12. David Hume è un pensatore intelligente, scrive bene ed in modo chiaro e simpatico, e non ha nulla di quella agghiacciante pesantezza accademica tedesca che fa venire voglia di andare in un pub inglese a giocare a freccette. Nello stesso tempo, è impossibile capire il retroterra filosofico della teoria del valore di Adam Smith se non si capisce bene che cosa significhino l'empirismo, lo scetticismo ed infine l'utilitarismo.
Empirismo significa sostanzialmente che tutte le conoscenze umane derivano dall'esperienza, e che anche il pensiero più elaborato ed astratto deriva in ultima analisi da quest'ultima, con la dichiarata esclusione di qualunque idea innata. Ideologicamente parlando, l'empirismo è omogeneo a quella nuova classe di mercanti ed imprenditori inglesi e scozzesi che non ha più bisogno di una legittimazione religiosa del proprio potere, e che anzi è interessata a demolirla. Empirismo significa anche che ci sono soltanto le pere, le mele e le ciliegie, e dunque nessuna Mela platonicamente immutabile, il che comporta anche che ci sono solo delle leggi e delle corporazioni professionali empiriche, che si possono dunque trasformare. Sotto la società umana non c'è nessuna "sostanza" (substantia, hypokeimenon), ma essa non è che un insieme di relazioni. E si tratta, appunto, di relazioni capitalistiche. Locke ne è il principale esponente, ma presenta momenti di contraddizione, perché vuole difendere contemporaneamente l'empirismo ed il contrattualismo politico, laddove è evidente che nessuno ha mai fatto né può aver fatto l'esperienza del contratto originario fondatore della società. Il Contratto Assoluto di Locke è come lo Spazio ed il Tempo Assoluti del suo contemporaneo Newton. Si tratta di inizi volonterosi, ma ancora contraddittori.
Scetticismo vuole certamente dire anche impossibilità di dimostrazione razionale della categoria di causalità, ma non solo questo. Certo, la critica alla categoria di causalità è importante, perché un suo immediato sottoprodotto è la conclusione per cui non si può e non si deve dimostrare che la società umana (e cioè capitalistica) è stata "causata" da un contratto politico. Un contratto si può sempre modificare e disdire, ed i capitalisti non possono fondare filosoficamente il loro sistema con il presupposto che esso possa essere "disdetto". Scettici, ma non coglioni. Ma l'essenza dello scetticismo, a mio avviso, non sta tanto nella tesi della totale indimostrabilità di Dio (che Hume prudentemente destinò ad una pubblicazione postuma, per non avere grane), ma nella tesi per cui il valore d'uso è inconoscibile, in quanto ognuno gli attribuisce il valore che vuole. Il valore d'uso e indubbiamente "utile", se no non verrebbe usato, e dunque neppure venduto e comprato, ma è anche inconoscibile (noumenico, come direbbe Kant). Soltanto il valore di scambio è conoscibile.
13. Torneremo fra poco a Marx, ma intanto bisogna impadronirsi bene di questo nodo teorico. E questo non si può fare, senza un'apposita breve riconsiderazione della teoria del valore, senza per ora inoltrarci sulla differenza fra Smith, Ricardo e Marx. La esamineremo soltanto da un punto di vista esclusivamente filosofico.
Come è largamente noto, la teoria del valore afferma che i prezzi in base a cui si scambiano le merci si formano a partire dal tempo di lavoro sociale medio incorporato da ogni bene-merce. Questo dà luogo ad una vera "mano invisibile", la mano invisibile con cui funziona automaticamente il mercato. Qui il massimo di empirismo, di scetticismo e di utilitarismo si mescola con il massimo di approccio magico alla realtà, che si afferma essere appunto mossa da qualcosa che resta del tutto invisibile ed inconoscibile, e può soltanto essere accertato a posteriori. Alla vecchia metafisica aprioristica delle società feudali e signorili succede così la nuova metafisica aposterioristica delle società borghesi e capitalistiche. Si tratta di un rovesciamento soltanto apparente, che conserva il carattere irrazionalistico della fondazione del legame sociale. Ma è bene riflettere ancora sulla filosofia (o meglio, sulla non-filosofia) implicita nella teoria del valore-lavoro.
Come si è detto, il valore d'uso è del tutto inconoscibile, perché ognuno lo può definire come vuole, a seconda dei suoi gusti e delle sue esigenze. Questo distrugge ogni carattere "naturalistico" del valore d'uso, perché se il valore d'uso fosse definibile in modo naturalistico, a partire cioè da una struttura sociale oggettiva delle priorità e dei bisogni umani, non vi sarebbe più bisogno di cercare la misura del valore nel solo valore di scambio. Incidentalmente, il comunismo di Marx, inteso come regno dei bisogni umani soddisfatti, restaura la naturalità del valore d'uso, e si pone così come rovesciamento integrale del capitalismo, che invece ha come fondamento l'artificialità del valore di scambio. Il contrattualismo politico, sia nelle sue versioni di destra (Locke) che in quelle di sinistra (Rousseau), aveva ancora come presupposto una naturalità del valore d'uso, mentre l'utilitarismo si fonda già sulla mano invisibile e sul valore di scambio come solo elemento quantitativamente accertabile del legame sociale. In linea generale, si tratta di un episodio ulteriore dell'affermazione del quantitativismo della scienza moderna (tempo di lavoro sociale medio = prezzo di produzione). A questa concezione di scienza, assolutamente non filosofica ed anzi provocatoriamente anti-filosofica, si ispirano quei marxisti che considerano "fondamento scientifico" del marxismo il problema della trasformazione dei valori in prezzi di produzione. Ma che essa sia possibile o no, in ogni caso a mio avviso non può essere veramente un "fondamento".
Marx scopre dunque la teoria del valore con l'entusiasmo del neofita stanco delle interminabili chiacchiere della sinistra hegeliana, e la fa diventare così il suo fondamento filosofico. Essa può soltanto essere lo pseudo-fondamento di un "capitalismo utopico" alla Adam Smith, che Marx rovescerà per farlo diventare un "comunismo utopico". Spieghiamoci meglio.
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