C'è una storia che quasi
certamente non conosci. Come potevi? Non te l'ha mai raccontata nessuno.
Un ragazzo di terra da solo sul mare, solo
tra il sale dell'abisso e il sole d'agosto. È un Rom su un pezzo
di legno. Passano i giorni e passano le notti. Lo trovano i pescatori.
È l'unico vivo. Erano in centocinque e lui è l'unico che
è rimasto.
Centoquattro corpi a nuoto lento, alla deriva,
davanti al Montenegro, centoquattro corpi ammorbiditi, addolciti, scolpiti,
erosi dall'acqua; c'è anche un termine scientifico, saponificazione.
Murat lavora in una fabbrica a Bergamo. Va
dagli usurai che anche tra i Rom s'ingrassano di miseria e fa un debito
per tirar fuori suo nipote dal Kosovo.
Il ragazzo arriva vivo. Ma tredici parenti
della moglie di Murat erano sulla nave affondata. Tredici parenti. Ricordi,
risate, affetti, gelosie, odi furiosi, scherzi - saponificati, accarezzati
e mordicchiati dai pesci.
Murat è andato fino in Montenegro
per riconoscere quei ciottoli bianchi di carne, dove erano riconoscibili
solo i nomi tatuati secondo antico costume sulle braccia - gli strani nomi
dei Rom, infinitamente diversi tra di loro.
"Bombing slot"
Avevo conosciuto Bajram e Rezijana Berisha
a Verona nel 1992. Una visione non insolita: Reska - come la chiamano in
genere - è una "zingara" proveniente dal Kosovo, su una sedia
a rotelle, che accoglie in silenzio la carità, più che chiederla;
e vicino a lei, a volte, suo padre. Facile malignare, immaginandosi che
alla fine della giornata la ragazzina ripieghi la sua carrozzella da finta
invalida e dia a suo padre i soldi per andarseli a bere all'osteria.
Reska
Non ho conosciuto Bajram e Reska nel luogo
dove chiedevano l'elemosina. Li ho conosciuti in un tratto desolato delle
sponde dell'Adige, periferia postindustriale. Lei era davvero su una carrozzella,
fulminata dalla poliomielite a tre anni; lui faceva saltuariamente lavori
in nero. Solo quando non lo chiamavano al lavoro andava a far compagnia
a sua figlia. Nessun dubbio, i soldi che rimediavano non se li andava a
bere.
Per sette anni, non avevo saputo più
nulla di loro: sapevo solo che si erano trasferiti a Brescia. Poi ho sentito
di cosa stava succedendo in Kosovo. Era una realtà sdoppiata: c'erano
tutti i dolori reali di cui i Balcani sono carichi; ma c'era anche la loro
improvvisa trasformazione in spettacolo di guerra. Sarei stato disposto
ad ascoltare le persone reali, ma come si poteva stare a sentire i portavoce
della NATO quando dicevano che i serbi avevano creato una piccola Auschwitz
nelle miniere di Trepça, dove sembra che in realtà non sia
morto nessuno? Mi sono perso i filmati dei profughi trasportati in Italia
con le navi di Stato, o quelli che magnificavano le lucenti macchine per
uccidere dell'aviazione degli Stati Uniti.
In quei giorni ero andato a prendere
all'aeroporto un uomo d'affari arrivato dalla Germania, che si scusava
per il ritardo - era dovuto al "bombing slot", la fascia oraria dei bombardamenti.
Per intenderci, omicidi aerei dalle 9 alle 11, uomini d'affari dalle 11
in poi, tutti lì ad aspettare pazienti con le loro valigette ventiquattrore.
È solo dopo, quando hanno calato il
sipario e dichiarato che lo spettacolo era finito, inevitabilmente con
il trionfo dei buoni, che ho cominciato ad ascoltare. In piccoli trafiletti
qua e là, leggevo che un intero popolo veniva sradicato. Proprio
mentre i soldati di Clinton giocavano al trionfo facendo il loro ingresso
a Prishtina, i Rom venivano scacciati da una terra in cui erano vissuti
per secoli. Migliaia cercavano di attraversare l'Adriatico in condizioni
terribili, mentre D'Alema rassicurava i perbenisti d'Italia - "li rispediremo
tutti a casa". Alcuni donatori scrivevano sui pacchi che mandavano all'Operazione
Arcobaleno, "solo per gli albanesi, non per gli zingari."