Nota introduttiva di Miguel Martinez Questo articolo dell'avvocato Giuseppe Pelazza è tratto dalla rivista Rosso XXI. In questa breve storia della legislazione in Italia finalizzata a reprimere il dissenso politico, Giuseppe Pelazza sottolinea due elementi che pochi conoscono:
Alla parte successiva Senza addentrarsi in una dettagliata ricostruzione del succedersi di svariate normative e del dibattito giurisprudenziale della fine del milleottocento (non ne sarei in grado), si può ricordare come i diversi governi della Destra e della Sinistra preferirono, per un certo tempo, condurre la lotta alle associazioni politiche “sovversive” al di fuori di qualsiasi controllo giurisdizionale, privilegiando i collaudati strumenti dei decreti di scioglimento, del domicilio coatto, dei divieti di dimostrazione e delle ammonizioni, avvalendosi, poi, del prevalere dell’orientamento giurisprudenziale che assimilò le associazioni internazionaliste alle associazioni a delinquere. Significative, a questo proposito, sono, nella loro brutale connotazione di classe, le parole della Corte di Cassazione di Roma (sent. 16 Febbraio 1880, ric. Bensi): “… l’unica questione che sorge è quella di vedere se un’associazione così detta internazionalista, avente capi e composta di gente appartenente alle infime classi sociali, organizzata a solo oggetto di attuare con atti esteriori di violenza le sue sovversive idee contro le persone e la proprietà, eccitando all’assassinio e allo spoglio degli abbienti, possa definirsi una innocua riunione di uomini intenti a discutere problemi sociali o invece debba reputarsi una vera associazione di malfattori ai termini dell’art. 426 e 429 del Codice Penale…E se un’associazione appellata internazionalista non segua con calma il suo preteso apostolato, ma con fatti di violenza eccita alla strage ed allo spoglio, non può darsi ad essa altra denominazione che quella di cui all’art. 426 del codice penale…Essa deve essere punita come reato di per sé stante in ogni governo, qualunque sia la forma, a ragione del pericolo sociale che emerge dal solo fatto della sua costituzione”.Peraltro il codice Zanardelli del 1899, nel prevedere, successivamente, la specifica ipotesi di “associazione a scopo sedizioso” (art. 251), stabiliva: per i partecipanti, una pena – da 6 a 18 mesi – che oggi appare, possiamo dire, invidiabile. Lasciando da parte gli approfondimenti della questione se la produzione normativa del periodo fascista sia connotata – nel suo complesso – da discontinuità, rispetto al periodo precedente, ovvero ne rappresenti un coerente sviluppo, possiamo ricordare che il delitto di associazione sovversiva (l’ancora attualissimo art. 270 cod. pen.), introdotto con il Codice Rocco, e teso, a colpire comunisti, socialisti, massimalisti ed anarchici, trovava il suo precedente immediato nell’art. 4, commi 1 e 2 della legge 25 novembre 1926 n. 2008, sulla difesa dello Stato, che puniva la ricostruzione e la partecipazione alle associazioni e ai partiti disciolti a norma delle leggi precedenti. Correttamente, pertanto, nel primo dopoguerra, alcune sentenze della Corte di Cassazione (ad esempio Cass. 22 marzo 1950, Mazzoni) ritennero che l’art. 270 era stato abrogato dal Decreto luogotenenziale 27 febbraio 1944 n. 159 che, appunto, aveva statuito l’abrogazione di tutte le norme emanate a tutela delle istituzioni e degli organi politici creati dal fascismo. Ma tale atteggiamento mutò subito, e il delitto di associazione sovversiva, con le sue successive “filiazioni”, è rimasto strumento centrale della repressione, nonostante gli evidenti aspetti di incostituzionalità su cui si sono soffermati numerosi, autorevoli, studiosi. Alla parte successiva
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