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di Costanzo Preve
Chi invece sostiene che la dicotomia è ormai obsoleta, e viene mantenuta
artificialmente per creare una contrapposizione fittizia puramente elettorale,
fa riferimento soprattutto al recente allineamento della cosiddetta "sinistra"
(o almeno della sua parte largamente maggioritaria sul piano elettorale,
sindacale ed intellettuale) all’imperialismo americano ed alle sue guerre di
dominio geopolitico del mondo (Irak 1991, Serbia 1999, Afganistan 2001-2002).
In questo breve testo non vorrei semplicemente ripetere queste polemiche, in
cui tutto è già stato detto e ridetto. Preferirei esporre le cose in modo più
rigoroso e sistematico, seguendo un filo del discorso maggiormente
convincente.
Farò prima
una brevissima premessa autobiografica per spiegare i due momenti della mia
vita in cui ho maturato questa convinzione, un primo momento in modo puramente
teorico e culturale ed un secondo momento in modo anche emotivo.
Dopo questa
breve premessa autobiografica prenderò la strada della esposizione storica e
teorica.
In primo luogo sosterrò perché, a mio avviso, la dicotomia fra
sinistra e destra, formalmente iniziata con la rivoluzione francese e la
collocazione dei parlamentari nel 1791, ha però il suo vero inizio
contemporaneo dopo la Comune di Parigi del 1871 e con la seconda rivoluzione
industriale. Da questa data hanno inizio le tappe della vera e propria
formazione progressiva delle identità di sinistra e destra, identità che
strutturano fisiologicamente anche delle appartenenze.
In secondo luogo
affronterò il problema centrale di queste brevi note, e cioè se si possano
classificare tranquillamente il fascismo e il nazismo come fenomeni
storicamente di destra, ed il socialismo e il comunismo come fenomeni storici
di sinistra. Una simile domanda può sembrare ovvia e retorica, ma in realtà
non è così. Per quanto riguarda il fascismo ed il nazismo ritengo che
nell’essenziale abbia ragione lo storico israeliano Zeev Sternhell, e cioè che
si tratta di fenomeni la cui natura non è veramente né di destra né di
sinistra.
Personalmente, tenderei però a sfumare la tesi di Sternhell, nel
senso che mi sembra piuttosto che si sia trattato di fenomeni storici la cui
natura profonda è proprio il superamento della dicotomia, ma la cui ideologia
(e la falsa coscienza che la accompagna) è invece stata il tentativo di
egemonia e di integrazione di tutte le precedenti tradizioni della destra.
Per
quanto riguarda il socialismo e il comunismo ritengo invece che il solo
socialismo sia stato a tutti gli effetti un fenomeno di sinistra per così dire
storicamente fisiologico, mentre il comunismo ha avuto certamente una matrice
storica di sinistra, ma il suo sviluppo ha comportato la creazione di una
sinistra talmente anomala da superarne di fatto i vecchi confini. La logica
della mia riflessione è quella di applicare anche al comunismo lo stesso
ragionamento che Sternhell ha applicato al solo fascismo, ma non però in base
alla nota teoria del totalitarismo, che anzi respingerò con alcuni sintetici
(ma spero chiari) ragionamenti.
In terzo luogo, sulla scorta di una
periodizzazione del Novecento sviluppata recentemente da Massimo Bontempelli,
sosterrò che la dicotomia fra sinistra e destra, che era stata precedentemente
reale, comincia ad esaurirsi intorno alla metà degli anni Settanta (almeno in
Europa), e questo esaurimento ha un salto qualitativo nel triennio 1989-1991,
in cui si dissolve rapidamente il comunismo storico novecentesco come sistema
economico, ideologico, politico e geopolitico.
Paradossalmente questo fatto
viene oscurato dalle corporazione degli intellettuali, dei politici e dei
giornalisti, che interpretano la fine del fascismo e del comunismo (Grecia e
Portogallo 1974, Spagna 1975, paesi dell’Est europeo 1989, Russia 1991) come
la vera restaurazione della dicotomia "pulita" fra sinistra e destra dopo la
fine dell’equivoco anomalo del fascismo e del comunismo. Definirò quest’idea,
senza alcun malanimo, ma anzi con stima verso Norberto Bobbio una vera e
propria "illusione bobbiana". Questa illusione bobbiana rappresenta a mio
avviso, sul piano teorico almeno, l’ultima trincea filosofica per il
mantenimento di una dicotomia che a mio avviso ha smesso di rappresentare in
modo efficace la realtà presente. Nel contesto culturale italiano, si tratta
del proseguimento dell’egemonia dell’azionismo, passato dal vecchio azionismo
antifascista, al nuovo azionismo antiberlusconiano.
In quarto luogo, infine,
sosterrò che è proprio l’avanzato esaurimento storico della dicotomia a fare
da premessa materiale al suo superamento anche filosofico e culturale.
Ovviamente, non mi nasconderò riserve ed eccezioni, perché non esiste modo
peggiore di difendere una tesi di quello che non riesce neppure a vedere i
punti deboli della propria argomentazione.
Faccio questo
non perché creda all’autobiografismo (sono d’accordo con Hegel, che scrisse
che tutto ciò che nei miei scritti c’è di personale è falso), ma perché il
lettore ha diritto di conoscere non solo il prodotto ma anche il processo di
produzione. In questo paragrafo toccherò soltanto cinque punti telegrafici.
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