Qualcuno odia la nostra libertà
 

di Giuseppe Pelazza
pubblicato qui dicembre 2005



Di Giuseppe Pelazza abbiamo pubblicato anche gli articoliUn 270 bis non si nega a nessuno: storia della legislazione repressiva in Italia e La guerra del diritto: la repressione planetaria dopo l'11 settembre.


Quella dell'avvocato Giuseppe Pelazza è una delle pochissime voci che denunciano con coraggio e conoscenza di causa l'abolizione progressiva della democrazia nel nostro paese.

Quello che segue è il testo del suo intervento alla Conferenza europea di Resistenza alla Repressione promossa dalla Comissione per il Soccorso Rosso Internazionale tenutasi in Svizzera il 5/6 novembre 2005.

Qualcuno "odia la nostra libertà", come dice Bush.

Solo che non è Osama bin Laden.




Sintetica esposizione delle ultime leggi repressive in Italia, con riferimento anche alle normative europee.

In Italia le ultime leggi repressive si inseriscono in un sistema penale storicamente caratterizzato da una notevole "durezza": si va dalla legislazione del ventennio fascista, in gran parte tuttora vigente, alla legislazione speciale degli anni 70 e 80.

Ciononostante, stiamo assistendo ad un vero e proprio "salto di qualità" repressivo. Cerchiamo, perciò, di fornirne un sintetico quadro, non senza ricordare come questo "rimodellamento" dell'ordinamento penale si ricollega al complessivo contesto internazionale, caratterizzato dall'aggressività imperialista e dalle guerre "preventive" scatenate dagli USA, e, altresì, dall'intrecciarsi di produzioni normative sovranazionali, in specie relative alla costruzione della "fortezza" Europa.

Il 18 ottobre 2001, "ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di rafforzare gli strumenti di prevenzione e contrasto nei confronti del terrorismo internazionale prevedendo l'introduzione di adeguate misure sanzionatorie e di idonei dispositivi operativi" è stato emanato il decreto legge n. 374, poi convertito, con alcune modifiche, nella legge 15 dicembre 2001 n. 438: vediamone alcuni aspetti essenziali.

E' stato riformulato l'art. 270 bis del codice penale (introdotto nel dicembre 1979), che già puniva le associazioni "con fini di eversione dell'ordine democratico", prevedendo, come elemento costitutivo del reato, anche la "finalità di terrorismo anche internazionale", ed inserendo, oltre alle figure del promotore, costitutore, organizzatore e dirigente, pure quella del "finanziatore". Con l'occasione sono state ulteriormente inasprite le già pesanti pene: si è passati da un minimo di 4 ad un minimo di 5 anni, e da un massimo di 8 ad un massimo di 10 anni, e questo per la partecipazione semplice. Per comprendere la furia repressiva, si pensi che il legislatore fascista, con l'art. 306, colpiva! con pene da 3 a 9 anni chi partecipava al ben piu agguerrito sodalizio definito, appunto, come "banda armata".

Deve comunque essere sottolineata la totale indeterminatezza con cui viene indicato il comportamento punito con grave violazione dell'art. 25 della Costituzione Italiana. Addirittura il comportamento pare realizzato dal semplice "proporsi" il compimento di atti di violenza con le finalità sopraddette, e quindi vi e la volontà di criminalizzare anche la semplice "intenzione". Questo, del resto, già connotava la formulazione del 1979.

Dalla riformulazione, attuata in questo stesso articolo, della nozione generale della finalità di terrorismo, consegue anche che per gli "atti di violenza... rivolti contro uno stato estero, un'istituzione o un organismo internazionale" si applica l'aggravante prevista dall'art. 1 del già ricordato decreto Cossiga, aggravante che determina un aumento di pena della metà, con impossibilità di cancellare l'aggravante medesim! a (come invece succede per le aggravanti ordinarie) con il riconoscimento di attenuanti. E le parole usate dal legislatore sembrano proprio voler rendere possibile l'equiparazione tra qualunque tipo di violenza contro Stati esteri od organismi internazionali e la finalità di terrorismo: questo, evidentemente, tende anche a colpire pesantemente non soltanto gli associati a gruppi ristretti, bensì pure i partecipanti a movimenti di massa con connotazioni internazionaliste. Sulla definizione di terrorismo tornano poi, così come vedremo, le recentissime norme del c.d. "decreto Pisanu".

Novità della legge è, poi, l'introduzione, nel codice penale, dell'art. 270 ter, che punisce, con pena fino a 4 anni, chi "fuori dei casi di concorso nel reato e di favoreggiamento, dà rifugio o fornisca vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione" a chi partecipa alle associazioni punite dall'art. 270 bis e dal vecchio art. 270 CP (associazione sovversiva "semplice"). La preoccupazione è dunque quella di colpire comunque chi è contiguo alla sovversione (si pensi che l'art. 270 CP era stato strutturato per colpire, nel ventennio, comunisti, socialisti, massimalisti ed anarchici), e, inoltre, di ostacolare ogni forma di solidarietà internazionale, nel momento in cui vengono definite, sul piano europeo, associazioni con finalità di terrorismo le forze politiche, i movimenti e i gruppi che si battono per la liberazione dei loro Paesi, ovvero per l’indipendenza nazionale o per la rivoluzione, o contro forze militari straniere di occupazione.

Sul piano delle procedure, questa legge (stiamo sempre riferendoci alla n. 438/2001) prevede (art. 3) la possibilità di perquisizioni per "blocchi di edifici" con facoltà di sospendere "la circolazione di persone e veicoli nelle aree interessate". L'art. 5 introduce la possibilità delle "intercettazioni preventive" anche per i reati con finalità di terrorismo: tali intercettazioni (telefoniche, telematiche, ambientali) non sono più limitate a chi è sottoposto a indagini e solo su autorizzazione di un Giudice, ma sono ammissibili in via generale "quando sia necessario per l'acquisizione di notizie concernenti la prevenzione" dei delitti in questione, e l'autorizzazione e richiesta al Pubblico Ministero e non al Giudice. L'art. 4 introduce, senza più alcuna forma di pudore, la disciplina delle "attività sotto copertura" della Polizia Giudiziaria. Tali attività sono effettuate dagli organismi investigativi dei vari corpi "specializzati nell'attività di contrasto al terrorismo o all'eversione".

Il Pubblico Ministero deve soltanto essere preventivamente informato: il fine delle operazioni e l"acquisire elementi di prova in ordine ai delitti commessi per finalità di terrorismo", e gli operanti non sono punibili se "anche per interposta persona acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro, armi, documenti, stupefacenti, beni, ovvero cose che sono o! ggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato, o altrimenti ostacolano l'individuazione della provenienza o ne consentono l'impiego". Proprio quest'ultima frase rende evidente la possibilità, per tali agenti, di concorrere nei delitti commessi, ad esempio, con le armi: con questa ampia previsione di non punibilità è, insomma, consentita espressamente l'attività di infiltrazione/provocazione (con la connivenza, si badi, della magistratura).

Infine, l'art. 10 bis compie un primo passo verso la creazione, per i delitti in questione, di un Pubblico Ministero e di un Giudice per le Indagini Preliminari, "speciali", giacché stabilisce la competenza di PM e GIP non presso il Tribunale competente, bensì del capoluogo del distretto.

Il decreto Pisanu (decreto legge 27 luglio 2005 n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005 n.l55) ha recentemente introdotto nuove figure di reato in materia di terrorismo: - "Arruolamento con finalità ! di terrorismo anche internazionale" che punisce, con la reclusione da sette a quindici anni, chi "arruola una o più persone per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione o un organismo internazionale" (art. 270 quater cod. pen.). Vista, anche, la definizione che viene contestualmente data, di "condotte con finalità di terrorismo", è evidente come la norma sia mirata a colpire chi si attivi per promuovere concretamente atti di resistenza contro eserciti occupanti, ovvero Stati occupanti, ovvero Stati fascisti e/o autoritari. "Addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale" (art. 270 quinquies cod. pena.) che punisce, con la reclusione da cinque a dieci anni, chi fornisce istruzioni sulla preparazione e sull'uso di armi, nonché su qualunque tecnica "per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubbli! ci essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero ecc.".

Anche questa norma appare figlia della condizione di guerra permanente e della volontà di negare ogni possibilità di difesa alle popolazioni aggredite.

L'art. 270 sexies cod. pen. definisce poi, come già accennato, le "condotte con finalità di terrorismo", come quelle "che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un'organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia".

A parte la genericità della parte finale dell'articolo, la parte principale è esattamente ricopiata dalla Decisione Quadro 13 giugno 2002 del Consiglio dell'Unione Europea, dove, tuttavia, erano almeno tassativamente indicate delle condotte concrete, come "attentati alla vita di una persona che possono causarne il decesso", "sequestro di persona e cattura di ostaggi", delle quali alcune, comunque, molto vaghe ed "elastiche", come la distruzione di "infrastrutture... di luoghi pubblici o di proprietà private che possono... causare perdite economiche considerevoli". Lo stesso Consiglio dell'Unione Europea dimostrava, peraltro, di essere ben consapevole della delicatezza dell'argomento, tanto che nelle considerazioni preliminari puntualizzava che "Nella presente decisione quadro nulla può essere interpretato come una misura intesa a limitare od ostacolare diritti o libertà fondamentali quali il diritto di sciopero, le libertà di riunione, di associazione! o di espressione".

Excusatio non petita...

Il grave peggioramento della normativa europea attuato dall'Italia si commenta, comunque, da solo: con la "versione" italiana le "preoccupazioni" del Consiglio Europeo dovrebbero essere moltiplicate molte e molte volte.

Basti pensare come sia tipico delle azioni sindacali, o comunque di movimenti sociali, il voler "costringere i poteri pubblici... a compiere o astenersi dal compiere" un qualsiasi atto.

L'art. 497 bis cod. pen. che punisce il possesso di documenti falsi validi per l'espatrio con la reclusione da uno a quattro anni. Oltre ad introdurre nuove figure di reato, il decreto Pisanu (questo su richiesta dell'opposizione di centro-sinistra...) ha aumentato della metà la pena prevista per i reati di apologia (autentico reato di "opinione") e istigazione, qualora riguardino delitti di terrorismo. Ha anche raddoppiato la pena (da 1 a 2 anni) per chi rende difficoltoso il riconoscimento della persona: e norma xenofoba anti-chador, e anche contro i "travisamenti" nelle manifestazioni di piazza.

Sul piano delle procedure, il decreto Pisanu, in sintesi (ma sarà necessaria una valutazione più completa ed approfondita), introduce:

  • i cosiddetti "colloqui investigativi" per acquisire dai detenuti anche informazioni utili per la prevenzione e la repressione dei delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione. Si tratta di "colloqui" (ognuno può immaginare cosa concretamente possa significare tale termine...) in carcere, gestiti, ovviamente senza presenza né di magistrati né di avvocati difensori, da poliziotti e carabinieri.

  • I "permessi di soggiorno per fini investigativi": si tratta di premi per gli stranieri che collaborano alle indagini per delitti commessi per finalità di terrorismo anche internazionale. E' evidente come l'immigrato-collaboratore (magari a seguito di "colloqui investigativi"...)! non potrà più discostarsi dalle dichiarazioni rese, giacche questi permessi di soggiorno devono essere revocati in caso di successiva "condotta incompatibile con le finalità degli stessi". Per chi offre una collaborazione di "straordinaria rilevanza" è poi prevista la concessione della carta di soggiorno (che è a tempo indeterminato).

  • "Nuove norme in materia di espulsione degli stranieri per motivi di prevenzione del terrorismo": è pressoché cancellata ogni possibilità di difesa, in quanto il ricorso al Tribunale Amministrativo non può sospendere l'esecuzione del provvedimento, essendo espressamente vietata perfino la sospensione prevista dalle regole generali del processo amministrativo; inoltre il processo può essere sospeso per due anni quando l'amministrazione statale affermi la sussistenza di segreto di indagine o di segreto di Stato.

  • "Nuove norme sui dati dei traffico telefonico e telematico", che ne aumentano i tempi di conservazione e impongo! no la precisa identificazione degli acquirenti del traffico prepagato della telefonia mobile.

  • Necessità di specifiche licenze del questore per l'apertura di pubblici esercizi o circoli privati con apparecchi terminali utilizzabili anche per comunicazioni telematiche.

  • "Nuove norme sull'identificazione personale", che prevedono il prelievo coattivo di capelli o saliva e l'aumento del tempo (da 12 a 24 ore) in cui il soggetto da identificare può essere trattenuto negli uffici della polizia giudiziaria.

  • Nuove norme sul "congelamento" di beni quando vi sia il rischio che possano essere "utilizzati per il finanziamento di attività terroristiche".

  • E' attribuito all'esercito, in funzione di vigilanza sugli obiettivi sensibili, oltre al potere di fermare e identificare (già concesso dal c.d. "pacchetto sicurezza" del Governo D'Alema), anche il potere di effettuare perquisizioni sulla persona e sugli automezzi.
Già abbiamo richiamato la guerra. E' dunque il caso di ricordare come dal decreto legge 1.12.2001 n. 421 è stato stabilito che al corpo di spedizione italiano che partecipa ad "Enduring Freedom" si applica il codice penale militare di guerra. La legge 6/2002 ha esteso tale applicazione anche "al personale di supporto del corpo di spedizione che resta nel territorio nazionale". Sulla nozione di "guerra" vi sono poi degli "aggiornamenti" in corso. Ad esempio la "normalità" della guerra è puntualmente affermata nella Relazione al Disegno di Legge Delega (al momento accantonato) sulla revisione dei codici penali militari- e dell'ordinamento giudiziario e militare, laddove si legge che "un tempo di guerra non è più facilmente riconoscibile nel contesto di un tempo normale di vita dell'ordinamento giuridico, dato che la guerra non tende più a manifestarsi come una catastrofica calamità che affligga l'intera nazione, imponendo trasformazioni ordinamentali, ma spesse assume le semb! ianze di un conflitto parziale e limitato, in grado di coesistere con una normale situazione ordinamentale".

Ma quale sarà una "normale situazione ordinamentale" nel futuro che vogliono costruire? Pensiamo, ad esempio, che il Disegno di Legge in questione prevede che "ai fini della legge penale militare di guerra costituiscono conflitti armati... i conflitti interni tra gruppi di persone organizzate, che si svolgano con le armi all'interno del territorio dello Stato e raggiungano la soglia di una guerra civile o di insurrezione armata..." con la precisazione che vanno esclusi (grazie a Dio!) dalla nozione di conflitti interni "le situazioni interne di disordine o di tensione, quali sommosse o atti di violenza isolati e sporadici ed altri atti analoghi" (art. 4, lett. "i" nr 1 e 2).

Sul piano del carcere, oltre a quanto accennato a proposito dei colloqui investigativi, si deve ricordare come, con legge 23.12.2002 n. 279, l'art. 41 bis, 2° comma, che prevede la possibilità della sospensione per particolari categorie di detenuti, tra cui i politici, delle normali regole, è stato inserito definitivamente (su proposta del Centrosinistra) nella legge sull'Ordinamento Penitenziario (in precedenza era, invece, una norma "a tempo", la cui esistenza doveva essere periodicamente rinnovata).

E' stato anche modificato l'art. 4 bis, nel senso che anche i detenuti politici, per poter usufruire delle misure alternative alla detenzione, dovranno aver collaborato con polizia e autorità giudiziaria. E' significativo che tale modifica varrà solo per i detenuti per fatti successivi all'entrata in vigore della modifica: ciò vuol dire che lo Stato intende prepararsi a futuri, numerosi, ingressi in carcere per delitti politici. Parlando di carcere, non si può, infine, non accennare alla linea di tendenza, che caratterizza l'intero mondo occidentale, di introdurre e potenziare forme di detenzione amministrativa (che prescindono completamente! dalla commissione di reati) per gli stranieri: è l'orribile forma del "campo di concentramento" che torna a segnare i tempi.

Il quadro complessivo del meccanismo penale, che accentua il peso dei reati associativi e l'elemento finalistico dei comportamenti, non può che spingere a fare del processo uno strumento di repressione delle identità politiche (con una eco, quindi, della teorica, propria della Germania degli anni trenta, della "colpa di autore": ti punisco non per quello che fai ma per quello che sei), spostando il baricentro dell'attività giudiziaria sulla prevenzione, con una concezione della giurisdizione come attività, anziché di accertamento, come "attività contro".

A proposito della Cooperazione Internazionale in tema di repressione, e pensando all'Europa, ricordiamo come, già da tempo (dal 1996), è stato creato il ruolo del "Magistrato di collegamento", che ha il compito di rendere più efficace, come canale di comunicazione "informale" tra le ! diverse autorità nazionali, la cooperazione giudiziaria.

Dal 1998 è stata istituita anche la Rete Giudiziaria Europea, sempre con lo scopo di creare dei "punti di contatto", in ciascuno Stato membro dell'Unione, al fine di agevolare la cooperazione.

Con la Decisione 28 febbraio 2002 del Consiglio dell'Unione Europea è stato infine meglio definito, e istituzionalizzato, il ruolo di Eurojust, composto da rappresentanti (pubblici ministeri, giudici o funzionari di polizia) di ciascun Stato membro, con il compito di stimolare e migliorare il coordinamento tra le autorità giudiziarie nazionali, sollecitando l'avvio di indagini e consigliando quale autorità nazionale sia la più indicata per lo svolgimento delle medesime. Va sottolineato che ai lavori di Eurojust partecipa, per le questioni generali e per i settori di sua competenza, la Commissione (che è l'Esecutivo), mentre è prevista una "stretta cooperazione" con Europol.

Sono evidenti le pesanti co! mmistioni tra ruolo dell'Esecutivo, della polizia e della magistratura, alla faccia della separazione dei poteri...

Fermo restando che anche su questo argomento saranno necessari approfondimenti conoscitivi e riflessioni, ricordiamo ancora l'istituzione del mandato di arresto europeo, che cancella i classici meccanismi estradizionali cercando di imporre una sorta di automatismo, che prescinde dal divieto di estradizione per reati politici, e cancella perfino - per una serie di generiche categorie di reati -, il principio della "doppia incriminazione", per il quale l'estradizione era possibile sono se i fatti posti a base della richiesta erano previsti come reato anche nel Paese "richiesto".

Da ultimo deve anche essere ricordato che l'Esecutivo europeo interviene pesantemente nel giudicare, singoli od organizzazioni, come terroristi, attraverso il meccanismo della elaborazione delle cosiddette "liste nere". L'origine di tali liste si trova nella "Posizione Comu! ne del Consiglio del 27 dicembre 2001 relativa all'applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo (2001/931/PESC)".

In tale Posizione Comune, dopo aver definito nei noti, larghissimi, termini la nozione di atto terroristico, il Consiglio precisa che l'elenco delle "persone, gruppi ed entità... coinvolti in atti terroristici", e redatto anche solo sulla base di una "apertura di indagini" da parte di un'autorità competente, o del fatto che già vi è stata una individuazione, da parte del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, "come collegati al terrorismo": nessuna possibilità di difesa, dunque.

Si pensi che il Tribunale della Comunità Europea (sent. 26.4.2005, Sison c. Consiglio dell'Unione Europea) ha negato, a persona inserita in tale lista, il diritto di conoscere i documenti in base ai quali era stato deciso tale inserimento, e ciò in quanto "l’efficacia della lotta al terrorismo presuppone che le informazioni in possesso delle autorità pubbliche concernenti persone o enti sospetti di terrorismo siano mantenute segrete, affinché queste informazioni conservino la loro rilevanza e consentano un'azione efficace".

Civiltà giuridica europea, addio!

Milano, 21.10.2005


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