In Italia il 46,1% dei musulmani frequenta una moschea
21
ottobre 2005
In
Italia il 46,1% dei musulmani maggiorenni frequenta le
moschee e gli altri luoghi di culto islamici: una quota
simile al 49,7% dei cattolici che vanno regolarmente in
chiesa. Lo afferma una ricerca della Fondazione per le
iniziative e studi sulla multietnicita' (Ismu) di Milano. I
musulmani residenti in Italia vanno però in moschea in quote
molto diverse a seconda della regione nella quale abitano:
la maggioranza abbondante al Nord, pochissimi al Sud, dove
spesso mancano moschee o altri luoghi organizzati per la
preghiera. Secondo gli autori della ricerca, che è stata
condotta su un campione rappresentativo di immigrati
maggiorenni, le percentuali di musulmani che affermano di
recarsi in moschea e' alta anche in considerazione del fatto
che la preghiera comune non e' un dogma irrinunciabile per
l'Islam, che lascia ampia libertà per pratiche di preghiera
individuali. Da notare comunque che - secondo l'indagine -
in provincia di Bergamo piu' del 60% degli islamici
frequenta ambienti di aggregazione
46,1%
vs 5%
Questa notizia lanciata da
http://www.raiutile.rai.it/e ripresa da diverse agenzie
tra cui Adn Kronos International è di quelle che deve aver
fatto venire il mal di pancia a diversi "esperti": la fonte
è credibile, l'istituto di ricerca prestigioso. Nei prossimi
giorni cercheremo di procurarci il "paper" della ricerca per
meglio capire la consistenza del campione statistico e i
parametri applicati. Ma tant'è : 46,1% dei musulmani
maggiorenni frequenta le moschee e gli altri luoghi di culto
islamici.
Pur non avendo i mezzi per dimostrarlo "scientificamente"
sapevamo che il dato del 5% sbandierato dal giornalista più
"antislamico" d'Italia e dal suo "gruppo di fuoco mediatico"
e ripreso, ahinoi, dal Ministro dell'Interno era
inattendibile.
Siamo anche in condizione di azzardare la genesi di questa
colpevole sottovalutazione.
Allam,
che probabilmente non era mai andato in una moschea in
Italia, ai tempi in cui mi chiamava
ogni giorno per succhiarmi tutte le informazioni che poteva
sull’islam in Italia che non conosceva neppure da lontano,
s'inventò un sondaggio sulla realtà degli immigrati e mi
interpellò come esperto. Venne a casa mia, (la foto che
allego è stata scattata nel mio studio ad Imperia) e tra le
domande che mi fece, mi chiese quanti erano i musulmani che
venivano alla preghiera del venerdì.
Gli risposi che valutavo una cifra oscillante
tra i 6 e il 10% e gliene spiegai le ragioni. Nella Liguria
occidentale la quasi totalità dei musulmani lavora
nell'edilizia, in agricoltura o nel settore turistico.
Cuochi e pizzaioli non possono lasciare il lavoro tra le 12
e le 15, l'ora in cui si fa la preghiera del venerdì, i
muratori sono sparsi nei cantieri soprattutto
nell'entroterra e lo stesso avviene per quelli che lavorano
in agricoltura. Alcuni riescono ad organizzarsi se sono
artigiani o cottimisti, altri hanno abbastanza forza
contrattuale per imporre un orario speciale in quel giorno
della settimana, ma la maggior parte non può materialmente
recarsi alla preghiera.
Gli dissi che la componente nazionale presente
nella mia zona non faceva testo in quanto a pratica
religiosa, essendo la comunità arabofona costituita per lo
più da tunisini che per ragioni diverse hanno una pratica
religiosa meno marcata degli altri nordafricani.
Gli dissi che quando capitava un venerdì
festivo, che so io il 25 aprile o il 1 maggio, la moschea
era strapiena e la gente non riusciva a sedersi. Stessa cosa
avveniva nelle preghiere delle due feste e quando queste si
svolgevano in una domenica o altro giorno festivo, almeno il
40% per cento dei musulmani che insistevano sul territorio
partecipavano ai riti.
Gli dissi tutte queste cose e poi parlai,
spaziando sul livello nazionale che ben conoscevo, di
un'insufficiente presenza di luoghi di culto islamici, del
fatto che ai dati bisognava applicare lo scostamento dovuto
all'elemento femminile che tradizionalmente non frequenta le
moschee, vuoi per consuetudine vuoi perché la stragrande
maggioranza delle donne musulmane adulte in Italia sono
giovani madri di famiglia ed impegnate con i bambini
piccoli.
Gli dissi che il concetto di laicismo così come
lo si comprende in occidente non era applicabile alla
comunità dei musulmani e delle musulmane in Italia. Quelli
di loro che non praticano, o lo fanno poco, non lo fanno
nella maggior parte dei casi per una scelta cosciente ma
per una sorta di distratta deriva dell'identità, che
tuttavia ritrova immediatamente il capo non appena arriva
Ramadan (le percentuali di pratica a questo livello sono
altissime, oltre il 70%) e allora le moschee si riempiono
per la veglia serale di persone che per tutto il resto
dell'anno sono assenti, distanti. Ma anche per un
matrimonio, per un lutto, per una particolare esigenza
personale o per cercare di affrontare un disagio materiale o
esistenziale.
(E' così che si forma quel 46,1% che oggi l'ISMU evidenzia e
che noi abbiamo sempre rilevato sul territorio).
Gli dissi tutte queste cose ma a lui interessava
ben altro: il suo scopo, che si delineò sempre più
chiaramente fino a chiedere recentemente un blocco alle
nuove moschee e a schierarsi contro il voto agli immigrati,
era quello di contrastare con ogni forma e mezzo, ivi
comprese la diffamazione, la mistificazione e la
falsificazione, l'organizzazione islamica in Italia,
segnatamente l'UCOII, in particolare il sottoscritto. Di
queste cose dovrà rendere conto in tribunale e non voglio
insistere oltre.
Quello che m'interessa invece evidenziare è il
fatto che un Ministro dell'Interno, che disponeva di tutti
gli strumenti per verificare i dati che gli venivano
proposti da una fonte che non poteva non ritenere almeno
"interessata", si sia lasciato irretire e abbia orientato la
sua politica verso una parte piccola ma significativa dei
suoi concittadini e una parte considerevole degli immigrati
in Italia, a partire da quello che gli veniva suggerito dal
noto personaggio.
Nei brani di articoli che seguono, rigorosamente
tratti dal sito ufficiale del Ministero dell'Interno abbiamo
ricostruito la genesi della sottovalutazione del rapporto
dei musulmani con le loro organizzazioni di culto.
Eccoli
in estratto
(i link sono attivi e i testi sono in linea nel sito
www.interno.it)
Nell'intervista del 21/01/2003
Allam ha in mente l’Islam di Stato all’egiziana e cerca
di convincere il Ministro che la laicità non è cosa per i
musulmani
http://www.interno.it/news/articolo.php?idarticolo=17966
Finora l'Italia non è intervenuta nella "questione islamica"
ritenendo che lo Stato laico non debba interferire negli
affari religiosi. Tuttavia l'islam ha una sua specificità
non avendo né un clero né un Papa. Storicamente non è mai
esistito un islam allo stato puro, l'islam è sempre stato
forgiato dal modello nazionale, politico, comunitario,
ideologico e culturale. Se l'Italia assiste inerte
all'evoluzione dell'islam sul proprio suolo, il ruolo di
forgiatore dell'islam verrà assunto da altri stati o
organizzazione islamiche straniere. Lei non pensa che sia
giunto il momento per l'Italia di riesaminare la sua
posizione e di assumersi la sua responsabilità?
"Questo governo non è inerte. A parte la nuova politica
estera del presidente Berlusconi e la sua coraggiosa
apertura di credito ai musulmani moderati dell'Akp turco,
debbo dirle che già da tempo, e il mio ministero in
particolare, abbiamo iscritto la Questione islamica al
nostro ordine del giorno. E del resto, come potremmo
ignorarla? I musulmani rappresentano il 37%
dell'immigrazione totale e la loro comunità sta crescendo
impetuosamente anche sul piano delle strutture
organizzative. Non vogliamo che il suo insediamento sia
ostile, o estraneo o indifferente allo Stato italiano. Per
questo ce ne occupiamo con spirito di tolleranza, ma anche
con grande attenzione alla nostra identità e ai nostri
ordinamenti. L'Islam italiano deve armonizzarsi alla realtà
italiana. Perciò anche noi vogliamo fare la nostra parte
senza lasciare ad altri la possibilità di condizionare
dall'esterno questa operazione".
Lei sta facendo un'apertura politicamente e culturalmente
molto importante. Facciamo un passo avanti. Il precedente
governo D'Alema e l'attuale governo Berlusconi si sono detti
disponibili a sottoscrivere l'Intesa con i musulmani, così
come è stato con altre confessioni religiose. Sennonché i
musulmani sono stati incapaci di concordare una
rappresentanza e una piattaforma programmatica unitaria. A
questo punto l'Italia potrebbe seguire l'esempio della
Francia il cui ministro dell'Interno ha promosso una
Consulta dei musulmani per individuare gli interlocutori e
stabilire le regole che consentano l'elezione di un
organismo rappresentativo. Lei sarebbe pronto a promuovere
un'iniziativa simile?
"Il modello francese non è esportabile. Basti considerare
che quella comunità islamica rappresenta il 10% della
popolazione; che il suo insediamento risale agli inizi del
secolo scorso (la Grande Moschea di Parigi è del 1924) e che
si è assimilata a tal punto da considerare la cittadinanza
francese non solo come un mezzo di promozione economica e
sociale, ma anche come elemento di identità e motivo di
orgoglio. La comunità musulmana italiana, invece, è molto
più giovane, multiforme, precaria e, proprio per questo,
meno governabile. E infatti il tentativo di costituire un
Consiglio islamico italiano è fallito sul nascere, come, del
resto, nel Regno Unito, in Spagna e in Belgio. Tuttavia il
Consiglio islamico resta per me un obiettivo da perseguire".
(.......)
L'obiettivo dello Stato dovrebbe essere quello di favorire
la nascita di un "islam italiano". Significa attivarsi e
investire per creare una classe di imam, guide religiose, di
cittadinanza e cultura italiana, per trasformare le moschee
in "case di vetro" aperte e accettabili dagli italiani.
L'Italia è pronta a assumersi questa responsabilità?
"Io voglio arrivare a un islam italiano compatibile con le
nostre leggi e i nostri valori. Ma per riuscirci non basta
il nostro impegno. Occorre che la comunità dei moderati si
distacchi progressivamente dalla concezione totalizzante di
un certo islam (religione-società-Stato) e che le moschee
diventino sempre più luoghi di preghiera, chiudendo le porte
alla propaganda politica e, come talvolta è accaduto, al
fiancheggiamento del terrorismo. La conquista della laicità,
del resto, è già un dato di fatto, seppure in condizioni
peculiari, per molti paesi musulmani come la Turchia,
l'Egitto, l'Algeria, il Marocco, la Tunisia, la Siria ed
altri ancora".
E’ interessante che il ministro prenda come esempi alcuni
tra i paesi da trentanni denunciati da tutte le
organizzazioni di difesa dei diritti umani per le continue
violazioni perpetrate nei confronti dei loro oppositori
politici
Ma il Ministro non ha fretta o ha altro da fare e la sua
politica islamica langue. Allam torna all’attacco in un
intervista del
23/05/2003
http://www.interno.it/news/articolo.php?idarticolo=18394
Il giornalista, (ma questo è giornalismo ?), insiste e spara
la sua stima del 5% immediatamente sposata dal responsabile
dell’Interno
Nella nostra precedente intervista lei, dalle pagine di
Repubblica, aveva lanciato la proposta di un Patto con
l'islam moderato. E' ancora valida alla luce di quanto sta
accadendo? Pensa che sia necessario un ripensamento sulla
disponibilità al dialogo mentre dilaga l'offensiva del
terrorismo islamico?
"Al contrario, l'offensiva in atto mi rafforza nelle mie
convinzioni. Come le ho già detto, nel medio-lungo termine
il dialogo con i moderati, è l'arma migliore contro
l'estremismo. Questo, naturalmente, non ci impedisce oggi di
contrastare con ogni possibile mezzo, ogni possibile attacco
terrorista: à la guerre comme à la guerre".
In Italia ci sono delle moschee dove si propaganda la Jihad,
intesa come Guerra santa, dove si esalta il "martirio" dei
palestinesi che massacrano i civili israeliani, dove si
pratica il takfir, la condanna di apostasia nei confronti
dei musulmani che non condividono le tesi radicali e
violente. Alcune moschee in Italia operano come centri di
indottrinamento e arruolamento dei combattenti islamici.
Pensa che sia giunto il momento di affrontare in modo più
diretto e severo la realtà di queste moschee sovversive?
"Come le ho già detto, la linea del governo italiano sulla
questione islamica interna ha due obiettivi da realizzare
simultaneamente: il primo, dialogare costruttivamente con la
stragrande maggioranza dei musulmani pacifici; il secondo,
isolare gli estremisti e piegarli alla ragione con le buone
o con le cattive maniere. Chi confonde la nostra
disponibilità al dialogo con un atteggiamento debole e
remissivo non ha capito nulla di questa politica. Lo ripeto
per l'ennesima volta: nel medio-lungo periodo il dialogo con
i moderati - si tratti di musulmani immigrati o di governi
dell'area islamica - è l'arma più efficace contro
l'integralismo. Per l'immediato voglio dirle chiaro e tondo
che le moschee italiane devono essere totalmente liberate
dai predicatori della violenza, dai reclutatori della
"guerra santa" e dagli agenti di interessi stranieri nel
nostro Paese. Su questo c'è la massima intesa con tutti i
colleghi europei".
Avete delle proposte specifiche al riguardo?
"La legge sulla libertà di religione, ora all'esame del
Parlamento, getterà le basi giuridiche per il riconoscimento
di un "Islam italiano" e per garantire al meglio il normale
svolgimento delle pratiche religiose. Ma l'Islam dovrà
riconoscere e rispettare i nostri ordinamenti, la laicità
dello Stato, il valore insostituibile delle istituzioni
democratiche".
Con chi ritenete potreste dar vita a una Consulta dei
musulmani d'Italia? Il modello francese ha messo insieme le
varie sigle dell'islamismo associativo. È questo il vostro
orientamento? In Francia coloro che frequentano abitualmente
le moschee rappresentano il 10% del totale dei musulmani.
In Italia la stima è del 5%.
Non pensa che si faccia un regalo agli integralisti
consacrandoli a rappresentanti dell'insieme della comunità
musulmana, che è nella stragrande maggioranza
sostanzialmente laica?
"Condivido le sue stime. In effetti del milione di musulmani
oggi presenti in Italia, solo 50 mila frequentano
abitualmente le moschee
e solo una parte di essi è esposta alla predicazione
estremista. Tutti gli altri cercano soprattutto pane, lavoro
e pacifica convivenza con i cittadini italiani. Vogliamo
farci carico dei loro problemi e discuterne pacificamente
con loro. Per questo penso alla costituzione di una Consulta
Islamica presso il Ministero dell'Interno, che non avrà la
pretesa di rappresentare democraticamente tutti i musulmani
italiani, ma potrà dare voce ai loro problemi ed alle loro
esigenze, anche in materia di pratiche religiose che fanno
parte del loro abituale costume di vita (luoghi di culto
dignitosi e sicuri, macellazione halal, assistenza religiosa
negli ospedali, aree di sepoltura nei cimiteri). In
definitiva, vogliamo che i musulmani italiani possano
convivere pacificamente con la società civile, rispettare le
istituzioni democratiche e costruirsi una esistenza
dignitosa, tenendosi alla larga dalle tentazioni
estremistiche".
Dopo questa seconda intervista scrivemmo al Ministro una
lettera che fu pubblicata quasi integralmente sull’Unità il
30.5.2003 e che si trova a questo indirizzo:
http://www.islam-ucoii.it/COMUNICATI/lettera%20aperta%20interno.htm
nella quale spiegavamo la nostra posizione e ci dicevamo
disponibili a ragionare di Consulta e di tutto il resto con
serenità e conoscenza di causa
____________________________________________________________________