Alterazioni del paesaggio

prima parte
 

di Walter Catalano
pubblicato qui agosto 2005



Chiedo scusa all'autore per il ritardo con cui ho messo in rete questo articolo.

Non chiedo scusa a tutti gli aspiranti genocidi e ai cultori del politicamente corretto che si infurieranno perché non sta bene parlare dell'orrore simbolicamente centrale dei nostri tempi.

Il curatore del sito


"Due occhi per un occhio,una mascella per un dente"
(Vladimir Zeev Jabotinsky - teorico sionista)

"A chi ci caverà un occhio taglieremo la testa, a chi ci romperà un dente spaccheremo la mandibola"
(Hermann Goering - Maresciallo del Reich)

Soprattutto la notte il rumore intermittente dei cingoli sull'asfalto risvegliava un sapore acido di lacrime e ferite. I tank di ronda intorno al campo sovrintendevano al riposo, orchestrando il succedersi di sonno e di veglia, così come di giorno arbitravano l'accesso all'acqua e alle strade.

Nabil si riscosse sulla branda fra le lenzuola sudate: gli avevano interrotto un bel sogno. Con mano sicura lanciava una molotov contro il carro armato che gli veniva incontro mitragliando, mentre il carrista appollaiato sulla torretta si immergeva nell'abitacolo cercando di chiudere la botola in tempo. L'ordigno centrava lo spiraglio e rimbalzava all'interno. Uno scoppio e le fiamme erompevano dalle feritoie d'areazione con le urla roche degli arrostiti.

Il rombo del tank si perse nella notte ma Nabil era ormai sveglio. Tornò a pensare agli olivi centenari nell'orto della casa della sua infanzia e a come il bulldozer li aveva sradicati uno dopo l'altro. Non volevano essere strappati via quegli olivi e resistevano con le radici secolari abbarbicate alla terra: dovettero schiantarli a fatica e coprirono con cicatrici di zolle le ferite profonde e nere che sfiguravano il suolo. Lui aveva sette anni ma non pianse. Anche se c'era rimasta solo una spianata di cemento laggiù al posto dell'orto e della casa, il nonno continuava a tornarci spesso prima che arrivassero i coloni. Si sedevano sul cemento, lui e il nonno, e pensavano agli olivi senza dire una parola, per ore. Poi eressero reticolati di filo spinato e sentinelle coi fucili sparavano a chiunque si avvicinasse e molte altre spianate di cemento pavimentarono i nuovi insediamenti. Ma oltre il filo spinato, sotto il cemento e sotto le zolle - nella polvere di alberi, case e uomini cancellati - quelle ferite restavano spalancate in eterno come bocche urlanti.

In lontananza si udì un suono lontano di raffiche, grida, pianti, ancora raffiche. Non era stato un drone: i droni non facevano rumore. Nabil fremette ricordando altre identiche raffiche, pensando a come la pietra, inutile e patetica, era scivolata di mano a suo fratello, a come anche lui era caduto, sradicato come un olivo giovane, al cingolo del tank che gli era passato sopra per cancellarlo a sua volta, per ridurlo a quella stessa poltiglia di alberi, case e uomini, facile da nascondere e dimenticare sotto il cemento e le zolle, oltre il filo spinato.

Si alzò dalla branda, dette un'ultima occhiata al nonno e alla sorella ancora addormentati, poi uscì a cercare delle bottiglie e una tanica di benzina.

"Il memoriale di Yad Vashem, il museo dell'Olocausto, è stato costruito sulle rovine di un villaggio palestinese raso al suolo. Lo sapeva ?" - chiese con voce stanca la ragazza bruna cercando di reggere il passo veloce dell'uomo brizzolato e impeccabile mentre attraversavano la piazza assolata.

"No, non lo sapevo "- rispose con educazione ma scarso interesse l'uomo che valendosi di una falcata ben più ampia, stava avendo ragione della tenace ma troppo minuta inseguitrice. I suoi occhi grigi percorsero di nuovo la fragile anatomia della ragazza: un rapido excursus dalle caviglie sottili ai lisci capelli corvini che il vento le cacciava continuamente negli occhi. L'esame dovette dare un esito abbastanza positivo perché l'inseguito rallentò considerevolmente il passo.

"Non lo trova mostruoso ? "- insistette la giovane riprendendo fiato. L'uomo trattenne un gesto spazientito.

"Stia attenta signorina. Come ha detto di chiamarsi ? Flavia Berti. Stia attenta Flavia o chi la sente, me compreso, potrebbe accusarla di antisemitismo ! Non è il posto adatto questo per dire cose del genere."

"Antisemitismo ? Anche lei non può cadere in questi equivoci "- Flavia si fermò in mezzo alla strada con i pugni sui fianchi, assunse un cipiglio da battaglia - "Essere contro il sionismo non vuol dire essere antisemiti: questa parola viene usata come un'arma per diffamare e zittire chiunque osi denunciare i crimini del colonialismo e del razzismo sionista. E poi io difendo gli arabi: non sono anche loro semiti ?"

L'uomo abbozzò un mezzo sorriso.

"Parliamoci chiaramente Flavia. Io non voglio grane, intesi ? Lei mi ha chiesto di partecipare all'attività della nostra organizzazione non governativa in aiuto delle comunità palestinesi in transito…"

"Transito ? Dica pure deportate !"

" Ah, ci risiamo ! Se non mi stesse simpatica la discussione sarebbe già terminata. Per sua fortuna mi piace la gente decisa. Capisce bene che la sua partecipazione alla nostra attività - le liste dei collaboratori erano già state chiuse due settimane fa a Roma - è assolutamente fuori dalle regole, ma in qualità di responsabile del progetto ho la facoltà di fare delle eccezioni. Le pongo solo due condizioni."

"Quali ?"

"La prima è di darsi una regolata, tenere per sé le sue idee e non crearmi grane con le autorità."

"E la seconda ?"

"La seconda è di venire a cena con me stasera. D'accordo ? "

Flavia restò un attimo perplessa, poi sorrise. Remo Ippoliti andava ormai per la cinquantina ma non era affatto male dopo tutto. E poi Gerusalemme poteva valere una messa. "D'accordo" - rispose. "D'accordo su tutte e due le condizioni ?"

"Su tutte e due."

"Bene. Ci vediamo qui alle sette. Intanto si presenti alla nostra sede - sa bene dov'è - e compili i formulari di prammatica."

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