4. La riforma Gentile del 1923. Una interpretazione limitativa del Liceo
Europeo.
La riforma che prende il nome da Giovanni Gentile del 1923 fu una buona
riforma, onore della scuola italiana e più in generale punto alto della nostra
cultura nazionale. Questo è un giudizio di fondo che è bene esprimere in modo
chiaro senza opportunismi linguistici. Non intendo affatto negare che essa fu
storicamente resa possibile dal decisionismo mussoliniano, che offrì a Gentile
la possibilità di tagliare con la spada i nodi aggrovigliati di decenni di
dibattito pedagogico fra il partito dei positivisti ed il partito dei
neoidealisti. Ma appunto per questa ragione sarebbe sciocco identificare questa
riforma con il regime fascista in quanto tale, oppure vederla come momento di un
solo nodo reazionario e controrivoluzionario.
La riforma Gentile non fu in
nessun modo una risposta borghese o piccolo-borghese alla rivoluzione russa del
1917, e lo dimostra tra l'altro uno studio spassionato delle politiche
scolastiche sovietiche negli anni Venti e Trenta, che oscillarono fra modelli
diversi e spesso antagonistici. E questo non è un caso, perché lo sciocco
economicismo della Seconda Internazionale aveva celebrato i suoi peggiori
trionfi nell'indifferenza e nella trascuratezza con cui (non) aveva affrontato
la questione scolastica e culturale nel suo complesso.
Il fatto che le strutture essenziali della riforma Gentile del 1923 siano
sopravvissute al fascismo e siano durate fino a questa fine del Novecento è
indubbiamente un buon argomento contro chi vuole diffamare la riforma Gentile
identificandola con il fascismo. Nelle sue linee essenziali, il liceo gentiliano
è stata la dignitosa variante italiana del liceo europeo, ed uno dei pochi
prodotti positivi della nostra cultura nazionale novecentesca. Certo, chi nega
persino la pertinenza della paroletta nazionale non potrà neppure capire le
ragioni di questo giudizio.
Detto questo, è bene aggiungere subito che la riforma Gentile nasceva con
alcuni equivoci e con alcune debolezze filosofiche (si noti bene: filosofiche,
non pedagogiche) legate al tipo di idealismo storicistico dello stesso Gentile,
e della sua interpretazione limitativa della nozione di concetto (Begriff) in
Hegel, con la correlata negazione dello statuto conoscitivo del concetto
scientifico. In questo modo, anziché stabilire fin dall'inizio, come sarebbe
stato auspicabile ed opportuno, un'immediata pari dignità fra liceo classico e
liceo scientifico, si prendeva la via sbagliata della diversa dignità, e della
conseguente sciagurata derubricazione del liceo scientifico (e qui, a mio
avviso, si pagava l'errore della connotazione del concetto scientifico come
pseudoconcetto).
Il gigantesco ruolo educativo delle lingue classiche (latino e
greco) non aveva, e non ha tuttora, nessun bisogno, per essere legittimato e
difeso, di un'inutile e dannosa derubricazione della matematica e delle scienze
naturali. Nello stesso modo fu un grave errore la trascuratezza verso
l'insegnamento delle lingue moderne, e particolarmente verso le modalità
libresche con cui venivano insegnate. In più, ebbe certamente uno sciagurato
carattere di classe (più piccolo-borghese che borghese) la chiusura di ogni
possibilità di accesso universitario per i migliori studenti delle scuole
tecniche, una possibilità felicemente prevista prima del 1923. Nello stesso
modo, si possono fare molte altre critiche di dettaglio alla riforma Gentile,
una riforma che soffriva pur sempre di un angusto provincialismo tipico di quel
periodo storico.
È assolutamente evidente che non ha alcun senso la difesa attuale della riforma
Gentile del 1923. Ma è bene riconoscerne storiograficamente la statura
culturalmente dignitosa, appunto perché questo riconoscimento preliminare è la
precondizione per poterla poi criticare non solo nei dettagli applicativi, ma
anche in alcuni vizi di fondo prima ricordati.
Se invece si sceglie un
atteggiamento riduttivamente politicistico, si mettono le basi di un luddismo
distruttore che all'inizio si presenta come egualitario, popolare, classista e
proletario, e poi si rivela semplicemente il cavallo di Troia di una
modernizzazione ultracapitalistica. Ed è appunto la triste storia del presente.