Islam moderato?
No, grazie!


di Sûrî

Nella dialettica araba, è frequente partire da temi apparentemente molto lontani per poi ricongiungersi all'argomento principale, in modo da affrontare il discorso in maniera fluida ed esaustiva, per dare un quadro completo delle argomentazioni, ed assumere un'ottica esterna alla trama del ragionamento.

È un metodo molto funzionale, anche se poco pratico per lo scrittore, o il lettore distratto. Dunque non preoccupatevi dell'apparente dispersività, il filo da seguire è molto logico.


Acchiappafantasmi

Avete mai visto il film "Ghostbusters"? potrebbe sembrare strano, ma questo è un ottimo punto di partenza per le mie argomentazioni.

In sintesi il film parla di questi "acchiappafantasmi", un gruppo di ragazzi specializzati nel catturare entità ectoplasmatiche, che tentano di salvare la città di New York dall'attacco improvviso ed inaspettato da parte di un numero molto elevato di spettri, che sono una minaccia, data la loro ferocia, all'incolumità della popolazione. I quattro, con l'aiuto della moderna tecnologia e di una buona dose di umorismo yankee, riescono nell'impresa, salvando così la città -e il mondo- da questa feroce invasione, che si sarebbe altrimenti tramutata in un'immane tragedia collettiva.

Niente di male: è un film di chiaro stampo americano, con una classica trama ed un classico epilogo. Ma la mia non è una critica cinematografica.

Vorrei riportarvi alla memoria un piccolo particolare, un dettaglio che aprirà le porte al mio tema: si tratta di un piccolo fantasmino verdastro, "Slimer", se non erro, il quale è fedele amico ed alleato dei quattro acchiappafantasmi.

slimer magdi allam


Non è strano? Questi ghostbusters passano la vita ad eliminare spettri dalla città, eppure questo fantasma è un loro compagno, una specie di piccolo animaletto domestico accudito. Non si ribella, non media il "conflitto", si disinteressa del destino degli altri fantasmi. A lui interessa solo mangiare gli "hamburgers". E del resto ai suoi padroni interessa solo che stia in silenzio e rappresenti, almeno per le loro coscienze, la dimostrazione del fatto che possono esistere dei fantasmi buoni. A patto che siano addomesticati. E soprattutto che mangino gli hamburgers come fanno gli uomini.

In realtà questa fantasia americana è ben radicata nella cultura cinematografica, ed è dimostrata da svariati esempi, dall'indiano collaborazionista, al robot sabotatore, dal comunista pentito all'alieno fratricida, dal nero detective-di-strada all'indigeno garçon-pipì.

È molto presente la figura del "figlio del nemico" accudito e addomesticato dalle "forze del bene", anglofoni caucasici, i quali lo crescono con una morale retta, un amore indissolubile per la patria, un distacco ed un odio profondo verso la stoltezza dei suoi simili. Gli indicano la strada da percorrere, e gli forniscono gli strumenti per liberarsi dall'arretrata tradizione, dall'obsoleta vacuità culturale e dal cieco disinteresse allo sviluppo, in modo da abbracciare pienamente gli ideali del bene, incarnati nella modernità e nell'agio del nuovo stil di vita.

Eppure, con tutto ciò che gli viene fornito, dopo tutti gli insegnamenti materni che gli vengono proposti, dopo tante fatiche spese ad incanalarlo nel giusto, non possiamo non rimarcare la sua palese, quasi genetica, non appartenenza alla razza dei buoni.

Il pellerossa non saprà mai maneggiare una pistola come un vissuto cowboy, il comunista non capirà mai che sopra l'hot dog ci va la senape, il detective nero non riuscirà mai a risolvere un caso senza l'aiuto della spiccata intelligenza del compare bianco. Del resto neanche Slimer ha imparato a mangiare degnamente gli hamburgers, suscitando disgusto, ribrezzo e ilarìa fra i suoi amici umani.

Non ho ancora centrato l'argomento del titolo "Islam moderato? No, grazie!". Ma abbiate fiducia, prima di arrivarci è necessaria un'altra piccola riflessione, stavolta non cinematografica, che ci porterà al tema da affrontare.


L'ignoranza. E la paura dell'ignoto.

Lungi da me lo scrivere su di un tema di cotanta profondità - solamente pochi Kundera saprebbero parlare degnamente dell'Ignoranza - ritengo giusto spendere qualche parola per guidare i lettori attraverso il mio linguaggio.

L'ignoranza in effetti non è un male. L'ignoranza intensa come non conoscenza è comune a qualsiasi uomo o donna sulla terra. Non esiste l'uomo onnisciente, tutti noi ignoriamo qualche cultura, scienza, mestiere o quant altro. È normalissimo che io, per inerzia, non conosca niente della poesia cinese, della tradizione kazaka, della cucina mongola o della religione inca. Non sono, in questo caso, culturalmente inferiore. Sono nella norma. Ma sarei culturalmente superiore se mi informassi e studiassi, dalle fonti, ciò che ignoro.

Il problema dunque non è avere una lacuna culturale. Il problema è di come tale lacuna viene colmata.

In Italia, e lo dico da italiano, devo constatare una profonda, e comunque comprensibile, non conoscenza dell'Islam. E questo, come dicevo, è comprensibile ed assolutamente normale. È ovvio che in Italia le persone abbiano imparato a confrontarsi con una religione come l'Islam soltanto da pochissimo, relativamente parlando. Molta gente ha semplicemente riscontrato, rilevato la necessità di comparare le proprie convinzioni e certezze solamente dopo il famigerato "undici settembre", data dalla quale l'individuo, inteso come persona singola, ha dovuto imparare a gestire quella matassa di informazioni che rimandavano alla politica internazionale, la globalizzazione, le religioni, le grandi guerre. Argomenti che fino ad allora erano sì presenti, ma sommessi da quel velo di serenità diffusa in seno alla tranquillità economica, politica e, soprattutto, la non presenza di questa psicosi diffusa che esalta qualsiasi emozione all'ennesima potenza.

Nonostante questo processo, evolutosi negli ultimi 5 anni, possiamo ancora dire che l'ignoranza sul tema Islam è largamente diffusa ed ancora radicata. Ma ciò, come dicevo, non comporta un male:

Il pericolo, il grande, reale rischio che stiamo correndo in questo triste periodo storico, è che tale vuoto venga colmato, livellato, con dell'informazione distorta. La vera minaccia alla nostra cultura è che gli stereotipi, la disinformazione, la dialettica giornalistica e tutte le idées reçues retaggio di un orientalismo ottocentesco, risultino preponderanti, e prendano il posto della ricerca, dello studio, della lettura e dei viaggi alla ricerca della vera fonte di informazione.

In realtà questo rischio non è una minaccia lontana. Purtroppo queste idee sono filtrate a fondo e compenetrate nella società giornalistica, e l'inerzia diffusa nel ricercare l'informazione dalle fonti certificate (moschee, associazioni islamiche, centri culturali), rende questo processo ancora più melmoso e inestricabile.

Ci accontentiamo del giornaletto gratuito distribuito alle stazioni o alle fermate degli autobus, ci lasciamo imboccare dai telegiornali e ci lasciamo abbindolare dai latrati di pittoreschi personaggi ospiti nei vari talk show televisivi.

Le nostre esperienze non sono, purtroppo, sedute di dialogo, incontri di scambio o viaggi di ricerca culturale. Le nostre esperienze sono i telegiornali e i talk show. Ma le esperienze sono la base delle nostre convinzioni. Ed ecco che le nostre convinzioni derivano e si forgiano da ciò che il mass media ci propone. Veniamo bombardati da notizie e commenti, e alla fine siamo convinti, saldamente e indissolubilmente convinti, che quella sia la realtà, o la verità.

Nel migliore dei casi questo tipo di distorsione culturale genera timore, sospetto, distacco, apatia. Ma ciò può degenerare passando all'intolleranza, l'odio, il disprezzo, e, nel peggiore dei casi, la xenofobia e la violenza.

E di esempi, ahimé, l'uomo ne ha avuti diversi.

Essere critici in modo razionale su ciò che ci viene fornito è oggi uno dei pochi atteggiamenti che riescono a rievocare quell'innocenza, ormai remota, del giudizio sereno distolto da qualsiasi tipo di pregiudizio indotto dall'immaginario. Il Dialogo, così come lo intendevano i sommi riuniti nelle sedute di dialogo nella Baghdad abbaside, ovvero il riuscire ad elevarsi dalla caducità e transitorietà della vita terrena, e, rapportandosi con l'interlocutore in una sincera e consapevole contemplazione reciproca, incontrarsi in un punto di mutuo scambio e comprensione (metafisica), è, a mio avviso, l'unica ed ultima strada da seguire oggi. Il dialogo per ritrovare noi stessi. Il dialogo per ritrovare gli altri. Il dialogo per viaggiare in modo semplicemente armonioso.

Ma questo è un altro discorso, che mi ripropongo di approfondire… torniamo adesso a noi.

Nella maggior parte dei casi, l'ignoto rimane tale, in quanto la massa di informazioni distorte che dovrebbero avere il compito di dare un perché (per quanto lontano dal vero sia questo perché), sono talmente contraddittorie, ingarbugliate e mescolate con la politica nostrana, che preferiamo astenerci dal comprenderle. Ascoltiamo distrattamente il reportage del giornalista avventuriero, perché ormai non ci interessa la presunta verità sull'Islam. Non ricerchiamo il dettaglio. L'importante è il sentore generale. Ci viene riconfermato, riproposto per l'ennesima volta, che l'Islam è, in qualche modo, in combutta con il Male (quello con la m maiuscola). E questo ci basta, ci accalora nella nostra mediocrità, ci rassicura sul fatto che l'ignoto (l'Islam) ha un suo ruolo. L'importante è che questo ruolo venga evidenziato e domato.

Il problema di fondo è la creazione di questo immaginario: c'è un sentore, una percezione generale, diffusa, di questo Islam di cui tutti parlano ma nessuno sa niente. C'è questa sibilante sensazione di un'entità indefinita, oscura, tenebrosa, ubicata probabilmente a Sud dell'Illiria, o a Est dell'Anatolia. Impalpabile e non rappresentata. Veemente e senza confini. Come una nube all'orizzonte, annunciatrice di un'imminente tempesta.

Chi è "Allah"? o, per dirla alla maccheronica, "Allà"? chi sono questi musulmani? da dove spuntano, chi li guida? Il leader di questi popoli è tanto ignoto quanto il nucleo centrale della loro fede. Perché credono se non c'è una figura esistente che li rappresenti?

Al massimo riusciamo ad immaginarci un "Allà" simile al Saruman della Terra di Mezzo, con le orde barbare delle miriadi di musulmani che si proiettano nelle nostre menti come degli oscuri e temibili orchi. La lotta del bene contro il male. Lapalissiano.

Ben pochi sanno che ad esempio "Allah" è l'equivalente arabo del "Dio" italiano, del "God" inglese o del "Dieu" francese. Molti si stupiscono quanto giunge alle loro orecchie la notizia che Gesù è, per i musulmani, un Profeta tanto quanto Muhammad, Abramo, Noè, Mose e tutti gli altri, e soprattutto che Maria (Mariàm) è una delle quattro donne più "santificate" nell'Islam. Addirittura molti rimangono attoniti di fronte al fatto che un musulmano, per poter essere definito tale, deve credere non solo nel Corano, ma anche negli altri due libri sacri, ovvero la Torah e il Vangelo.

In verità, ciò che ci unisce è molto più significativo di ciò che è stato usato per dividerci. Se i punti di disaccordo sono stati utilizzati nella storia per generare tutto il male che abbiamo visto, non riesco ad immaginare cosa potrebbe generare in positivo la quantità di verità che ci lega. Se solo riuscissimo ad insegnare ai nostri figli queste realtà potremmo sperare di costruire un futuro migliore basato sul sincero dialogo e scambio culturale.

Tornando al tema dell'immaginario collettivo, della proiezione mentale che il mass media ha contribuito a creare in merito alla religione (e non solo) islamica, ritengo giusto citare Edward Said, che nel suo famoso "Orientalismo", spiega benissimo questo meccanismo: C'è un popolo che si crea un regno. Tutto ciò che è compreso fra le mura si chiama Regno del Bene. Le popolazioni esterne alla recinzione sono, generalmente, i Barbari.

Le origini di ciò che viene definito orientalismo non sono recenti e non sono legate all'attualità o all'11 settembre (data che spesso è definita come "spartiacque" dal quale è poi originata tutta la questione). In realtà se andassimo a vedere la storia della regione capiremmo che questo concetto è molto antico. Si parte dal medioevo, periodo in cui vi sono stati i primi sguardi dell'occidente all'allora sconosciuto mondo orientale, percepito ancora come landa deserta, esplorata da mercanti e guerrieri. Questa idea di civiltà ignote, esotiche e misteriose, si protrae fino ai primi del 1700, quando, durante il secolo delle colonizzazioni, si attua un processo di modifica a tale percezione, in quanto passiamo da un'idea di ignoto, al concetto di occidentalizzazione dell'Oriente, partendo dal presupposto che la struttura sociale e politica dell'Occidente era in qualche modo più evoluta, dunque l'Oriente doveva esistere, essere conosciuto, e addomesticato in base alla necessità di creare un "Oriente" complementare all'idea di "Occidente". Non esiste un "Occidente" senza un "Oriente". Non esiste un "noi" senza un "loro".

Dunque da una parte abbiamo l'ignoranza colmata con la distorsione mediatica, che, come abbiamo detto, genera timore, apatia, disprezzo ed autoesaltazione. Dall'altra abbiamo ignoranza non colmata, con la conseguente creazione di un immaginario molto generalizzato che va sotto il nome di Ignoto.

Islam è ignoto. Ne abbiamo timore. E la soluzione che la società giornalistica (sempre meno responsabile) ci propone si chiama disprezzo, scherno e scontro di civiltà.

Non più dialogo, scambio culturale, comprensione reciproca o sincera contemplazione ed acquisizione di ricchezze culturali. Bensì odio, accuse, muri e chiusura.

Ecco la vera minaccia al nostro intelletto.

È la risposta istintiva verso ciò che è ignoto.

Ed ecco perché, per ovviare a questo timore di fondo, la società ha sempre più bisogno di appigli per giustificare le proprie posizioni, rabbonire gli animi, e riappacificare le proprie coscienze.

Ecco che si viene a creare il musulmano buono, o, in modo più mediatico, il musulmano "moderato".

È questa, signore e signori, una figura estremamente perfetta nel puzzle di questi tempi. Il musulmano moderato è il musulmano laico (ossimoro intrinseco), ambiguo, docile, immigrato regolare, non frequentatore di moschee. Ritiene che gli iracheni che combattono un invasore oggettivo siano da considerare "terroristi". Pensa, pur essendo musulmano, che l'Islam sia la religione del maschilismo (come se Dio avesse bisogno di differenziare fra i due generi di una sua creatura). Se è una donna, infatti, generalmente è una marocchina che non ama portare il velo (ignorando il fatto che il velo è proprio in funzione della prevenzione di un giudizio classicamente maschile sull'immagine della donna).

Il cosiddetto musulmano moderato getta sospetti sui luoghi di culto, rappresentandoli come potenziali luoghi di concentrazione e fermentazione terroristico-sovversiva (cose che succedono solo nei fantafilm americani). Il musulmano moderato ama la modernità, il progresso e l'evoluzione tecnologica seguendo l'errata equazione "nuovo = migliore" , e soprattutto disprezza l'arretratezza dei musulmani non-moderati (estremisti? integralisti? terroristi? barbuti tagliagola?), giudicandoli chiusi nella loro scatola religiosa, incapaci di reagire alle prediche degli "imam" in quanto essenzialmente pecore che, non avendo conosciuto lo splendente occidente, classico e cristiano, sono destinati a rimanere chiusi nelle loro convinzioni religiose.

Il musulmano moderato ama la libertà, la democrazia, la civiltà e il bene. Tutte questioni molto lodevoli, se non per il fatto che tali concetti sono accettati dal punto di vista unilaterale dell'interpretazione "liberal-protestante" che gli viene fornita.

Giustamente, un personaggio di questo tipo, in questa epoca, non può che essere decisamente accolto: è infatti una persona che ha una sua rispettabilissima opinione, perfettamente integrato, preferisce parlare italiano, si vergogna un po' di dichiararsi musulmano, non frequenta moschee e collabora contro la "rete del terrore", rappresenta in definitiva una figura positiva che contrasta con l'immaginario negativo dell'ignoto e ci rassicura che in effetti possono esistere dei musulmani "buoni". A patto che siano addomesticabili, e, soprattutto, che siano "moderati".

Il "musulmano moderato" è un pellerossa col cappello da gringo, è un negro che balla il tip tap, è un musogiallo che veste Armani, è un communist che brinda al McDonalds.

In definitiva, il musulmano moderato, è uno Slimer che mangia gli hamburgers.



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