La fine della scuola:
L'Unione Europea si adegua alle multinazionali



di Roberto Renzetti




Questo è il primo di una serie di articoli sulla mercificazione della scuola e la "riforma scolastica".

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Rapporto UNESCO 1996 (Commissione J. Delors)(15) e Libro Bianco UE 1996 (E. Cresson)(16)

In tempi rapidissimi i desiderata del mondo dell'impresa e della finanza trovano accoglienza in un lavoro dell'UNESCO del 1996. Una Commissione presieduta da Jacques Delors, che ha appena lasciato la Presidenza della UE, stila un rapporto che getta le basi per la scuola europea del futuro immediato (ricordo che le prime intenzioni puntavano ad una scuola nuova per il nuovo millennio). Anche la UE, crea una Commissione, presieduta da Edith Cresson, nientemeno che un ex Primo Ministro francese, che lavora nel senso delle richieste avanzate dall'ERT.

Le analisi di Delors partivano dal cambiamento di un mondo, di un modo di essere, dal passaggio dall'ingombrante cartaceo ai computer, con le illusioni tipiche create nei neofiti e le certezze di chi fa affari. Si ripeteva quanto accaduto all'inizio del Novecento, il passaggio dall'operaio con mestiere complessivo allo specializzato ad una dimensione del fordismo. Ora la catena di montaggio, le grandi concentrazioni operaie, il modo di produzione che abbiamo conosciuto cede il passo ad altro che non conosciamo. Delors prende atto di un mondo non più descrivibile in termini di sviluppo lineare e di continua accumulazione; in cui la rottura dei rapporti tra mondo produttivo ed ambiente e l'enorme conflittualità tra mercati, che si è creata con l'esclusione di gran parte dell’umanità, ha visto un continuo crescere di tensioni e di guerre.

Le risposte a queste problematiche sono molto articolate ma si possono riassumere in quattro grandi finalità per la scuola: imparare a conoscere, imparare a vivere insieme, imparare ad essere, imparare a fare. Sulle prime due c'è poco da dire, ma sulle altre è necessaria una qualche specificazione. L'imparare ad essere punta verso il riconoscere che l'essere umano è fatto oltre che di corpo, anche di spirito. Scrive Delors:

"Il mondo, spesso senza accorgersene, ha un desiderio ardente, spesso inespresso, di un ideale e di valori che noi chiameremo 'morali'. E' quindi nobile compito dell'educazione incoraggiare tutti e ciascuno, agendo in armonia con le loro tradizioni e convinzioni e mostrando pieno rispetto per il pluralismo, innalzare le menti e gli spiriti fino al piano dell'universale e, in certa misura, al superamento di se stessi. Non è esagerato, da parte della Commissione, affermare che da questo dipende la sopravvivenza dell'umanità ".
Per quel che riguarda invece l'imparare a fare si ritorna con i piedi sulla Terra e si dice:
"nell'industria, specialmente per gli operatori di macchine e per tecnici, la supremazia dell'elemento cognitivo e di quello informativo, come fattori nei sistemi di produzione, sta rendendo superata l'idea di abilità professionale e mettendo in primo piano quella di competenza personale [qui si adombrano i 'percorsi individuali' e le abilità del telelavoro, ndr] ... Tale competenza "è un misto, specifico per ciascun individuo, di abilità nel senso stretto del termine, acquisita attraverso la formazione tecnica e professionale, di comportamento sociale, di un'attitudine al lavoro di gruppo e d'iniziativa e disponibilità ad affrontare rischi [la 'mobilità', della quale Delors si era occupato in un Libro Bianco della UE del 1993, ndr]".
E, nonostante tante buone intenzioni, la parte essenziale è quella che conclude il Rapporto medesimo: Il sistema scolastico deve possedere
"maggiore diversità curricolare e costruire passaggi tra i vari sistemi di istruzione, o tra la vita lavorativa ed ulteriori corsi di formazione. Una tale flessibilità contribuirebbe anche a ridurre il fenomeno della mortalità scolastica ed il terribile spreco di potenziale umano che ne risulta".
Su linee più decisamente imprenditoriali si muove il Libro Bianco della UE (Cresson) del 1996. Partendo dal riconoscimento di una società in rapido cambiamento (mondializzazione, informazione, scienza e tecnica, impresa, ... ) si afferma che la scuola si deve adeguare. In particolare la crescita dell'informazione a livello mondiale potrebbe essere di aiuto al sistema formativo. Ma per far questo l'Europa deve avere come priorità l'investire in software multimediale, data la frammentazione del mercato multimediale europeo, al fine di sfruttare tutte le potenzialità dell'educazione permanente attraverso la TV e, quando si saranno diffusi i computer, attraverso internet. Ma una 'scuola' di questo tipo non può più certificare le conoscenze attraverso un diploma che è sempre più obsoleto. E' quindi auspicabile quella "Tessera personale delle competenze" di cui prima, da spendere nella UE. Gli obiettivi principali che il sistema educativo deve conseguire sono:
  • 1) l'avvicinamento della scuola all'impresa con l'educazione alla flessibilità ed alla mobilità;

  • 2) il trattare allo stesso modo gli investimenti in affari e quelli in formazione;

  • 3) la lotta all'emarginazione ed all'abbandono scolastico, che possono avere successo con l'introduzione di ogni tecnica multimediale e con i suggerimenti della Commissione: "sviluppare la concertazione ed il partenariato con il settore economico; si può ad esempio immaginare che ogni impresa sponsorizzi una scuola ... Le famiglie sarebbero anch'esse coinvolte direttamente ...";

  • 4) la conoscenza di tre lingue comunitarie;

  • 5) l'auspicio che i Paesi della UE adottino "disposizioni a favore delle imprese che attribuiscono particolare attenzione alla formazione".

A questo occorre aggiungere quanto sostenuto dal Memorandum della UE del maggio 2002. Esistono tre tipi di educazione:

"quella formale che fornisce diplomi alla fine di un ciclo di studi; quella non formale fuori dagli istituti d’istruzione che non porta a diplomi; quella informale che è un corollario della vita quotidiana”.
Questa disquisizione è fatta per sostenere che occorre puntare sull’educazione informale, riserva considerevole di sapere e possibile sorgente d’innovazione per metodi e contenuti. Ma dove si può educare informalmente? Lo dice la stessa UE:
"Per avvicinare l'offerta di formazione al livello locale bisognerà anche riorganizzare e ridistribuire le risorse esistenti al fine di creare dei centri appropriati di acquisizione delle conoscenze nei luoghi della vita quotidiana in cui si riuniscono i cittadini, non solo gli istituti scolastici, ma anche i centri municipali, i centri commerciali, le biblioteche i musei, i luoghi di culto, i parchi e le piazze pubbliche, le stazioni ferroviarie e autostradali, i centri medici e i luoghi di svago, le mense dei luoghi di lavoro"
. Chissà cosa avranno in mente !

Sembrerebbero cose stravaganti. Evidentemente non lo sono se nel documento Bertagna, che è la premessa alla Riforma Moratti, si legge:

"In genere, si distingue tra sistema educativo informale, non formale e formale. Il primo è rappresentato dalla vita sociale ordinaria che non esprime programmatiche potenzialità formative, pur determinandole di fatto, funzionalmente, in maniera anche irreversibile. Il secondo riguarda quell'insieme di istituzioni che, pur non essendo strutturate in maniera esplicita per promuovere, con gradualità e sistematicità, processi educativi di istruzione e formazione, tuttavia esprime intenzionalità in questa direzione in un territorio e lungo l'intero arco della vita dei soggetti. L'ultimo si riferisce specificatamente al sistema educativo di istruzione e di formazione istituito e strutturato dalla Repubblica (Stato, regioni, Enti Locali) per i minori e per le giovani generazioni. L'ipotesi di riforma che si presenta vuole essere attenta all'integrazione tra questi diversi sistemi (...). L'attenzione si sposta, dunque, dai luoghi di istruzione (scuola) e della formazione (centri, agenzie, servizi, imprese) alla certificazione delle competenze finali che si possono e si debbono maturare in un ambiente piuttosto che in un altro (...) certificazione delle competenze che proprio per la sua natura rifugge da ogni esclusività di percorso e, più che consentire, favorisce i passaggi tra un indirizzo e l'altro del sistema educativo di istruzione e formazione (...) Le tradizionali alternative tra scuola (statale) e centri della formazione professionale (regionali o non statali), tra scuola e impresa, tra scuola ed extra scuola perdono, perciò, la loro drammaticità (...) Si aprono, al contrario, le prospettive di una solidarietà cooperativa tra tutte le esperienze e i luoghi formativi nei quali si possono raggiungere livelli di maturazione educativa, culturale e professionale, (...) indipendentemente dal fatto che siano statali, regionali o di enti e privati (accreditati)"
E cose analoghe erano anche nella Riforma Berlinguer, non a caso i due pedagoghi di punta lavorano oggi insieme nel progetto “Buonsenso per la scuola” (16 bis) in cui si riaffermano tutti i desiderata dell’impresa:
"Di fronte all’irrompere del computer e di internet sulla scena dei processi di apprendimento qualcuno prevede un futuro in cui la scuola sarà interamente soppiantata dalle nuove modalità di auto-apprendimento in rete, un apprendimento non più insegnato ma semmai tutorato e prevalentemente on line (...). In una logica di «integrazione» l’intreccio e l’alternanza di esperienze di aula, di laboratorio e di vera e propria attività lavorativa condotta in situazione di apprendistato o di tirocinio diventano requisiti fondamentali del curricolo scolastico, come lo diventa lo sforzo di non fermarsi alle conoscenze (...) Le scuole non statali devono essere considerate come una risorsa per la riqualificazione e il rilancio dell’intero sistema formativo pubblico (...) L’abolizione del valore legale del titolo di studio (...) un sistema di valutazione reale dei processi e dei prodotti”.



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