La bellezza come arma politica

Tre in uno: jazzista, scrittore e attivista
una conversazione con Gilad Atzmon

quinta e ultima parte
 




di Manuel Talens


Per agevolare la lettura, questa intervista è stata divisa in più parti.

Alla nota introduttiva


gilad atzmon


MT: Conosco solo i tuoi due più recenti dischi, EXILE e musiK. Dal primo pezzo di EXILE sono rimasto colpito sia dalla sensualità del tuo sound, che dagli occasionali temporali violenti, sia quando suoni il clarinetto che il sassofono. Prima orditevi che the Coltrane e Bird (Charlie Parker) avevano cambiato la tua vita, e in effetti il tuo fraseggio mostra l'influsso di entrambi. Cosa è il jazz per te?

GA: Il jazz è la libertà che si fa da sé. È sia un appello alla liberazione che una sfida ai propri confini personali. Suonare il jazz è porsi lo scopo di liberare se stessi, sapendo che ciò non succederà mai.

MT: La tua risposta ha risvegliato in me un ricordo. Hai mai letto il racconto, "The Pursuer" [ndt: "L'inseguitore"]?

GA: No.

MT: Mai sentito nemmeno nominare?

GA: No.

MT: Parla di Charlie Parker, anche se il personaggio fittizio si chiama Johnny, un artista che insegue l'arte. Te lo consiglio vivamente, sono sicuro che ti piacerà. "The Pursuer" è la traduzione inglese di "El perseguidor", e il suo autore, l'argentino Julio Cortázar, è stato uno dei più grandi autori di racconti di tutti i tempi. Ma proseguiamo con la tua poetica della musica. Alcuni anni fa, ho tradotto un brillante testo che avevi scritto sul jazz come attività rivoluzionaria. Potresti ripetere qui alcune delle idee che avevi sviluppato in quel testo?

GA: Ho sostenuto in quel testo che il jazz, al suo meglio, è in realtà una forma di arte rivoluzionaria antiamericana. Chiaramente, gli artisti jazz - e mi riferisco in particolare agli artisti bop e post bop - erano pienamente coinvolti nella lotta per i diritti civili dei neri a partire dai tardi anni Quaranta fino ai tardi anni Sessanta. Il jazz allora costituiva un appello alla libertà ed era in se stesso un esercizio di libertà. A quei tempi, il jazz era una musica emotiva e significativa.

Mentre il jazz divenne una forma estremamente popolare in Europa dopo la guerra, negli Stati Uniti ai giganti del jazz era vietato entrare dall'ingresso principale in certi club e sale da concerto. Trattandosi dell'unica forma d'arte originale a nascere negli Stati Uniti, il jazz divenne un simbolo del razzismo e dell'oppressione statunitense.

Nei tardi anni Sessanta, l'elite statunitense si accorse che il jazz poteva servire come veicolo propagandistico. Fu allora che divenne la "voce dell'America" ufficiale. Nello stesso momento, il jazz cessò di essere una forma rivoluzionaria d'arte. E allo stesso tempo, i neri americani venivano mandati a morire in massa per gli interessi globali americani nel Vietnam.

La storia del jazz è la storia dell'abuso americano della propria popolazione. L'incredibile negligenza di Bush in seguito all'uragano Latrina serve solo a sottolineare questo fatto. New Orleans, uno dei grandi capitali del jazz, è stato lasciato affogare assieme ai suoi abitanti neri poveri. A quanto pare, gli Stati Uniti non hanno imparato nulla. Una nazione che è impegnata nell'uccisione quotidiana di altre nazioni prima o poi volgerà la spada contro il proprio popolo.

MT: Ti dico quattro nomi, due jazzisti e due protagonisti del rock: Bird, Chet Baker, Jimi Hendrix e Jim Morrison. Sei stato ispirato da loro?

GA: Certamente. Bird fu l'uomo che mi trasformò in un amante del jazz, Chet mi ha fatto capire tutto dell'amore, Hendrix è esistenziale e Morrison… probabilmente dovrei dedicargli più tempo.

MT: Voglio riassumere in poche parole quello che mi ricordo del tuo precedente album, EXILE. Inizia, in maniera impressionante, con "Dal'Ouna On The Return", un dialogo tra il tuo clarinetto e la voce del cantante palestinese Reem Kelani sullo sfondo di un lungo sostenuto basso. Bellezza allo stato puro. Secondo gli appunti allegati con l'album, la seconda canzone, "Al-Quds", si basa su una musica israeliana molto popolare tra gli ebrei durante la guerra dei sei giorni, ma con un trucco: le parole in ebraico sono state cambiate in una poesia araba che esprime il desiderio palestinese per la patria perduta. L'intento politico non poteva essere più esplicito: tutti i popoli privati di qualcosa albergano gli stessi sentimenti, e nel corso degli ultimi sessant'anni, i palestinesi vivono gli stessi tormenti che gli ebrei hanno sofferto nel corso di due millenni.

"Ouz" racconta la storia degli insensibili coloni sionisti che si insediano felicemente in terre palestinesi previamente confiscate. Ma il pezzo che ricordo meglio è "Exile", un pezzo strumentale tradizionale ladino. Non è a causa del mio amore per i ladinos (ebrei di origine spagnola, che hanno conservato con ostinazione la lingua spagnola nei quattro secoli da quando i genocidi Re Cattolici li deportarono), ma per via del ritmo che applica alla melodia il tuo suonatore di tamburo Asaf Sirkis, che è esattamente lo stesso ritmo delle processioni religiose che si svolgono durante la settimana santa nella mia Andalusia. Non so come dirlo, "Exile" mi ha riportato alla mia infanzia. Ogni volta che ascoltavo, pensavo quanto avesse ragione lo storico Américo Castro a scrivere che noi spagnoli siamo un misto di cristiani, mori ed ebrei. Hai qualche commento da aggiungere?

GA: Solo per dirti che la tua prospettiva poetica sul mio lavoro mi ha veramente toccato nel cuore, e lo dico sul serio. Chiaramente, trovo molto più affascinante la cultura ladino che quella Klezmer, un furto culturale ashkenazita di musiche dell'Europa orientale e zingara. Anche se mi sono impadronito del Klezmer, non ne farei mai una registrazione. Al contrario della dolce musica ladino, ricca di anima, il Klezmer è sempre troppo rumoroso, suonato male e gli manca ogni finesse estetica. Detto ciò, esiste uno straordinario musicista che è riuscito a trasformare il Klezmer in una forma di arte. Chiaramente mi riferisco al maestro di clarinetto, nato in Argentina, Giora Feidman. In termini musicali, il Klezmer è sostanzialmente musica zingara suonata molto male. Talmente male da diventare uno stile. Il ladino, invece, è un'espressione poetica e autentica. Se ti vuoi davvero regalare la bellezza della cultura ebraica, concediti un favore, passa vicino a una sinagoga sefardita il Giorno dell'espiazione e ascolta l'antica musica dell'Andalusia. Bellezza allo stato puro.

MT: Conosci il flamenco?

GA: Certamente.

MT: Ti ha ispirato?

GA: Non fa parte del nucleo della mia ispirazione, ma ti dirò che per me la musica non è divisa in caselle. La musica è semplicemente musica. Quelle caselle - flamenco, jazz, pop, tango, Drum 'n' Bass, World, latino, rock e così via - servono solo all'industria musicale. Esistono per fornire un'immagine di pluralismo.

MT: musiK, il tuo ultimo album, include un tango lento ("Joven, hermosa y triste", chiaramente cantato in spagnolo dall'argentino Guillermo Rozenthuler, presumo un altro essere umano che ha avuto casualmente genitori ebrei)…

G: Certamente, tutti gli ebrei con cui comunico con successo, e a cui mi è capitato di volere bene, appartengono alla prima e seconda categoria.

MT: …poi c'è una curiosa commistione: "Re-arranging the 20th Century", con un tributo a Charlie Parker, e in primo piano Robert Wyatt; e un impressionante pezzo strumentale, "Liberating the American People". La sua struttura è più universale di quella dell'album precedente, e mi sembra confermare che la tua evoluzione politica e artistica ti sta portando verso una comprensione più globale dei problemi locali. Se consideriamo inoltre le sleeve notes che hai scritto sul significato del termine musiK (con una "K" maiuscola anziché una "c") come musica priva del proprio valore di mercato, l'intenzione politica di sinistra del prodotto finale è abbastanza evidente, ma ho qualche dubbio quando ascolto un altro pezzo, la versione jazz della canzone tedesca "Lili Marleen", che fu assai popolare durante la seconda guerra mondiale tra i soldati sia nazisti che alleati. Potresti dirci qualcosa in più sul significato di MusiK e l'inserimento di "Lili Marleen" in esso?

GA: musiK, al contrario di musiC, è la ricerca della bellezza. Mentre musiK si riferisce all'estetica continentale, musiC si riferisce alla mercificazione angloamericana della bellezza e la riduzione dell'estetica a una semplice moda. "K" sta per bellezza, e "C" per avidità capitalistica. Questa distinzione appare in modo netto nella differenza tra Kultur e Cultura. Se non ti dispiace la volgarità, dire che mentre la "K" sta per Kant (Emmanuel), la "C" sta per quel "coglione" di Milton Friedman.

Mi hai chiesto di "Lili Marleen", e ti dirò la verità. Non è una canzone eccezionale, eppure è riuscito a far sì che la gente smettesse di sparare. Io ci provo da tre anni. Non ho certo avuto successo, ma ci provo.

MT: Hai mai suonato in America Latina?

GA: Sì, in Argentina e Uruguay. Mi è piaciuto moltissimo. Mi trasferirei volentieri. Come forse sai, il tango è il mio più grande amore.

MT: Ho parlato dell'America Latina perché, in quanto cortile di casa dell'impero, i suoi popoli hanno sofferto per le politiche di Washington da oltre un secolo, e forse questo è il motivo per cui la maggioranza dei latinoamericani "capisce" il tormento dei palestinesi e sono a favore della loro causa contro Israele. Esiste anche un parallelo tra le posizioni contrapposte dei governi latinoamericani e dei loro cittadini riguardo ai palestinesi e ai cubani, perché i governi hanno la tendenza a essere politicamente corretti e a limitarsi molto, mentre è difficile trovare latinoamericani poveri a livello di strada - la grande maggioranza della popolazione del Cono sud - che non ammirino il coraggio di questi due popoli, così lontani in termini di cultura e di storia e così vicini in termini di resistenza. Vorresti suonare la tua MusiK a Cuba?

GA: Certamente.

MT: Sicuramente ti innamoreresti anche della salsa cubana.

GA: E' vero, prima che l'Orient House Ensemble incontrasse il successo, io mi guadagnavo da vivere suonando salsa e girando con vari complessi cubani.

MT: Parliamo un po' dei tuoi libri. Come è che hai deciso di diventare un romanziere ?

GA: Io non ho mai deciso di diventare un romanziere. Anzi, ho scritto il mio primo libro per i miei amici e parenti stretti. Ho scritto i primi due o tre capitoli, e l'ho mandato a Yaron Stavi, il mio bassista da 14 anni. Gli piacque molte; anzi, fu la sua approvazione che mi diede la forza di continuare a scrivere per un po' di tempo. Poi ebbi un incidente: quando il mio manoscritto era più o meno completo, l'hard disk del mio computer morì. Il file del libro era irrecuperabile. Pensavo che poteva essere un "segno". E quindi rinunciai all'idea di diventare uno scrittore. Tutto ebbe luogo nel 1994, mentre seguivo il mio dottorato di ricerca nel Regno Unito.

Nel 2000, un accademico libanese mi chiese di presentare un articolo con le mie opinioni su Israele e l'ebraicità. Tornai al mio vecchissimo portatile e fui sconvolto a trovarci un file quasi completo del libro. Cominciai a leggerlo, e lo trovai coinvolgente. Lo mandai a un editore in Israele, offrendo di pagare le spese di stampa. Dopo meno di ventiquattr'ore, l'editore mi chiamò dicendo che potevo risparmiare i soldi, perché il manoscritto era piaciuto moltissimo ed erano pronti a pubblicarlo. Come vedi, sono diventato scrittore senza mai essermi deciso a diventarlo.

Non mi vedo come autore e non capisco nemmeno quello che scrivo. In genere, capisco i miei libri due o tre anni dopo che sono usciti. Solo di recente sono riuscito a capire il mio ultimo lavoro pubblicato (My One and Only Love). Adesso mi rendo conto che questo libro è una decostruzione della nozione di trauma ebraico, o della nozione di trauma in generale. Capisco adesso che il mio libro è tutto sul fatto evidente che il trauma precede l'evento traumatico. Il trauma dell'olocausto precede l'olocausto stesso, proprio come il trauma dello stupro precede lo stupro stesso. In breve, il "post traumatic stress disorder" (PTSD) precede l'evento traumatico. Per quanto possa sembrare bizzarro, me ne rendo conto adesso, ma non me ne rendevo conto mentre scrivevo un libro proprio su questo tema. A quanto pare, i libri sono delle dritte che ci fornisce il nostro stesso inconscio.

MT: Lasciami dire che Gabriel García Márquez una volta disse che i veri romanzieri scrivono un solo libro, anche se ne pubblicano molti; e questo vuol dire che le diverse trame scelte sono variazioni su un'"unica trama" profondamente radicata nell'inconscio che vive nel profondo degli autori, anzi gli autori non hanno la possibilità di scegliere, ma vengono scelti da questa unica trama. Mi fa piacere che concordi con questo approccio psicoanalitico che ci aiuta a distinguere un romanziere che scrive ciò che non può fare a meno di scrivere dall'autore di best seller che scrive qualunque cosa ne riempia le tasche.

GA: Sì. In un certo senso, sento che se fossero i miei libri che si scrivono da soli. Provo la stessa cosa con la musica. Sono una specie di catalizzatore, di estensione fisica di una persona che mi è sconosciuta. Meno interferisco coscientemente con la mia letteratura o con la mia musica meglio è. Io credo che la musiK e la letteratura si producano da soli, quando muore l'io. Ovviamente non è così facile sopprimere l'io e l'egoismo. Questo è il motivo per cui la letteratura, la poesia e la musiK vengono sconfitte nell'arena culturale liberaldemocratica.

MT: Perché per il tuo romanzo hai usato lo stesso titolo dell'opera principe di Maimonide, Guida ai perplessi?

GA: Per me, Maimonide si trova al centro stesso dell'ideologia di suprematismo ebraico e di odio per l'Altro. Per citare il grande Israel Shahak: "la Mishneh Torah di Maimonide è piena non solo dei precetti più offensivi contro tutti i gentili, ma anche di attacchi espliciti al cristianesimo e a Gesù".

Mosè Maimonide è considerato il più grande codificatore e filosofo della storia ebraica. Vediamo cosa dice questo grande rabbino dei gentili, dei cristiani e degli ebrei dissidenti.

Nella Mishneh Torah, Maimonide ci insegna che "se vediamo un idolatra (un gentile] che sta per essere portato via o annegato in un fiume, non dovremmo aiutarlo. Se vediamo che la sua vita è in pericolo, non dovremmo salvarlo." (Moznaim Publishing Corporation, Brooklyn, New York, 1990, capitolo 10, traduzione inglese, p. 184). Ma non è solo il gentile che va punito: "è una mitzvah [dovere religioso]", dice Maimonide, "sradicare i traditori ebrei, minnim e apikorsim, e farli scendere nel pozzo della distruzione, perché essi creano difficoltà per gli ebrei e allontanano il popolo da Dio, come fecero Gesù di Nazaret e i suoi allievi, e Tzadok, Baithos, studente i loro allievi. Che marcisca il nome del malvagio."

Quello di Maimonide è un messaggio di puro odio, ma questo messaggio si trova al riparo, nel nucleo stesso della filosofia ebraica. Dieci anni fa, quando scrissi il mio libro, la mia intenzione era di criticare Maimonide. In origine, volevo chiamare il mio romanzo Guida ai perplessi. Una versione riveduta. Poi, ripensandoci, mi sono reso conto che l'unico modo in cui gli ebrei potevano avanzare verso una nozione di umanesimo universale sarebbe stato attraverso la cancellazione di Maimonide e l'eliminazione delle idee oltraggiose che aveva predicato. Ero sicuro che entro pochi giorni dalla pubblicazione della mia Guida, i libri di Maimonide sarebbero spariti. Ero anche convinto che il mio romanzo sarebbe entrato a far parte della Bibbia. Evidentemente, mi sbagliavo, appena due settimane dopo il mio libro fu addirittura messo al bando in Israele. Fu allora che mi resi conto che non dovevo più sprecare energie sugli israeliani sionisti [Hebraic]. Anziché parlare agli israeliani, io parlo al mondo a proposito degli israeliani. Come forse sai, è impossibile oggi trovare la mia Guida ai perplessi in ebraico, ma la puoi trovare in molte altre lingue. E questo mi fa molto piacere.

MT: Quando ho cominciato a leggere quello che sapevo essere il tuo primo romanzo, fui colpito subito dal tuo straordinario umorismo. Infatti, e senza voler stiracchiare troppo il confronto, mi ha fatto venire in mente un altro primo romanzo, ugualmente geniale, The Apprenticeship of Duddy Kravitz, scritto da un altro fortunato inquilino della SHIT list, Mordecai Richer. Sei d'accordo che l'umorismo è solo una facciata che maschera la tristezza, e che le persone che hanno sofferto sono quelle con maggiore senso dell'umorismo?

GA: Non lo so. Di nuovo, mi rifiuto di vedermi come un sofferente. Però, in base alla mia esperienza, mi sembra che le persone più divertenti attorno a me siano maniaco-depressive. Io comunque non lo sono. Combattere il male mi accende, e la risata è una delle mie armi.

MT: Dove pensi che tutto ciò possa condurre un impegno politico di sinistra portato alle estreme conseguenze, dove si esclude ogni concessione alla destra?

GA: Caro amico, mi dispiace molto dirti che la destra non sarà sconfitta, non potrà essere sconfitta. Ma nemmeno la sinistra può essere sconfitta.

Il mio punto di vista filosofico sul tema è molto semplice. Mentre il pensiero ideologico di destra si occupa della domanda, "cosa è l'uomo?", gli studi critici di sinistra cercano di rispondere alla domanda, "come dovrebbe essere l'uomo?" In altri termini, la "destra" è esistenziale mentre la "sinistra" è normativa. La tragedia umana è che a causa dei limiti della condizione umana, non si può comprendere pienamente né l'esistenziale né il normativo. L'esistenziale ci è troppo vicino per essere colto pienamente, mentre il normativo è fantasmatico: si tratta di un'ideologia strutturata sotto forma di sogno. La tragedia della condizione umana è che si trova intrappolata tra l'esistenziale e il normativo.

Vedi, il normativo (sinistra) e l'esistenziale (destra) non costituiscono fattori in opposizione tra di loro, ma sono piuttosto qualità umane complementari. Ma la faccenda va ancora più in profondità. L'umanesimo e la compassione si possono realizzare sia in termini esistenziali che in termini normativi. Il bene, quindi, non ci permette di appartenere né alla sinistra né alla destra. Il bene appartiene all'umanità, eppure l'umanità si perde nella ricerca di un legame che la unisca.

Come sai, io non sono un politico e non intendo diventarlo. Sono un artista e il mio unico dovere consiste nel veleggiare al di sopra del discorso e di cercare di integrare queste due facoltà umane elementari. Mi sforzo a unire "essere" con "fantasia". Il mio dovere è semplicemente quello di assicurare che la musiK trionfi e che prevalga la Kultur. Sono qui per combattere contro il sionismo e l'America e la bellezza è la mia arma. Può sembrare un po' sciocco, ma questa è la mia guerra, è una guerra che amo combattere e - lasciamelo dire - che vinco ogni notte.

MT: Con piacere, signor Atzmon.

GA: [sorride].

Alla nota introduttiva



Gli articoli apparsi originariamente su questo sito possono essere riprodotti liberamente,
sia in formato elettronico che su carta, a condizione che
non si cambi nulla, che si specifichi la fonte - il sito web Kelebek http://www.kelebekler.com -
e che si pubblichi anche questa precisazione
Per gli articoli ripresi da altre fonti, si consultino i rispettivi siti o autori




e-mail


Visitate anche il blog di Kelebek

Home | Il curatore del sito | Oriente, occidente, scontro di civiltà | Le "sette" e i think tank della destra in Italia | La cacciata dei Rom o "zingari" dal Kosovo | Il Prodotto Oriana Fallaci | Antologia sui neoconservatori | Testi di Costanzo Preve | Motore di ricerca