Poiché è impossibile ricostruire nei dettagli ogni
articolazione della scuola dall'antichità ad oggi, occorre fare un taglio che,
nel mio caso si situa a cavallo tra il Settecento e l'Ottocento. Se si risale ai
secoli immediatamente precedenti, non si rintraccia quasi nulla di scuola
pubblica, di scuola obbligatoria, di scuola gratuita.
Si può dire molto schematicamente che la scuola come
problema viene posto dalla Chiesa riformata, come realizzazione di uno dei
principi alla base della scissione dalla Chiesa di Roma. Si trattava infatti di
rendere i fedeli capaci di leggere la Bibbia, ciascuno per conto suo, e di
fornirne una libera interpretazione. Questo fatto spinse ad una istruzione
elementare che interessò vasti strati di popolazione. Tanto per capire i
problemi che vi sono nella ricostruzione, ad esempio, di questo periodo, si
tratterebbe di capire a chi è diretta tale istruzione, se solo ai fedeli o a
tutti, se si tratta di qualcosa di episodico affidato alla buona volontà di un
pastore, o se si iniziano a costruire delle strutture minime, se vi è un minimo
di obbligatorietà o meno, se vi è gratuità o meno, se ambo i sessi sono
interessati e se si da che età, ... Data poi la logistica (popolazione molto
sparpagliata nel territorio e bambini fortemente occupati nel lavoro) come si
realizzavano le cose ? I vari Paesi operavano allo stesso modo ? Vi erano
sostanziali differenze tra città e campagna ? Queste domande le lascio
completamente inevase e le ho fatte solo per far capire i livelli di difficoltà
che si hanno nel discutere di queste cose.
In ogni caso, a fronte di questi inizi di un'educazione di
base da parte dei protestanti, anche la Chiesa cattolica si inserì nella stessa
strada dopo il Concilio di Trento. A lato dei seminari, si istituirono scuole
parrocchiali sempre più estese nel territorio che, se da una parte ebbero il
merito almeno di insegnare a leggere e scrivere agli eserciti di poveri e quello
fondamentale di essere obbligatorie e gratuite, dall'altro lato rappresentarono
un fallimento nella crescita sociale, nel progresso civile ed economico perché
erano esclusivamente finalizzate a contrastare le altre Chiese.
Naturalmente quanto dico non riguarda i ceti abbienti. Vi era
largo uso di precettori privati con una didattica improntata alla Ratio
dei gesuiti. I gesuiti avevano ampia esperienza nell'educazione (più che
istruzione) dei giovani. Erano loro le scuole per nobili diffuse nei vari Paesi
cattolici dove si insegnava che, insieme a quelle militari (per i futuri
ufficiali, tutti di controllata discendenza). Tanto per esemplificare, in una
scuola superiore insegnavano: classici greci, latini, del regno in cui ci si
trovava, arte di comportarsi. Vi erano anche scuole avanzate nelle quali, oltre
a queste cose si insegnava danza, musica e scherma. Vi era una carenza
generalizzata nell'insegnamento di matematica e scienze: al più vi erano cenni
ad Euclide ed all'astronomia di Tolomeo. In ogni caso la didattica ruotava
intorno ad Aristotele, le scuole, a tutti i livelli, lavorano con dispute e
sillogismi su date affermazioni. Norma da rispettare scrupolosamente restava il
'non bisogna essere amici o avere confidenza con ragazzi umili di nascita'.
Ma qui parliamo di scuole, appunto, per nobili, per alta borghesia terriera e
per i primi artigiani neoricchi. Nella Ratio il corso per accedere
all'università è suddiviso in due cicli, uno quinquennale umanistico
ed uno triennale filosofico. Nel primo si insegna il latino
ed il greco secondo lo schema: grammatica, stile, retorica
(assenza completa di materie scientifiche e perfino dell'aritmatica,
ma anche di storia, geografia e lingue nazionali). Le cose
cambieranno parzialmente solo nella Ratio del 1832 dove si
parla di adeguamento dei programmi secondo lo schema [9]:
Dio,
l'uomo, il mondo fisico e il mondo morale, con la logica e dialettica e
con la metafisica generale e speciale: teologia naturale, psicologia,
cosmologia, etica; e nello studio delle scienze esatte: matematica,
geometria e astronomia, e delle scienze sperimentali: fisica, chimica e
storia naturale.
Nel capitolo V della Ratio si legge:
Poiché
scopo della dottrina che in questa Compagnia si apprende è quello di
giovare, con divino favore, alle anime proprie e dei prossimi; questa
sarà, in generale e nelle persone particolari la misura secondo la
quale si determinerà a quali facoltà, e sino a qual punto, i nostri
divranno attendere. E poiché, generalmente parlando, a ciò giovano le
lettere umane, delle diverse lingue, la logica, la filosofia naturale e
la morale, la Metafisica e la Teologia, tanto la scolastica quanto
quella che si denomina positiva, e la Scrittura Sacra, attenderanno a
questi studi quelli che sono mandati ai Collegi...
e nel capitolo XII, riguardante le Università:
Poiché scopo della Compagnia e degli studi è quello di aiutare i
prossimi alla conoscenza ed amore di Dio ed alla salvezza delle loro
anime; ed a questo fine il mezzo più proprio è la facoltà di Teologia;
a questa principalmente attenderanno le Università della Compagnia; ...
E poiché la dottrina della teologia ed ,-- il suo uso richiedono,
specialmente in questi tempi, la cognizione delle lettere :. umane, e
della lingua latina, greca ed ebraica; anche in queste si avrà numero
sufficiente di buoni professori... Ed altresì, poiché le Arti o Scienze
naturali dispongono gli ingegni alla Teologia e servono alla perfetta
cognizione ed uso di essa, e per se stesse giovano al medesimo fine, si
trattino con quella diligenza che si conviene e per mezzo di dotti
professori, cercando in ogni caso e sinceramente l'onore e la gloria di
Dio.
E' solo da notare che questa concezione di scuola
contribuirà in modo decisivo alla resistenza alla penetrazione
della scienza, ed alla cultura ed ai metodi che ad essa si
accompagnano, che si sviluppava negli altri Paesi europei, ormai
da 100 anni.
Le prime istanze critiche nascono con l'Illuminismo in
connessione con le trasformazioni economiche e sociali che si accompagnano
alla Prima rivoluzione industriale, quella della manifattura che inizia a
superare la produzione artigiana per produzioni impieganti un numero sempre
maggiore di lavoratori. Per intendere l'importanza di ciò che i pensatori
illuministi andavano seminando ed, in tempi relativamente brevi, cambiando,
basta osservare, con Geymonat [1], che:
all'inizio
del Seicento la chiesa cattolica può ancora intervenire con una certa
efficacia nel dibattito fra copernicanesimo e cosmologia tolemaica, nel
Settecento il copernicanesimo è universalmente accettato dagli
scienziati i quali non fanno più alcun conto della condanna che
continua a gravare contro di esso; nella seconda metà del Seicento
Malebranche può ancora seriamente indagare quali fossero le dimensioni
possedute dall'ape vivente ai suoi tempi quando era contenuta,
cinquemilaseicento anni prima, entro gli organi genitali del primo
campione di tale insetto creato direttamente da dio, un secolo dopo
questo problema appare risibile; durante tutto il Seicento la fisica
deve fare i conti col problema dei miracoli, interpretati come un
intervento diretto di dio che sospende per un istante le leggi da lui
imposte alla natura, alla fine del Settecento Laplace delinea un
sistema del mondo in cui non ha più bisogno di fare in alcun modo
intervenire « l'ipotesi di dio »; agli inizi del Settecento si crede
ancora alle streghe e qualche disgraziata è purtroppo condannata al
rogo sotto l'accusa di stregoneria, alla fine del secolo le esecuzioni
capitali vengono compiute per motivi dichiaratamente politici, senza
più invocare alcuna giustificazione religiosa.
E' nella seconda metà del Settecento che il problema scuola
laica pubblica emerge all'attenzione di principi e sovrani illuminati, per
un complesso di concause. Da una parte si capisce che la gestione della scuola
è gestione di potere e l'autorità laica vuole togliere tale potere alla
Chiesa, dall'altra, pur non essendovi sentimenti antireligiosi, si porta avanti
una tale operazione per avversione alla gestione curiale del potere e allo
strapotere dei gesuiti. Tutti i pensatori dell'epoca narravano delle meraviglie
di una diffusa educazione popolare, di quali miracoli si sarebbero potuti fare
nella crescita politica, sociale ed economica. Ed allora i principi illuminati
ambirono essere loro stessi a capo di un tale progresso e lavorarono per
togliere alla Chiesa l'educazione per trasformarla in istruzione pubblica,
popolare e laica. Si trattava di modernizzare l'istruzione togliendola
all'ambito ristretto di una visione curiale, per formare cittadini che
rispettassero il potere del principe medesimo e sapessero inserirsi
produttivamente nella società. E' chiaro che vi furono lotte politiche
importanti e che, al di là dei fini che ciascuno si proponeva, la scuola
popolare e laica fu uno strumento fondamentale di crescita sociale e politica.
Una accelerazione nell'organizzazione di tale scuola fu
l'abolizione della Compagnia di Gesù nel 1773. Il solo fatto di dover
rimpiazzare una gran quantità di maestri con dei laici (o anche con altri
ordini religiosi non tanto invadenti) fa intendere le dimensioni del problema e
ci fa porre la domanda di quanti fossero preparati per la funzione alla quale
erano chiamati.
In ogni caso, dalle enunciazioni generali al passaggio alle
realizzazioni, vi fu una gran mole di difficoltà: la già detta necessità di
reperire maestri, il problema della formazione di altri, la cronica mancanza di
fondi per strutture e per il pagamento di salari, le difficoltà ad individuare
cosa insegnare, l'uniformità degli insegnamenti tra le diverse scuole, la
mancanza di ogni idea di scuola che pensasse a formare cittadini, di ogni teoria
didattica, ed infine la difficoltà quasi insormontabile di far capire alle
famiglie poverissime che qualcuno, strappato come forza lavoro alla famiglia
stessa, doveva recarsi a scuola per una non meglio compresa idea di
emancipazione sociale ed economica. Quest'ultima difficoltà è alla base della
gratuità che diventa argomento indivisibile da obbligatorietà ma, anche con la
gratuità, questa scuola è intesa come nemica dal popolo a cui si rivolgeva.
Osserva Genovesi [2] che vi è qui un circolo vizioso: senza scuola non acquista
fondamento il concetto di infanzia e senza quest'ultimo concetto non
sembra aver senso la scuola. Comunque stiano le cose è certo che in situazioni
economiche drammatiche ed assolutamente precarie, il togliere delle braccia
lavorative da una famiglia è un momento di ulteriore crisi insopportabile. Qui,
anche se schematicamente, si mostra che gli ideali illuministici vedevano
interessi molto differenziati e difficilmente conciliabili. Cosa difende la
Chiesa ? e cosa il principe ? e la borghesia ? e gli utopisti teorici ? ed il
popolo ? Per rendere conto dei sogni degli illuministi basta rifarsi alla
posizione di uno dei moderati, Helvétius. Egli dice che la disuguaglianza di
spirito che si riscontra tra gli uomini dipende unicamente dalla diversa
educazione che essi ricevono, e dalla ignota e differente concatenazione delle
circostanze in cui si trovano collocati. Solo modificando la loro
educazione, attraverso la modifica della società in cui vivono, gli uomini
diventeranno davvero virtuosi. Occorre costruire un nuovo ambiente sociale
intorno ai giovani, ambiente che deve essere orientato al raggiungimento della
felicità, attraverso il massimo sviluppo delle loro capacità. Sarebbe
interessante confrontare queste cose con le supposte idee del sovrano, del
cardinale e del padre di famiglia. Ma, a lato di queste ottime intenzioni, vi
sono i primi studi relativi ad una pedagogia moderna che considera il fanciullo
come essere completo e sano con il quale cercare non già di guadagnare tempo ma
di perderne.
Anche se l'Italia viveva non proprio centralmente le vicende
culturali europee, si fecero dei tentativi di scuola popolare pubblica nei vari
Stati in cui essa si divideva, ed essi risultarono assolutamente difformi e con
risultati completamente differenti. Una caratteristica comune è che sono
pochissime le persone interessate ad un servizio che risulterà, almeno fino
alla fine del Settecento, quasi inesistente.
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