Solidarietà,
anno V n. 3, giugno 1997
L’antica
dottrina del “divide et impera” riproposta da Huntington
prevede una crociata anglo-americana contro Cina e paesi islamici
A Londra e a Washington, così come in altre capitali occidentali, i cultori
della “geopolitica” sono in preda ad una ossessione di fondo: al centro del
loro “pensiero strategico” c’è l’urgenza di mobilitare il “mondo
occidentale” contro quelle nazioni che si stanno impegnando alla realizzazione
del Ponte di Sviluppo Eurasiatico. Si tratta delle nazioni che compongono quella
regione che il fondatore della geopolitica inglese, sir Halford Mackinder, chiamò,
tra fine ottocento e inizio novencento, “il cuore territoriale eurasiatico”.
Diceva che chi controlla questa regione controlla il mondo. Oggi, alla fine
degli anni Novanta, gli eredi della geopolitica di Mackinder ritengono che la
Russia, che prima dominava la regione, sia di fatto “neutralizzata” dalle
difficoltà gravissime che attraversa e che occorra quindi passare a contenere e
combattere la Cina, l’Iran, l’India, la Turchia di Erbakan e gli altri paesi
per stabilire il controllo delle élite geopolitiche su questa immensa regione
in cui sono stanziati tre quarti della popolazione mondiale.
La teorizzazione più nota di questa ossessione è quella del professore di
Harward Samuel Huntington, pubblicata nel 1993 come tesi dello “scontro delle
civiltà” su Foreign Affairs, la rivista del Council on Foreign
Relations.
Uno che si fa avanti a parlare di fantomatici “stati confuciano-islamici”
normalmente dovrebbe essere preso per pazzo. Invece, siccome fa comodo, la sua
teoria bislacca ha finito per suscitare un gran dibattito, tanto che
intellettuali rispettabili del terzo mondo si sono sentiti in dovere di reagire
all’ingiuria, di fronte alla calda accoglienza che i media hanno riservato a
quei deliri, in particolare nel periodo successivo alla guerra di Bush e della
Thatcher in Irak. Dopo la pubblicazione della sua tesi su Foreign Affairs
Huntington continua a visitare le capitali di innumerevoli paesi per
propagandare le sue teorie. è diventato un segno dei tempi: non c’è
conferenza su temi strategici in cui in una forma o nell’altra non si finisca
per dover discutere di Huntington.
Visto il successo, l’autore ha deciso di allargarsi. Nel 1996 ha riproposto
la sua tesi non più in un articolo ma in un libro intitolato «The Clash of
Civilizations and the Remaking of World Order», lo scontro delle civiltà e la
ridefinizione dell’ordine mondiale (Simon and Schuster, New York, 1996).
Lo scopo è sempre quello: insistere che qualcuno è il tuo nemico giurato
fino a quando non si riesce a venire alle mani. A parte il tedio
dell’erudizione accademica, le quasi quattrocento pagine del libro riservano
al lettore tutti gli stimoli di un vecchio disco incantato.
Dalla
Harvard di Kissinger
al NSC di Brzezinski
Prima di analizzare il succo della teoria di Huntington è necessario
inquadrare chi e come mette in giro cose del genere.
Lo “scontro delle civiltà”, prima di essere un articolo o un libro, è
un progetto che si colloca ben al di sopra di Huntington. è un vero e proprio
“piano di guerra” messo a punto da un raggruppamento di potere tra le due
sponde dell’Atlantico che fa capo all’Inghilterra. La sovraccoperta del
libro mette in evidenza gli elogi di due esponenti di questo mondo: Henry
Kissinger e Zbignew Brzezinski. Il primo promuove gli schemi geopolitici sin
dalla sua tesi di laurea ad Harvard, «A World Restored» in cui elogiava la
diplomazia dell’“equilibrio delle forze” che fu instaurata al Congresso di
Vienna del 1815 dal ministro degli Esteri britannico lord Castlereagh e dal
Cancelliere austriaco principe di Metternich. Dopo la laurea, negli anni
Cinquanta, Kissinger si dedicò a costruire quella rete harvardiana nelle varie
amministrazioni democratiche e repubblicane di cui oggi Huntington è una delle
figure di primo piano. Huntington è stato addestrato a ripetere quello che
diceva Kissinger. Un esempio è il suo articolo apparso sul numero di Survival
di gennaio-febbraio 1991, quando Bush e la Thatcher scatenarono la guerra del
Golfo. Su quella rivista del britannico International Institute for Strategic
Studies (IISS) Huntington scriveva che la politica americana nei confronti
dell’Eurasia deve avere come premessa le teorie geopolitiche di Mackinder e
adottare lo stesso approccio seguito da lord Castlereagh al Congresso di Vienna
del 1815.
Brzezinski, invece, quando nel 1976 divenne Consigliere di Sicurezza
Nazionale sotto Jimmy Carter, sviluppò una sua teoria geopolitica chiamata
“l’Arco di Crisi”. Calcolava che tutta l’ampia regione lungo il fianco
meridionale dell’Unione Sovietica sarebbe stata percorsa da instabilità
sempre più destabilizzanti (a causa del “fondamentalismo islamico” oppure
di conflitti tribali e razziali), e che questo doveva essere geopoliticamente
sfruttato come un’arma contro l’impero sovietico. Nel National Security
Council diretto da Brzezinski l’incarico di direttore della pianificazione
della sicurezza era affidato ad Huntington. Brzezinski e Huntington erano giunti
nell’amministrazione Carter passando per la Commissione Trilaterale,
un’organizzazione fondata e finanziata da David Rockefeller nel 1974. Nel 1975
Huntington aveva realizzato per la Trilaterale lo studio «The Crisis of
Democracy» in cui sosteneva che il matenimento delle democrazie
rappresentative e delle istituzioni che hanno una base popolare non è più
affatto facile e garantito in un’epoca in cui l’imposizione di misure di
austerità “richiede” regimi post-democratici e non-democratici.
La teoria dell’Arco di Crisi di Brzezinski proveniva in realtà
dall’opera di Bernard Lewis, professore di Princeton, nel New Jersey, che si
è specializzato presso l’Arab Bureau inglese di Oxford, uno dei vivai più
esclusivi della geopolitica inglese. Anche Huntington ammette di essere in
debito con Lewis, quando riconosce che il termine “scontro di civiltà” lo
ha ripreso da un articolo pubblicato dal professore di Princeton sul numero del
settembre 1990 di Atlantic Monthly. In quell’articolo Lewis spiegava come la
“rabbia musulmana” stava portando “niente meno che ad uno scontro di
civiltà – reazione forse irrazionale, ma certamente storica, di un antico
rivale contro l’eredità giudeo-cristiana”.
Alle
fondamenta
di “Project democracy”
Nell’autunno del 1996 Brzezinski ha preso parte alla costituzione del nuovo
Central Asia Institute presso la School of Advanced International Studies della
John Hopkins University. I soldi per il nuovo istituto provenivano dalla Smith
Richardson Foundation, nella cui direzione figura Brzezinski, e la stessa
fondazione ha finanziato Huntington per la realizzazione del suo libro, come
ammette egli stesso nell’introduzione. Altri soldi Huntington li ha ottenuti
dalla Fondazione John M. Olin nella quale egli dirige l’istituto di studi
strategici ad Harward. La sua teoria sullo “scontro delle civiltà”, dice,
è scaturita da un progetto intitolato “Gli interessi nazionali americani
rispetto ai cambiamenti riguardanti la sicurezza” che realizzò presso l’Olin
Institute for Strategic Studies all’inizio degli anni Novanta, “che fu
possibile grazie alla Fondazone Smith Richardson”.
Le due fondazioni in questione sono le principali finanziatrici di progetti
per la promozione del neo-liberismo economico e al tempo stesso dello “scontro
geopolitico” con i paesi in via di sviluppo. Negli anni Ottanta furono le
principali finanziatrici “private” del programma “Project Democracy”,
coordinato dall’allora vice presidente George Bush, con il quale
quest’ultimo costituì la sua rete privata e semi privata di trafficanti di
armi e di droga – una parte di questa rete rimase allora coinvolta nello
scandalo Iran-Contras. Lo Smith Richardson ha tra l’altro finanziato, nel
1989, uno squallido libro diffamatorio contro Lyndon LaRouche scritto da Dennis
King, rudere della sinistra maoista sessantottina.
Per completare il quadro si tenga presente che Brzezinski è stato uno dei
primi promotori della carriera di Madeleine Albright, attuale segretario di
Stato USA, prima alla Columbia University poi, nel 1978, portandola con sé,
insieme ad Huntington, nel Consiglio di Sicurezza Nazionale di Carter per
affidarle l’incarico di collegamento con il Congresso USA.
Sebbene quest’eredità non definisca necessariamente ogni passo della
Albright, resta il fatto che quando ha voluto a tutti i costi le sanzioni contro
il Sudan, si è rivelata un’entusiasta promotrice della “crociata” della
baronessa inglese Caroline Cox, vice presidente della Camera dei Lord, contro il
Sudan. Come Solidarietà ha documentato nel numero dello scorso aprile, la Cox
si distingue per lo zelo con cui propaganda, anche alla Camera dei Lord, la tesi
di Huntington. La sua organizzazione, Christian Solidarity International ha
distribuito tra il 1993 ed il 1994 centinaia di copie dell’articolo di
Huntington facendone praticamente il vessillo della propria crociata contro il
Sudan, l’Egitto, l’Iran, l’India e altre nazioni.
Gli
assiomi
Quando si va a stringere, nel libro di Huntington si trovano due argomenti
semplicistici di fondo, presentati come verità autoevidenti, assiomatiche, che
si possono così riassumere: 1) il mondo è un’accozzaglia di tribù, 2)
quelli della mia tribù sono gli amici e tutti gli altri sono i nemici.
Leggiamo: “La divisione dell’umanità lungo le linee della guerra fredda
è finita. Resta ora la divisione più fondamentale lungo le linee etniche,
religiose e di civiltà che producono nuovi conflitti”. Lo stesso punto è
ribadito poi in maniera ancora più cruda: “Le civiltà sono le forme tribali
ultime e lo scontro tra le civiltà è il conflitto tribale su scala globale...
I rapporti tra gruppi di civiltà diverse... non saranno quasi mai stretti, ma
piuttosto freddi e spesso ostili”. è il vecchio adagio di mettere tutti
contro tutti che gli inglesi hanno ereditato dalla sottile diplomazia veneziana.
Già nella seconda pagina Huntington ammette questo debito nei confronti della
Serenissima quando cita dal libro «Dead Lagoon» di Michael Dibdin. Fa parlare
un “demagogo nazionalista veneziano” che dice: “Non ci possono essere veri
amici senza veri nemici. Se non odiamo ciò che non siamo non possiamo amare ciò
che siamo. Sono verità antiche che dolorosamente riscopriamo dopo un secolo e
più di sentimentali eufemismi. Chi le nega nega la propria famiglia, la propria
eredità, la propria cultura, i propri diritti di nascita, negando perfino sé
stessi. Esse non possono essere dimenticate tanto facilmente”.
Gli argomenti centrali di Huntington sono altrimenti quelli di Thomas Hobbes,
il filosofo inglese di scuola veneziana del XVII secolo. Fa propria una
“teoria della distintività”, elaborata dalla moderna sociologia
sperimentale, secondo la quale “la gente definisce se stessa da ciò che la
rende differente dagli altri in un dato contesto... La gente definisce la
propria identità in rapporto a ciò che essa non è. Mentre l’aumento delle
comunicazioni, del commercio e dei viaggi moltiplicano le interazioni tra le
civiltà, la gente accorda un significato sempre maggiore alla civiltà su cui
fonda la propria identità”.
Altrove spiega di ispirarsi alla “teoria britannica sulle relazioni
internazionali”, mentre per la nozione generale di “storia delle civiltà”
Huntington fa continuo riferimento ad Arnold Toynbee, uno dei principali guru
del pensiero strategico britannico che per diversi decenni ha diretto il Royal
Institute for International Affairs.
I nemici:
la crescita economica e demografica
Date queste premesse assiomatiche si fa subito a concludere che le guerre siano
inevitabili. “Nel mondo che emerge, tra gli stati ed i gruppi di civiltà
diverse non vi saranno rapporti stretti ma piuttosto antagonistici. Ed inoltre
alcune relazioni tra le civiltà sono più predisposte di altre alla
conflittualità. A livello di microscala, la spaccatura più violenta è quella
che separa l’Islam dai suoi vicini Ortodossi, Hindu, Africani e Cristiani
occidentali. A livello di macroscala, la divisione dominante è tra
“l’occidente e tutto il resto”, dove i conflitti più intensi si
verificano tra società musulmane e quelle asiatiche da una parte e
l’Occidente dall’altra. I pericolosi scontri del futuro deriveranno
probabilmente dall’interagire di arroganza occidentale, intolleranza islamica
e invadenza cinese.”
Pertanto, dice, noi occidentali siamo in una inevitabile rotta di collisione con
i musulmani che sono intolleranti e con i cinesi che sono invadenti. Perché
mai? Perché gli asiatici ci minacciano con la loro “crescita economica”
mentre i musulmani con i loro “tassi elevati di crescita demografica”.
“L’invadenza asiatica – scrive Huntington – affonda le radici nella
crescita economica. L’invadenza musulmana deriva in massima parte dalla
mobilità sociale e dalla crescita demografica. Ciascuna di queste sfide ha e
continuerà ad avere nel XXI secolo un effetto altamente destabilizzante sulla
politica globale. ...Lo sviluppo economico della Cina e delle altre società
asiatiche fornisce a quei governi gli incentivi e le risorse per diventare più
esigenti nei rapporti con gli altri paesi. La crescita demografica nei paesi
musulmani, specialmente l’espansione della fascia d’età compresa tra i 15
ed i 24 anni, fornisce nuove leve per il fondamentalismo, il terrorismo,
l’insurrezione e i moti migratori... All’inizio del XXI secolo si assisterà
probabilmente al risorgere di culture e forze non occidentali e allo scontro di
popolazioni di civiltà non occidentali con l’occidente e tra di loro”.
La “minaccia islamica” è descritta in questi termini: “Le popolazioni
più numerose hanno bisogno di più risorse, pertanto le popolazioni di società
dense o che crescono rapidamente tendono a spingere verso l’esterno, ad
occupare territori, ad esercitare pressioni sulle popolazioni demograficamente
meno dinamiche. La crescita della popolazione islamica è pertanto un fattore
che contribuisce notevolmente ai conflitti lungo i confini del mondo islamico,
tra i Musulmani e le altre popolazioni”.
“Una
marcia in Piazza Tienanmen”
Huntington paragona quindi la Cina alla “Germania guglielmina”, nel periodo
tra il 1872 e la prima guerra mondiale. Scrive: “Se continua, l’emergere
della Cina e la crescente invadenza di questo ‘giocatore più grosso nella
storia dell’uomo’ comporterà uno stress tremendo per la stabilità
internazionale all’inizio del XXI secolo. L’emergere della Cina come potenza
dominante nell’Asia dell’Est e del Sud sarebbe contrario agli interessi
americani come essi sono storicamente determinati”.
Non dice cosa vorrebbe dare ad intendere per “storicamente determinati”
– dato che nella realtà la Repubblica Americana fu fondata su quei principi
cristiani e rinascimentali che Huntington è votato a cancellare dalla faccia
della terra con la sua demagogia guerrafondaia. Ma questo gli guasterebbe le
pagine più eccitanti, che fanno seguito a questa domanda: “Dati questi
interessi americani, come potrebbe svilupparsi una guerra tra Stati Uniti e
Cina?” Risponde lasciandosi andare finalmente alla piromania geopolitica: la
Cina entra in guerra col Vietnam, poi scende al suo fianco il Giappone, che
insieme combattono contro gli Stati Uniti. Intanto – nemmeno ce ne siamo
accorti – l’India ha già iniziato le sue ostilità contro il Pakistan, gli
Arabi naturalmente si scontrano con gli Israeliani, cosa a cui fa seguito lo
scontro tra Russia e Cina. Si entra quindi nel vivo: i missili nucleari
raggiungono la Bosnia e l’Algeria, e anche Marsiglia, dando vita a complicati
scenari di guerra sul teatro dei Balcani e dell’Egeo. Stati Uniti, Europa,
Russia ed India si ritrovano “in uno scontro davvero globale contro la Cina,
il Giappone e gran parte dell’Islam” e il lieto fine del delirio è quello
di “una probabile marcia dei russi e delle forze occidentali sulla Piazza
Tienanmen”.
Come questo sviluppo di avvenimenti possa rientrare negli “Interessi
Americani” è fuori dalla portata dei comuni mortali mentalmente sani. La
polemica contro i tentativi dell’amministrazione Clinton di stabilire buoni
rapporti con i paesi lungo la Via della Seta è tutt’altro che moderata.
Aggredisce la tendenza politica statunitense che cerca “di sviluppare rapporti
stretti con gli stati primari delle altre civiltà, nella forma di un ‘impegno
costruttivo’ con la Cina, di fronte ai naturali conflitti d’interesse” tra
Stati Uniti e Cina. Gli Stati Uniti e l’Europa dovrebbero, secondo Huntington,
imporre alla Cina ed agli altri paesi un apartheid tecnologico, fare in modo da
“limitare lo sviluppo delle capacità militari convenzionali e non
convenzionali dei paesi islamici e sinici” e “mantenere la superiorità
tecnologica e militare dell’occidente sulle altre civiltà”.
In una intervista del 28 gennaio al quotidiano tedesco Hamburger Abendblatt
Huntington ha fatto appello all’Europa affinché si unisca agli Stati Uniti in
un fronte comune contro la Cina.
Occidente
o Impero britannico?
Se la civiltà cinese e quella islamica sono presentate da Huntington in maniera
così becera, quando passa a parlare del nostro “Occidente” sconfina nel
ridicolo. La civiltà occidentale di cui si propone paladino, è in realtà la
cosa che odia maggiormente. è nata nel XV secolo, nel Rinascimento, sulla base
di principi che le hanno permesso di catalizzare il più alto tasso di sviluppo
demografico, scientifico e culturale che, con tanti alti e bassi, si è
rapidamente diffuso in tutto il mondo nel corso di cinque secoli.
Lui invece, con “Occidente” intende il sistema imperiale britannico e
l’Illuminismo del XVIII secolo. Per lui il termine “imperialismo
occidentale” è perfettamente interscambiabile con “Civiltà
Euro-Americana” e “Cristianesimo occidentale”. Solo così il termine
acquista un senso nella logica dello “scontro delle civiltà”, in quanto
“l’Occidente” diventa la perfetta immagine del nemico per le “civiltà
non occidentali”. Per dimostrare quella che chiama “espansione europea” e
“assalto dell’occidente”, scrive che: “Nel 1800 l’Impero Britannico
comprendeva 4 milioni di chilometri quadrati e 20 milioni di persone. Nel 1900
l’impero vittoriano su cui non tramontava mai il sole comprendeva territori
per 29 milioni di chilometri quadrati e 390 milioni di persone”.
Infine perde ogni ritegno quando tesse gli elogi della “democrazia
parlamentare inglese” fino ad affermare che la democrazia e le istituzioni
rappresentative sarebbero nate dalla forza dell’artistrocrazia feudale. E
questo avrebbe anche il suo corollario: “il Giappone e l’India hanno un
sistema di classe che è analogo a quello occidentale (e forse di conseguenza
sono le uniche grandi società non occidentali in cui un governo democratico può
durare a lungo)”!
Come Lyndon LaRouche ha spiegato in numerose occasioni, “l’occidente”
in realtà è caratterizzato da una coesistenza tutt’altro che pacifica tra
due forze opposte e contrarie. Da una parte c’è la tradizione del
Rinascimento, che risale al XV secolo, e dall’altra c’è la tradizione di
un’oligarchia, sia fondiaria che mercantile, che nei secoli ha avuto la
Repubblica di Venezia come principale centro di controllo, e che ha dato vita
all’Illumunismo britannico del XVIII secolo, al quale si ricollega grossa
parte della cultura moderna. La tradizione rinascimentale è quella secondo cui
l’uomo è fatto ad immagine di Dio ed è pertanto capace di contribuire
creativamente all’opera del suo Creatore. Per questa tradizione, lo scontro
delle culture fomentato da Samuel Huntington è tutt’altro che inevitabile
come felicemente dimostrato cinque secoli or sono dal Cardinale Niccolò Cusano
nel dialogo «De Pace Fidei». In quello scritto filosofico il grande pensatore
del Rinascimento espone i termini di come tutte le culture possano riconciliarsi
tra loro nella misura in cui condividono la concezione più elevata dell’uomo,
perché tale concezione è il tratto più caratteristico di ogni individuo a
prescindere da razze e culture. La tradizione oligarchica, oggi espressa dalla
cultura britannica e illuministica, poggia sul presupposto che l’uomo sia un
animale, o che comunque non vi sia una distinzione qualitativa di fondo,
assoluta, tra l’uomo e la bestia.
Nelle varie civiltà non-occidentali menzionate da Huntington questo scontro
tra le due concezioni diverse dell’uomo è comunque presente, sia storicamente
che oggi. Questo è il vero “scontro” che caratterizza il presente e non lo
scenario hobbesiano costruito da Huntington nel suo libro. Per uscire dalla
crisi mortale dove l’hanno trascinato i padroni di Huntington, oggi
l’occidente deve rivolgersi soprattutto alla Cina ed ai paesi islamici per
cementare nuove e concrete capacità di sviluppo comune.