alla circolazione della ricchezza, al «commercio mondiale», alla diffusione della «civiltà» ( Zivilisation ) (Marx-Engels 1955, VI, 273-5).

A Engels sfugge un fatto denunciato invece con forza, in quello stesso periodo di tempo, dai circoli abolizionisti statunitensi: l'espansione degli Stati Uniti aveva significato un'espansione dell'istituto della schiavitù. Per quanto riguarda la storia del movimento comunista propriamente detto, è noto il fascino che taylorismo e fordismo esercitano su Lenin e Gramsci. Ancora oltre va Bucharin nel 1923: «Abbiamo bisogno di sommare l'americanismo al marxismo» (in Figes 2003, 24).

Un anno dopo, al paese che pure ha partecipato all'intervento contro la Russia sovietica Stalin sembra guardare con tanta simpatia da rivolgere un significativo appello ai quadri bolscevichi: se vogliono essere realmente all'altezza dei «principi del leninismo», devono saper assimilare «lo spirito pratico americano». «Americanismo» e «spirito pratico» stanno qui a significare non solo concretezza ma anche insofferenza per i pregiudizi, rinviano in ultima analisi alla democrazia. Come Stalin chiarisce nel 1932: gli Stati Uniti sono certo un paese capitalistico; tuttavia, «le tradizioni nell'industria e nella prassi produttiva hanno qualcosa del democratismo, ciò che non si può dire dei vecchi paesi capitalistici dell'Europa, dove è ancora vivo lo spirito signorile dell'aristocrazia feudale» (cfr. Losurdo 1997, 81-6).

A suo modo Heidegger ha ragione allorché rimprovera a Stati Uniti e Unione Sovietica di rappresentare da un punto di vista metafisico, il medesimo principio, consistente nello scatenamento della tecnica e nella «massificazione dell'uomo» (Losurdo 1991 a, 90). Non c'è dubbio che i bolscevichi si sentono fortemente attratti dall'America del melting pot e del self made man .

Altri aspetti, invece, risultano ai loro occhi decisamente ripugnanti. Nel 1924, Correspondance Internationale (la versione francese dell'organo dell'Internazionale Comunista) pubblica l'articolo di un giovane indocinese approdato negli USA, il quale, mentre nutre ammirazione per la rivoluzione americana, prova orrore per la pratica del linciaggio che nel Sud colpisce i neri. Uno di questi spettacoli di massa viene descritto in modo impietoso:

«Il nero viene messo a cuocere, è abbrustolito, bruciato. Ma egli merita di morire due volte piuttosto che una sola volta. Pertanto egli viene impiccato, più esattmente è sottoposto a impiccagione ciò che resta del suo cadavere… Quando tutti sono sazi, il cadavere viene tirato giù. La corda è tagliata in piccoli pezzi, venduti da tre a cinque dollari l'uno».
E, tuttavia, lo sdegno per il regime di white supremacy non sfocia affatto in una condanna indiscriminata degli Stati Uniti: sì, il Ku Klux Klan rivela tutta «la brutalià del fascismo», ma esso finirà con l'essere sconfitto, oltre che dai neri, ebrei e cattolici (le vittime a vario livello di questa brutalità), da «tutti gli americani decenti» (in Wade, 1997, 203-4). Non siamo certo in presenza di un antiamericanismo indifferenziato.



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