Nichilismo, individuo, universalismo reale

Un percorso originale ed inedito di ricostruzione della filosofia marxista

VI parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in otto parti.

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19. Max Weber ha saputo diagnosticare ancora meglio di Nietzsche la situazione nichilistica dell'uomo contemporaneo. Weber ha in comune con Marx il fatto che entrambi rifiutano il rimando ad una struttura veritativa logico-ontologica della realtà, e nello stesso tempo sono entrambi inquieti per questo loro rifiuto. Weber ha il grande merito di non evocare illusoriamente superuomini-oltreuomini del tutto inesistenti, appunto perché non parte da una grande narrazione della decadenza, come Nietzsche, ma dall'analisi dialettica delle conseguenze dei processi della razionalizzazione moderna. La modernizzazione ha infatti prodotto progresso, ma anche disincanto del mondo, ed il disincanto del mondo non sarebbe neppure poi così male se non comportasse anche e soprattutto la consunzione delle risorse simboliche dell'umanità. L'aspirazione al profitto e la cura dei beni esteriori avrebbero dovuto essere un "sottile mantello da poter gettar via in ogni momento". Ed invece, associate con passioni puramente agonistiche e spinte all'estremo, fini a se stesse, hanno finito per trasformarsi in una "gabbia d'acciaio". È notevole la capacità dialettica di Weber, che capisce come si inizia con l'illusione di un sottile mantello, e si finisce con la consistenza inesorabile di una gabbia d'acciaio. Altro che le stupidaggini sull'avvento di moltitudini desideranti di superuomini-oltreuomini dotati di capacità teurgiche!!! Weber si chiede: quali esseri cresceranno sotto la ferrea calotta della razionalizzazione? Quali saranno le fattezze di questi ultimi uomini? Ed egli risponde con pessimismo e lungimiranza che saranno "specialisti senza spirito ed edonisti senza cuore", ovvero un "nulla che si immagina di essere salito ad un grado mai prima raggiunto di umanità".

20. La diagnosi di Weber è stata fatta fra il 1910 ed il 1920. Ma la generalizzazione di massa del tipo umano che incarna veramente il nulla antropologico convinto di essere il coronamento della storia dovrà aspettare in Europa il cosiddetto Sessantotto. Lo spirito del Sessantotto consiste nella distruzione dei residui valori borghesi e religiosi fatta con l'illusione e la falsa coscienza necessaria (utilizzo qui un concetto marxiano al 100%) di stare facendo una rivoluzione anticapitalistica. L'errore teorico, ovviamente, sta nell'identificazione fra borghesia e capitalismo, con l'illusione di star lottando contro la riproduzione capitalistica proprio perché si lotta contro i residui già indeboliti dell'etica borghese e religiosa. Ma questa identificazione è del tutto falsa. La logica di sviluppo del capitalismo è infatti impersonalmente "tecnica" (nel senso di Heidegger), e non è affatto soggettivizzabile. Il capitalismo ha passato una sua prima fase storica protoborghese e protoproletaria (borghesia liberale e classe operaia), ma la sua logica di sviluppo è del tutto post-borghese e post-proletaria, in direzione di nuove ed inedite configurazioni classiste. Così come Spinoza seppe opporsi alla concezione personalistica e teleologica della divinità, così oggi il solo modo di essere spinoziani consiste nell'opporci ad una concezione personalistica e teleologica dell'essere sociale e del legame sociale. E questo interpella direttamente le forme di soggettività e di individualità di chi pensa di opporsi al capitalismo.

21. Negli ultimi cento anni coloro che si sono organizzati per opporsi al capitalismo si sono generalmente chiamati "compagni". Il compagno è certamente un in-dividuo come gli altri, ma un in-dividuo che cerca di superare la sua solitudine ed il suo isolamento attraverso un progetto comune di tipo solidale. Il filosofo Jean-Paul Sartre ha dato nel 1960 una formulazione filosofica sostanzialmente insuperata a questa natura progettuale dell'essere compagni, attraverso la sua teoria del cosiddetto gruppo-in-fusione che persegue una finalità-progetto, a sua volta sempre minacciata dalla serializzazione e dalla inevitabile burocratizzazione, denominate da Sartre il pratico-inerte. In questo modo, secondo Sartre, si è compagni soprattutto se si ha un progetto comune da compiere insieme. È il progetto che costituisce antropologicamente i compagni. Senza progetto, nessun compagno.

Etimologicamente, tuttavia, le cose stanno diversamente. Il termine "compagno", almeno nelle lingue di cui ho conoscenza, rimanda a tre modalità diverse dello stare insieme, il mangiare insieme, il dormire insieme, il camminare insieme. L'italiano "compagno" significa cum-pane, colui con cui si spezza insieme il pane (analogo peraltro al greco syntrofos, da syn e trofì, cibo comune). Nel francese camarade si allude allo stare insieme, all'abitare insieme, al dormire insieme. Nel turco yoldaş si fa riferimento allo yol, la strada comune che gli amici percorrono insieme. Mi sono soffermato volutamente sulle radici etimologiche del termine "compagno" per far notare ciò che spesso è talmente ovvio da non essere notato, il fatto cioè che il mangiare insieme, il dormire insieme, il camminare insieme, eccetera, dovrebbero essere un annuncio non solo di amicizia, ma anche di universalità, di universalismo reale.

Nei fatti così non è quasi mai. Al di là degli irripetibili momenti di solidarietà nella lotta, in cui però è il comune nemico ad unirci, e si scopre poi dopo con dolore e delusione che al di là di questo comune nemico da sconfiggere non si aveva nient'altro in comune, non esiste ambiente solitamente più litigioso di quello dei compagni, divisi sempre in modo paranoico fra veri compagni e falsi compagni, in preda alle peggiori invidie ed ai più traumatizzanti furori ideologici. Questo fatto è generalmente spiegato in modo frettoloso con i residui dell'egoismo e dell'individualismo borghese o piccolo-borghese, ma questa spiegazione è rassicurante e tautologica. Il vero problema filosofico di fondo sta nell'universalismo e nella possibile universalizzazione della figura del "compagno". Se questa figura non è universalizzabile, e resta patologicamente particolare, allora ogni superamento del cosiddetto in-dividualismo capitalistico appare impossibile. Il compagno diventerebbe così una figura storica intermedia, sostanzialmente solo emergenziale, in direzione della libera individualità propugnata da Marx. In termini elementari potremmo porci la seguente domanda: il comunismo è una società di compagni, o una società di libere individualità? Detto altrimenti, il compagno e la libera individualità coincidono, per cui semplicemente il comunismo generalizza all'intero pianeta la figura militante del compagno, oppure si ha qui a che fare con una dialettica molto più delicata e complessa?

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