La meretrice di Babilonia:
impero e tortura
 

di Miguel Martinez




Questo è il primo di una serie di articoli su impero e tortura.

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Racconta il Libro delle Rivelazioni, il testo fondante dell'immaginario americano, che noi conosciamo come l'Apocalisse:

"Egli mi trasportò in spirito nel deserto; e vidi una donna seduta sopra una bestia di colore scarlatto, piena di nomi di bestemmia, e che aveva sette teste e dieci corna. La donna era vestita di porpora e di scarlatto, adorna d'oro, di pietre preziose e di perle. In mano aveva un calice d'oro pieno di abominazioni e delle immondezze della sua prostituzione. Sulla fronte aveva scritto un nome: MISTERO, BABILONIA LA GRANDE, LA MADRE DELLE PROSTITUTE E DELLE ABOMINAZIONI DELLA TERRA.

E vidi che quella donna era ubriaca del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù".






Abu Ghraib - o meglio, Abu Ghurayb, il "Padre del piccolo straniero" - una polverosa cittadina a pochi chilometri dall'antica Babilonia è il punto di partenza. Il punto di arrivo è l'apocalisse che viviamo. Mentre quel testo terribile e meraviglioso ci lascia come sempre la possibilità di identificare la "donna ubriaca del sangue dei santi" in una specifica immagine.

Lynndie England, la moretta della West Virginia. Colta mentre si affaccenda in quello che il dominio chiama forced debriefing. Briefing è quando si immettono informazioni dentro un cervello umano, debriefing è quando si scaricano le informazioni da un cervello umano.

Nessuno può capire l'America se non conosce le due retoriche: la furia delle immagini apocalittiche, e il linguaggio che riesce a tecnicizzare qualunque cosa. Anche l'urlo di dolore delle vittime di torture.

Nominare le cose è crearle: il lager di Abu Ghraib è stato appena rinominato "Campo Redenzione".


"They won't perform!"

Il tenente Michael Drayton ha diretto la 870esima compagnia di polizia nel carcere di Abu Ghuraib da novembre del 2003 a marzo del 2004.

"Dovete capire - spiega ai giornalisti - anche se sembra duro, gli iracheni capiscono solo la forza. Se cercate di parlare loro individualmente, come se fossero persone normali, non vi rispettano, non fanno quello che volete voi, che siano prigionieri o semplicemente persone normali per strada.

Anche se dite a un iracheno di fare qualcosa, lui non la farà… potete solo urlare finché non vi scoppiano le vene in faccia".

È la drammatica impotenza dei domatori del circo: they won't perform! Si rifiutano di fare la parte che voi assegnate loro.





Drayton spiega perfettamente la tremenda frustrazione che i popoli dominatori provano da cinque secoli nei confronti degli altri.

Voi arrivate lì, e dite in un chiarissimo inglese, "vi dispiace scansarvi che dobbiamo buttarvi giù la casa". E quelli fanno finta di non capire.

Chiedete loro, nella maniera delle persone normali, di dirvi i nomi di tutti i loro amici perchè li dovete mettere in carcere, e quelli restano muti come i sassi.

Trattandoli come persone normali, esigete che lavorino nelle vostre piantagioni, e quelli invece si mettono a cantare.

Sven Lindqvist ci parla di Carl Peters, il fondatore della colonia tedesca dell'Africa Orientale:

"Il figlio del capo era venuto all'accampamento di Peters e si era piazzato 'senza alcun imbarazzo' davanti all'entrata della tenda. 'Al mio ordine di spostarsi ha risposto solo con un largo ghigno ed è rimasto tranquillo dov'era.'

Peters allora lo fa fustigare con la frusta di ippopotamo. Alle sue grida, i guerrieri vagogo accorrono per cercare di liberarlo. Peters spara 'nel mucchio' e ne uccide uno.

Dopo mezz'ora, il sultano invia un messaggero con la richiesta di pace.

'Il sultano avrà la sua pace, ma la pace eterna! Farò vedere io ai vagogo di che tempra sono i tedeschi! Saccheggeremo i villaggi, daremo fuoco alle case e faremo a pezzi tutto ciò che non vuole bruciare!"[1]

Per forza che, come dice Drayton,

"C'è un fattore di frustrazione quando trattate con gli iracheni. Tutti li vorrebbero strozzare. Non importa chi siete, vi succederà lo stesso se passate abbastanza tempo in mezzo agli iracheni".

Drayton ha perfettamente ragione: "non importa chi siete…"

Se il tuo compito è quello di sottomettere un paese che non vuole essere sottomesso, finisce sempre che "li vorresti strozzare". E visto che i mezzi non ti mancano, li strozzi per davvero. Con le sue parole, ci spiega quello che i liberal non vogliono ammettere: il disprezzo, il razzismo e la tortura non sono incidenti di percorsi, ma sono strutturali al dominio.


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NOTA

[1] Sven Lindqvist, Sterminate quelle bestie, Milano, TEA, 2003. Un libro prezioso.

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