di Miguel Martinez Agosto 2005 Questo articolo è stato diviso in cinque parti per agevolare la lettura
"Le esecuzioni capitali che hanno durato tre giorni e che hanno inviato ad Allah oltre mille fedeli erano indispensabili. Solo una generosa restituzione di uccisioni poteva stabilire nell'animo arabo il senso della cosa giudicante e la certezza della nostra forza". Con queste trionfali parole, Giuseppe Bevione, all'epoca giornalista della Stampa, raccontava [1] di come, il 25 ottobre del 1911, gli italiani si vendicarono della sommossa di Sciara Sciat, in Libia. Come Falluja oggi, l'oasi dove ebbe luogo la sommossa divenne "un vero macello di arabi; è quasi del tutto spopolata, disseminata ormai quasi soltanto di cadaveri", racconta compiaciuto un altro giornalista, Giuseppe Piazza.
Impiccagione di arabi dopo i fatti di Sciara Sciat
Gli italiani erano sbarcati alcune settimane prima, fantasticando di conquistare in pochi giorni quel misero lembo dell'impero ottomano. Erano stati spinti, in gran parte, da una delle prime grandi campagne mediatiche della nostra sciagurata storia. Anche se non si parlava ancora di "esportare la democrazia", Il Giornale d'Italia scriveva che "le nostre truppe saranno accolte con vero entusiasmo dagli arabi, i quali nutrono per i turchi un vero odio". Infatti, il pretesto con cui si sarebbero poi uccisi i prigionieri era che si trattava di "traditori", in quanto non provavano gratitudine per il fatto di essere stati liberati. Ci vorranno vent'anni di guerra continua prima di instillare "il senso della cosa giudicante" nell' "animo arabo", a forza di impiccagioni e deportazioni. Nulla è cambiato nel mondo da allora. Su una bancarella di libri usati, Roberto Giammanco ha trovato un affascinante opuscolo di sedici pagine, intitolato Bucalo! Strenna umoristica tripolina illustrata. Dovrebbe risalire al Natale del 1911.
Bucalo!, un titolo che associa piuttosto esplicitamente la baionetta italiana a un simbolo fallico, inizia con una premessa che giustifica la guerra: il nemico sono i turchi, "un popolo incivile" che tiene "nella schiavitù… due fertili provincie dell'Africa settentrionale", ostacolando "in ogni maniera il glorioso avanzare della civiltà". Ma andiamo avanti nell'analisi dell'opuscolo. Continua Se volete leggere direttamente il testo di Bucalo, potete fare clic qui NOTA [1] G. Bevione, Come siamo andati a Tripoli, Bocca, Torino 1912, cit. in Paolo Maltese, La terra promessa. La guerra italo-turca e la conquista della Libia 1911-12, Sugar Editore, Milano 1968.
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