L’ultima transizione:

La tragicomica storia romanzata dei rapporti di Fausto Bertinotti con il comunismo ed i veri problemi che ci stanno dietro

IV parte

 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve su Fausto Bertinotti e la "non violenza" è stato diviso in sette parti, più un'introduzione.

All'introduzione su Fausto Bertinotti e la non violenza

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4. E’ possibile espellere ed esorcizzare la violenza dalla storia?

Occuparsi di Bertinotti è indubbiamente divertente, ma per quanto mi riguarda anche del tutto irrilevante. Dopo il leggero antipasto viene il pasto vero e proprio, e da questo paragrafo si porterà in tavola il primo ed il secondo. Il lettore è pregato di leggere con maggiore attenzione. Dopo lo spettacolo del mago Casanova comincia il vero dramma.

La prima domanda è questa: è possibile espellere ed esorcizzare la violenza dalla storia, intesa come storia contemporanea del presente in cui viviamo? Anticipo qui subito la mia risposta: in via di principio sì, in senso sociale ed antropologico; ma per ora purtroppo no, perché siamo in presenza non di una opzione astratta (violenza sì oppure no?), ma di un fatto esterno a noi, e cioè che gli oppressi oggi nel mondo stanno resistendo usando non la violenza, ma la contro-violenza, e fanno benissimo a farlo, e dobbiamo stare al loro fianco senza ipocrisie. Vediamo meglio.


resistenza irachena


Iniziamo dal primo punto, che è strategico. Esiste la “natura umana”? Ma certamente sì, è chiaro che esiste, ed è chiaro che è anche un concetto centrale per chiunque parli di comunismo, come e più del concetto di “modo di produzione”. Non bisogna farsi spaventare dalle sciocchezze di origine althusseriana e paraalthusseriana che da decenni cercano di esorcizzare questo concetto centrale. Personalmente le ho sopportate a lungo anche per quieto vivere, ma mi sono reso conto che si tratta di una questione centrale, e che ogni concessione alla stupidaggine per cui il concetto di “natura umana” è astorico, umanistico in senso deteriore, reazionario, borghese, ecc., non faceva che rimandare il momento di una ricostruzione globale di una nuova fondazione filosofica seria del comunismo.

Esiste la natura umana, per cui l’uomo, in quanto ente naturale generico, è ad un tempo biologico e storico. In quanto “generico” (Gemeinswesen, Gattungswesen) l’uomo sviluppa storicamente la sua genericità, ed in questo sviluppo storico ci sta anche la possibilità reale (in linguaggio aristotelico, dynameion) di poter costruire una società priva di violenza. Se si guarda l’uomo da un punto di vista soltanto biologico si comincerà a dire che la cosiddetta “aggressività” è radicata nei suoi geni, si comincerà a fare improprie comparazioni etologiche con i topolini aggressivi chiusi in una scatola, e non se ne verrà più fuori, dimenticando che il topolino non è un “ente naturale generico”, ma è specifico, ed invece l’uomo no.

Se si guarda l’uomo solo con il punto di vista del pessimismo storico alla Benedetto Croce o alla Norberto Bobbio si concluderà che siccome ha fatto per millenni migliaia di guerre continuerà sicuramente a farle, perché sarebbe nella sua “natura” farle. L’uomo è dunque un ente naturale generico biologico-sociale. Tutte e cinque queste parolette sono importanti, ma purtroppo questo articolo, già molto lungo, non sopporterebbe un ampio inciso filosofico. Riteniamo comunque l’essenziale, e cioè che un mondo senza violenza è possibile ed anzi non solo possibile ma sempre più necessario, data la tecnologia bellica distruttiva di oggi. Non ci sono ostacoli ontologici alla possibilità umana di convivenza pacifica e solidale. In questo senso, ma solo in questo senso, possiamo dire che “un altro mondo è possibile”, laddove se ci spostiamo dal campo filosofico ed antropologico al campo storico e politico questo slogan è vuoto, sciocco ed opportunistico, come vedremo nel prossimo paragrafo sesto. In ogni caso, chiudiamo su questo punto dicendo che un mondo senza violenza è possibile.

Passiamo ora a considerare lo scenario storico di oggi. Esso è caratterizzato dall’intollerabile violenza bellica soprattutto dell’impero americano (ma non solo), che si beffa di ogni diritto internazionale in nome della sua presunta missione speciale di “esportazione della democrazia”. La violenza, la violenza originaria, proviene dunque dal massimo organo di oppressione mondiale. Quella che viene spesso definita “violenza” degli oppressi è in realtà a rigore una “contro-violenza”, e mi spiace che non esista in italiano una parola diversa da “violenza” per cui bisogna aggiungere il prefisso “contro”. Ma se si vuole una paroletta c’è, ed è una nobile parola: “resistenza”, che ha anche un’illustre storia alle spalle.

Che alla “violenza” degli oppressori si oppone la “resistenza” degli oppressi non è dunque un’opinione fra le altre, ma è un fatto indipendentemente dal nostro volere. Da quando Bertinotti (più esattamente FB=DC/PP) si è messo a ciarlare di non-violenza in assoluto, mettendo nello stesso paniere politicamente corretto di “terrorismo” Bin Laden e gli eroici resistenti palestinesi, un coro di voci, generalmente interne o vicine a Rifondazione (da Alberto Burgio ad Andrea Catone a Piero Bernocchi, ecc.), ha insistito sul concetto che ho riportato sopra, e cioè che la violenza è originaria per costituire socialmente l’oppressione (e lo dice sostanzialmente molto bene non solo Marx, ma anche lo Hegel della Fenomenologia dello Spirito), ed allora agli oppressi non resta che la resistenza. La quale resistenza, a sua volta, può essere “violenta” o “non violenta”, a seconda i casi e le opportunità, ma è comunque in entrambi i casi sempre legittima.

A parole Bertinotti parla di un “ritorno a Marx”. Ho fortissimi dubbi che nella sua vita frenetica di politico presenzialista abbia il tempo per fare veramente i conti con Marx, ma di una cosa sono sicuro e posso rassicurare il lettore, e cioè che non c’è nessun possibile ritorno a Marx se si esorcizza il problema del nesso violenza/resistenza, su cui l’intero pensiero di Marx è costruito.

E concludiamo su questo punto. Io sono spesso accusato dal lettore frettoloso di ignorare la lotta di classe, con la scusa che considero effettivamente obsoleta la dicotomia Borghesia/Proletariato nel senso datale non solo da Marx ma dall’intera tradizione marxista, e questo per ragioni che ho già molte volte illustrato, e su cui non posso qui tornare per l’ennesima volta per ragioni di spazio.

Ma rassicuro il lettore ricordandogli che ritengo assolutamente centrale e legittima la nozione di “lotta di classe”, per il semplice fatto che la lotta di classe non si origina da fantomatici soggetti sociali permanenti (e di fatto inesistenti al di fuori delle cosiddette grandi-narrazioni), ma si origina dai differenziali sociali di sapere e di potere, più esattamente di sapere e quindi anche di potere di disposizione di mezzi di produzione e di consumo di beni e servizi. Non esiste dunque una astratta “lotta di classe” se non come astrazione generalizzante, ma esistono numerose “lotte di classe” al plurale, dentro cui ci sono anche lotte di popoli e di nazioni contro il loro oppressore colonialista ed imperialista.

E queste lotte di classe, al plurale, implicano che si risponda alla violenza con la resistenza. Solo un occidentale normalizzato eurocentrico e politicamente corretto si arma di matita rossa e blu come un maestro presuntuoso per segnare le resistenze che gli piacciono e quelle che non gli piacciono, avendo come criterio reale la compatibilità sistemica nel baraccone di cui lui è tra l’altro una semplice comparsa di seconda fila.


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