Versione originale dell’articolo comparso in forma abbreviata con il titolo L’uomo qualunque in versione americana, in L’uomo qualunque, anno II, n. 15, 23-4-1998, pp. 12-13]
Nel 1976, il sociologo nordamericano Donald
I. Warren pubblicava un volume importante sulle nuove tendenze del ceto medio
americano e sulla sua reazione politica a quello che comunemente viene definito
Establishment. In The Radical Center: Middle Americans and the
Politics of Alienation, Warren individuava i segni crescenti di un
malcontento che andava diffondendosi presso una fascia di popolazione compresa
fra i trenta e i sessant’anni, numericamente quasi doppia negli Stati del Sud
rispetto a quelli del centro-nord, composta soprattutto di cittadini di origine
nordeuropea (ma molti erano i discendenti degli italiani), e composta più di
cattolici e di ebrei che non di protestanti laddove fra questi ultimi
spiccavano comunque i mormoni e i battisti. Il reddito medio familiare veniva
stimato fra i 3 e i 13mila dollari annui e l’estrazione sociale era spesso
quella dell’operaio specializzato o semispecializzato con un’istruzione
maturata nella scuola secondaria e raramente completata con il college. Warren lì definì MAR, "Middle American
Radical", e nel 1982, con un saggio intitolato Message from MARs,
il politologo Samuel T. Francis trasformò la sigla in uno messaggio diretto: il
ceto medio statunitense esprime profonda insoddisfazione e si scaglia contro il
"Leviatano federale" dei burocrati di Washington, emissari locali
compresi. Storia, insomma, di una ribellione morale e politica di ampi strati
della società civile contro un governo percepito come unicamente teso a
favorire il grande, grandissimo capitale e — contemporaneamente e senza
soluzione di continuità — destinato ad affogare nella palude dell’assistenzialismo
più deresponsabilizzante, penalizzante e scialacquatore. Sebbene i MAR abbiano rappresentato uno stato
d’animo generalizzato più che un vero e proprio movimento politico organizzato
e strutturato, a partire dalla metà degli anni Settanta la loro crescente
visibilità sociale e politica è sostanzialmente coincisa con l’insorgere di
quella che il sociologo Kevin Phillips ha battezzato "New Right".
Ovvero, quella "nuova famiglia" della Destra americana (con la
"Nuova Destra" francese e italiana essa ha in comune solo il nome)
configuratasi come raggruppamento spesso eterogeneo di sodalizi, associazioni,
periodici, piccole fondazioni e singoli attivisti che ha svolto un’importante
ruolo alla vigilia e in occasione della prima elezione di Ronald W. Reagan alla
Casa Bianca. Secondo alcuni la New Right si allontanava dalla filosofia dei
grandi pensatori conservatori degli anni Cinquanta e Sessanta, ma per altri
essa ha solo cercato di riformularne il messaggio culturale in una nuova
dimensione di attivismo politico. La "Nuova Destra" statunitense è
stata "populista" e anticomunista; alfiere della famiglia
tradizionale e recisamente contraria all’aborto; spesso sovrapponibile alla
cosiddetta "Destra cristiana" dei vari Jerry Falwell (leader della
Moral Majority), ma pure portatrice di una forte componente cattolica di
sensibilità tradizionalista; sospettosissima delle élite finanziarie e
degli oligopoli economico-industriali (la nota Trilateral Commission ne è
divenuta il bersaglio eccellente) nonché favorevole alla diffusione massima
della proprietà privata in un’ottica di riscossa dello "Small
Business" e dello Stato limitato. L’hanno rappresentata piuttosto bene
periodici come il Conservative Digest e The New Right Report, nonché
opere come il programmatico The New Right: We’re Ready To Lead (1980),
introdotto da Falwell e scritto da Richard A. Viguerie (il
"fondatore" del movimento), ma soprattutto il più filosofico The
New Right Papers (1982), una raccolta di saggi (qui compare quello di
Francis già citato) che rappresenta il raccordo fra "Old Right"
conservatrice del dopoguerra e "Nuova Destra". Tradizione e libertà,
patriottismo, disgusto per il progressismo inaugurato dalla
"dittatura" rooseveltiana degli anni Trenta che, favorevole solo al
"Big Business", al "Big Labor" e al "Big
Government", ha sancito il dominio delle grandi Corporation, dei
cartelli delle "grandi famiglie" e dello statalismo; ha promosso una
spesa pubblica ingente, l’elevata imposizione fiscale e lo strapotere dei
sindacati; ha permesso lo stravolgimento della Costituzione federale, nonché il
decadimento dell’istruzione e della cultura, strette in una spirale di generale
involuzione del paese: fra anni Settanta e Ottanta, la New Right ha insomma
espresso il ceto medio americano. Tramontata, per mille ragioni, quest’esperienza
— o trasformatasi in altre realtà, ivi compreso il "tradimento" di
molti suoi esponenti passati dalla critica dell’Establishment all’adesione
a esso —, il mondo dei MAR è invece sopravvissuto, pur modificato, fino ai
giorni nostri. Soprattutto ne sono sopravvissute (o si sono acuite) le
preoccupazioni, i timori, le aspettative: il "messaggio da Marte",
cioè, si è fatto ancora più cogente. Gli Stati Uniti d’America di oggi sono una
nazione dove la disaffezione al voto (a parte certe sue profonde ragioni
storiche) testimonia un malcontento diffuso, un’insoddisfazione generalizzata
che in momenti della storia nazionale come quello clintoniano attuale riconosce
un nemico certo nel progressismo della sinistra, ma che pure non si sente
rappresentato dalla "destra ufficiale" (sempre che di Destra si
tratti) del Partito Repubblicano. Infatti, se un certo favore popolare si
rivolge a questo partito nel momento in cui esso indossa le tematiche care alla
società civile — come con il Contract with America che nel 1994 ha portato Newt
Gingrich e i "nuovi Repubblicani" alla conquista del Congresso dopo
decenni di minoranza —, è altrettanto vero, traumaticamente vero, che il ceto
medio americano si mostra sfiduciato quando gli stessi Repubblicani dimenticano
i patti con i propri costituenti (Gingrich era ieri l’enfant prodige
della New Right, oggi, conquistato dall’Establishment, la bête noire
dei MAR). La protesta dell’ "uomo qualunque"
statunitense è vasta, profonda, decisa; è di destra perché percepisce come
distintamente di sinistra le pratiche e le filosofie liberticide di chi ha
fatto dell’arte del governo solo un servizio al proprio tornaconto, ivi
compresi quegli esponenti di una "destra di facciata" che in realtà
non differiscono affatto dai sedicenti socialdemocratici e dai liberal. "Mind
You Own Business" è la divisa di questo vasto movimento di opinione
composto di famiglie, di associazioni di genitori, di lavoratori, di
contribuenti, di piccoli industriali, di artigiani: e non si tratta di un
microcefalico egoismo "da bottegaio" all’insegna del mors tua vita
mea o del "tanto peggio per gli altri". La devozione al
"proprio orticello" è, secondo Edmund Burke "maestro" dei
conservatori, l’origine dell’impegno civile; l’attaccamento alla "piccola
squadra a cui si appartiene nella società", a iniziare dalla famiglia,
è l’origine dell’affezione alla res publica in una dinamica (per dirla
con Gustave Thibon) di "ritorno al reale" anti-ideologico per
nulla gretto. La filosofia del movimento è infatti quella
dell’attenzione alle problematiche della vita concreta gestita secondo criteri
di libertà altrettanto concreti, che nulla hanno a che spartire con i proclami
giacobini e neogiacobini di Liberté astratta sempre marcata poi da un’eterogenesi
dei fini che instaura dispotismi (anche in doppiopetto blu) insopportabili e
soffocanti. La famiglia, come diceva qualcuno nell’Ottocento americano, è il
castello in cui si fa quadrato per resistere ai nemici. Gli acri di terra
posseduti (il ranch, la farm, oggi il giardinetto che non manca
praticamente attorno a nessuna abitazione della "Smalltown America",
o la piccola e media impresa) sono il frutto della lotta per la civiltà che
sottrae spazi alla condizione brada. Una geografia completa dell’ "uomo
qualunque" nordamericano occuperebbe certamente un intero volume, forse
anche due o tre. Eppure da una prima panoramica si deve pur partire. Piccole
comunità, gruppi, organizzazioni, pubblicazioni (spesso locali), i "terzi
partiti" e i loro capitoli o i loro affiliati regionali e provinciali, ma
soprattutto privati uniti o raccordati spesso in maniera assai fluttuante
costituiscono la morfologia di un movimento di opinione tanto diffuso, quanto
difficilmente catalogabile univocamente. L’immagine che meglio di altre lo può
rendere è quella del network, della rete. Peraltro, il Web, la
rete informatica, ne è oggi uno dei veicoli privilegiati, grazie alla sua alta
fruibilità e al suo vasto utilizzo. La navigazione dello spazio virtuale svela
realtà sempre nuove e sempre in trasformazione (benché si tratti di modificazioni
all’interno di un contesto dato che permane nel tempo con caratteristiche
culturali precise) e si pone come strumento privilegiato di libera connessione
fra esponenti e protagonisti di un mondo poco ufficiale, ma vivacissimo (ne
offre un assaggio Andrea Mancia in Cyberpolitics. Guida ai siti politici su
Internet, Ideazione, Roma 1998). è facile ricevere tonnellate di materiale,
di documenti, di informazioni sulle attività di questa "Main Street"
cibernetica, comunque riferita a una realtà assai concreta: l’albero informe
delle url e dei siti internet affonda le proprie radici nella
terra dura e spesso ingrata che da qualche secolo l’americano dissoda per
liberare spazi di civiltà. Il mondo dell’ "uomo qualunque"
nordamericano, del MAR, è un mondo di Destra, ossia conservatore nei princìpi
e, nel concreto, innamorato degli spazi di libertà autentica contro cui si
ergono le ideologie spersonalizzanti e la "politica politichese". Se
dunque di network si tratta, lo è come parte dell’ancora più vasta e variopinta
galassia della Destra statunitense della seconda metà del Novecento e come
"rete di reti". Il mondo dei MAR è infatti attraversato, non sempre
in maniera ordinata e accomodante, da sistemi solari di diversa estrazione o
enfasi, che lo rendono alquanto eterogeneo. Per queste ragioni forte e debole
allo stesso tempo, la Main Street "qualunquista" è una coabitazione
fra gruppi religiosi, libertarian, conservatori, businessman, pro-lifer,
lobby di vario tipo, e chi più ne ha più ne metta. I libertarian — la cui filosofia, di
derivazione "liberale classica", s’incentra sulla proprietà privata e
sulla libertà massima di commercio e d’intrapresa contro ogni laccio e
lacciuolo governativo — sono rappresentati da strutture organizzate come gli
importanti Cato Institute, Reason Foundation e Ludwig von Mises Institute,
fondato e diretto presso l’Auburn University dell’Alabama da Llewellyn H.
Rockwell, Jr. e di cui è stato un importante animatore lo scomparso teorico
dell’anarco-capitalismo Murray N. Rothbard. Ancora più fitto ed esteso è, però,
il mondo libertarian "informale", dove le tematiche classiche
di questa nebulosa si mescolano in maniera più fluida con la tradizione
conservatrice e religiosa (esistono i Libertarians for Life, antiabortisti, e i
Christian Libertarians) incontrandosi sul giusnaturalismo classico e spesso
cristiano, e nelle battaglie all’insegna dello "Small is
beautiful". Dunque, l’Indipendence Institute del Colorado
propugna il libero mercato e diffonde materiale sugli abusi federali (la
tragedia dei Branch Davidians di David Koresh assediati dall’FBI e periti in
circostanze non ancora del tutto chiarite nel ranch di Waco, nel Texas,
rimane uno dei primi emblemi di questo mondo). L’Institute for Justice si
preoccupa soprattutto di difendere i diritti delle persone, delle piccole
comunità e delle piccole imprese nelle aule di giustizia del paese. Periodici
informatici come The Anti-Statist, Liberator e Viewpoint veicolano
poi dati e notizie in tempo reale. La lotta contro la pressione fiscale è
condotta da organismi come gli Americans for Tax Reform (ATR) di Grover Glenn
Norquist, che, per rappresentare il movimento dei contribuenti, collabora con
centinaia di altre organizzazioni attive a livello federale, statale e locale.
Fra l’altro, l’ATR coordina la coalizione di sodalizi denominata Leave Us
Alone, che mira a levare il cappio imposto dal governo federale sui cittadini:
si tratta di associazioni di genitori, di sostenitori della libertà di
educazione, di proprietari, di agricoltori, di piccoli imprenditori, di
detentori di armi da fuoco. E qui s’inserisce un’altra questione assai
importante. Negli Stati Uniti, il libero possesso di armi
da fuoco è garantito dal II Emendamento costituzionale. Diritto antico legato a
precise dinamiche storiche del paese, oggi viene messo in discussione da più
parti. Benché, dati alla mano, non sia mai stata dimostrata una diretta
connessione fra la sua soppressione e la riduzione dell’attività criminale
delle grandi metropoli, la pressione degli "abolizionisti" cresce.
Così la National Rifle Association, sorta nel 1871, si batte in sua difesa in
nome dell’ideale dell’ "Old America". L’Americans Back in Charge Foundation punta a
dare più voce ai cittadini spodestati dallo strapotere dei Palazzi. Esprime il
movimento di opinione che si batte per l’introduzione di una limitazione
precisi alla rieleggibilità dei membri delle strutture di governo nei suoi vari
livelli; per la riforma dei criteri del finanziamento delle campagne
elettorali, un problema connesso a quello della libertà di espressione; e
gestisce un "osservatorio sul Big Government" per monitorare gli
eccessi governativi in tema di sprechi e di abuso di potere. Esistono dunque organismi ben strutturati,
spesso vicini ad ambienti repubblicani e neoconservatori (il prodotto più
visibile, non sempre più significativo, dell’era Reagan), e realtà molto più
indipendenti, "populiste" e polemiche proprio nei confronti dei
circoli repubblicano-neoconservatori stessi. Fra i primi certamente va annoverato tutto l’entourage che orbita attorno a The Heritage Foundation, il noto e prestigioso think tank di Washington (un curioso insieme di esponenti dell’Establishment e di difensori di tematiche care ai suoi critici anche severi), nonché il Council of Conservative Citizens, il Tax Reform Now, The American Conservative Union, i Citizens Against Government Waste, i Citizens for a Sound Economy, la Savers & Investors League, lo Small Business Survival Committee e The National Commission on Economic Growth and Tax Reform. Collaterale è The Free Congress Foundation di Paul M. Weyrich (già esponente di spicco della New Right), a cui è collegato il canale televisivo NET, National Empowerment Television, dove opera William S. Lind. Senza scordare il popolare commentatore radiofonico Rush Limbaugh che attraversa la nazione via etere (ma anche con un paio di libri e una newsletter) grazie a network piuttosto diffusi. Né vanno tralasciate le battaglie etiche, giuridiche e politiche di The Family Research Council, di The Federalist Society, del Frontiers of Freedom Institute, dell’About the Future of Freedom Foundation, di The Heartland Institute, di The Institute for Contemporary Studies, del Center for Individual Rights, della Family Foundation, di The National Fatherhood Initiative, degli Americans for a Balanced Budget, del Center for the Defense of Free Enterprise e del Forum on Economic Freedom. Nel secondo dei due gruppi descritti, spesso
lontanissimo dal primo, sono certamente da annoverare The Committee to Restore
the Constitution, forte anche di tematiche "antiplutocratiche" e di
riferimenti al poeta Ezra Pound; la Fingerprint Repeal, che si batte contro i
controlli sui cittadini, dalle impronte digitali ai documenti d’identità; e gli
Advocates for Self-Government. Resta comunque vero che, al di là delle
organizzazioni, il grosso di questo mondo è rappresentato da piccoli gruppi
informali e da singoli, e che determinate tematiche tipiche dei MAR e/o dei
discendenti della New Right trovano spazio su testate e in ambienti non sempre
automaticamente definibile in termini di "qualunquismo" benché ricchi
di materiale di riflessione politico-culurale per i molti cittadini di Main
Street in disaccordo con il "Leviatano federale". Fra questi figurano certamente quegli
intellettuali (appunto) della New Right di ieri che, critici rispetto agli
esiti politici del movimento, hanno creato la cosiddetta seconda generazione
della "Old Right": Samuel T. Francis, Thomas J. Fleming e Clyde N.
Wilson per esempio. Il primo, per molti versi teorico dei MAR, dopo le
controversie che lo hanno diviso dal quotidiano The Washington Times,
pubblica The Samuel Francis Newsletter. Fleming e Wilson (il primo
dirige The Rockford Institute e il mensile Chronicles: A Magazine of
American Culture in cui ritornano le tematiche del movimento America
First!, dell’isolazionismo, del jeffersonismo e del "populismo" da
cui nasce molta della filosofia MAR) sono divenuti fra i principali
protagonisti di quel movimento "neo-sudista" che costituisce oggi un
ennesimo network dentro il network dell’ "uomo
qualunque" nordamericano. Infine il cattolico tradizionalista e
chestertoniano Joseph Sobran, che, dopo aver polemicamente abbandonato il
settimanale National Review di William F. Buckley Jr. (una delle voci
ufficiali della Destra americana sin dal 1955), pubblica l’affatto
politicamente corretto Sobran’s. Francis, Fleming, Sobran, Wilson,
Rockwell, e ieri anche Rothbard, sono alcuni di coloro che si riconoscono in
circoli come il John Randolph Club il quale, pur nelle differenze dei suoi
animatori, costituisce, nei suoi pregi e nei suoi difetti, una delle immagini
più evocative dell’insoddisfazione del ceto medio americano e della voglia di
continuità con il passato dell’ "Old America" delle libertà
autentiche: in esso si ritrovano tradizionalisti cattolici, libertarian,
"Old-Rightist", "sudisti", MAR e populisti. è questo uno
dei volti più importanti e sconosciuti dell’America profonda di oggi. mimi@iol.it
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