22. Dal 1938 la storia del trotzkismo si risolve nella storia delle sue scissioni. Queste scissioni sono state tanto numerose, insistite, continue, pittoresche da provocare una vera sorpresa ed un vero sbalordimento in tutti gli osservatori non prevenuti. I trotzkisti non sono assolutamente in grado di capire il perchè di queste continue maniacali scissioni, e le spiegano con la dilettantesca categoria del fatto che noi abbiamo (o abbiamo avuto) ragione e loro, gli scissionisti, hanno (o hanno avuto) torto. Questo criterio del tutto autoreferenziale non è ovviamente in grado di cogliere il centro del problema, che pure è sotto gli occhi di tutti.
Ed il cuore del problema sta in ciò, che è assolutamente impossibile ricavare una strategia ed una tattica a livello addirittura mondiale (perchè la Quarta Internazionale, o meglio la sua mitica ricostruzione, è mondiale per definizione aprioristica) partendo da un sistema dottrinario come il trotzkismo. Sta qui il 90% dei problemi del trotzkismo. Non appena un gruppo di trotzkisti raggiunge la consistenza di alcune centinaia di aderenti, esso si spacca subito in due, e così in continuazione per scissioni successive. A seconda di come il fenomeno viene visto, se dall'interno o dall'esterno, esso è tragico oppure comico. Il fatto è che un sistema dottrinario non può indicare concretamente nè una strategia nè una tattica. La strategia ovviamente in teoria c'è, ed è addirittura la rivoluzione socialista mondiale, ma questa strategia è talmente generica da non poter mai per definizione "riempirsi" di contenuti tattici precisi. Questi contenuti vengono sempre in teoria estrapolati dalle scelte tattiche di Trotzky degli anni Venti e Trenta del Novecento, scelte tattiche che maturarono in un contesto storico che è ormai lontano da noi come Mario e Silla ed i guelfi e ghibellini, e che invece i trotzkisti ripropongono sempre maniacalmente con alluvionali articoli sulle loro rivistine clandestine. Si hanno allora paradossi tragicomici, per cui formazioni trotzkiste che continuano per abitudine a rifiutare i fronti popolari degli anni Trenta (perchè a suo tempo Trotzky li rifiutò in Francia e Spagna nel 1936 e poi durante i primi anni del secondo dopoguerra 1945-50) poi votano apertamente Rutelli contro Berlusconi in Italia e Chirac contro Le Pen in Francia.
Non mi interessa sparare sulla Croce Rossa. Mi rendo perfettamente conto che la malattia professionale di chi fa politica è la "convulsione tattica", variante sociale dell'epilessia. Bisogna sempre fare, fare, indicare, mobilitare, dare indicazioni di voto, eccetera. Personalmente ho deciso di fare un passo indietro e di uscire da questo mondo parallelo, non certo perchè disprezzo chi ne fa parte (tutto al contrario), ma perchè ritengo che la precondizione per una attività teorica creativa indipendente (cattiva o buona che sia, è un'altra faccenda) sia proprio l'allontanamento da ogni gruppo organizzato, che ti costringe a "giustificare" le sue svolte tattiche ed elettorali. Questo è tutto tempo perduto per lo studio, in particolare per lo studio dei "fondamenti ultimi" delle teorie in crisi scientifica che avrebbero appunto bisogno di una rivoluzione scientifica, rivoluzione che dirigenti e militanti di partito non vogliono assolutamente per ragioni identitarie.
23. Possiamo avviarci verso la conclusione. Prima, però, è necessario toccare tre punti di assoluta attualità nel rapporto fra il trotzkismo e la storia contemporanea. Si tratta rispettivamente del rapporto del trotzkismo con il movimento del Sessantotto, dell'atteggiamento del trotzkismo nel corso della dissoluzione del comunismo storico novecentesco (1985-1992), ed infine del tema attuale del rapporto fra il trotzkismo e la globalizzazione, cioè del cosiddetto movimento no-global. Si tratta dei tre temi più scottanti e controversi, quelli su cui è consigliabile che la discussione si sviluppi e si concentri.
24. Dopo la lunga traversata nel deserto del periodo 1945-1968, in cui il Segretariato Internazionale trotzkista (Maitan, Mandel, Frank, eccetera) scelse fondamentalmente la tattica detta "entrista" nei partiti socialisti e comunisti (sopravvalutando ovviamente la separazione fra base e vertice, e non comprendendo la sostanziale omogeneità sia ideologica che sociale fra questa base e questi vertici - ogni base, infatti, ha sempre i vertici che si merita, nel bene e nel male), gli anni Sessanta sono in Europa un momento di rivitalizzazione del trotzkismo. Vi sono ovviamente differenze molto grandi fra Italia e Francia. In Italia il duro lavoro di formichine dei trotzkisti fra il 1956 ed il 1968 si disperde in grande misura nel Sessantotto, in cui molti militanti trotzkisti (Negarville, Vinci, Illuminati, eccetera) defluiscono verso formazioni di tipo operaista, populista, maoista, eccetera. A mio avviso, si tratta della tradizionale debolezza teorica del movimento italiano e della sua storica indifferenza verso le ideologie organizzate. In Francia, al contrario, i trotzkisti riescono per la prima volta in Europa a costituire un'organizzazione relativamente di massa (la Lega Comunista di Alain Krivine). In generale, in Francia il trotzkismo negli ultimi trenta anni è sempre stato un fattore permanente, anche se marginale, della vita politica e culturale francese. Dopo il 1945, è Parigi la vera capitale del trotzkismo.
Giunti all'appuntamento con il 1968, i trotzkisti ne fraintendono subito la natura profonda. Impressionati dalla mobilitazione studentesca prima e poi operaia lo interpretano come una sorta di "prova generale" (rèpètition gènèrale) della rivoluzione socialista nelle nuove condizioni urbane e tecnologiche. È questo un caso di wishful thinking, cioè di speranza travestita da analisi (in modo peraltro molto simile a certe sopravvalutazioni odierne esagerate del carattere rivoluzionario del movimento no-global). L'ideologia gioca qui un comprensibile ruolo di mascheramento (ne fui comunque anch'io vittima a quel tempo, e chi è senza peccato scagli la prima pietra). In questo modo il trotzkismo, insieme con tutto il restante messianesimo rivoluzionario, non capiva e non poteva capire che la corrente principale e dominante del Sessantotto non era assolutamente la riproposizione della rivoluzione operaia e proletaria, ma era la modernizzazione capitalistica post-borghese del costume, in direzione di una società self-service in cui le abitudini sessuali e di consumo non erano più sottomesse al cosiddetto Super-Io repressivo protoborghese. Questa incomprensione radicale, comprensibile per chi rifiutava il situazionismo ed Adorno, portò il trotzkismo ad essere del tutto disarmato verso le sciocchezze alla moda del femminismo differenzialista (peraltro contrastato dai trotzkisti più intelligenti, come l'italiana Lidia Cirillo). Ancora oggi, ed anzi direi soprattutto oggi, la radicale incomprensione della natura dialettica del Sessantotto (e cioè la sopravvalutazione dei suoi aspetti superficiali militanti e la sottovalutazione dei suoi dominanti aspetti di modernizzazione post-borghese ed ultra-capitalistica) continua a pesare sugli orientamenti strategici della cultura di opposizione, e ricordo qui solo l'incredibile silenzio verso l'antropologia "desiderante" di Toni Negri e delle sue macchine teurgiche attribuite addirittura a Spinoza (e mi rivolgo qui all'anima della grande spinoziana italiana Emilia Giancotti perchè fulmini dal cielo i dementi).
25. I trotzkisti arrivarono all'appuntamento della dissoluzione del comunismo storico novecentesco (1985-1992) armati dello schema teorico incapacitante del popolo socialista intenzionato a fare una rivoluzione politica contro la burocrazia di partito, a sua volta solo un ceto parassitario e non una classe sfruttatrice. In tutta serietà, è come se i navigatori del Cinquecento si fossero messi in mare sulla base della teoria della terra piatta e degli oceani che si rovesciavano nel vuoto stellare appena le navi fossero giunte ai bordi del pianeta.
Sulla base di questo schema, si avevano forze antiburocratiche (Solidarnosc, Eltsin, gli sciagurati minatori russi, i fronti popolari baltici, eccetera), burocrati oscillanti e possibilisti (Gorbaciov) ed infine burocrati conservatori e reazionari (Honecker, Ligaciov, Nina Andreieva, eccetera). Si erano così messe le basi per battezzare "sinistra" Eltsin e "destra" Ligaciov, e questo durò alcuni anni (1988-1991). Ci si può chiedere come è possibile essere tanto stupidi e non vedere l'evidenza. Una persona intelligente ed onesta come Ernest Mandel si mise a contare i cartelli dei manifestanti di Berlino Est del novembre 1989, al tempo della autoliquidazione del muro di Berlino, e ne trasse la conseguenza onirica per cui stava per ritornare la rivoluzione antiburocratica di Trotzky e di Rosa Luxemburg. Niente di strano. Nel Seicento gli astronomi tolemaici a volte mettevano il naso davanti al cannocchiale galileiano, ma vedevano sempre e soltanto il sole che girava intorno alla terra. Come sanno bene gli psicologi, non basta guardare, ci vuole anche il giusto orientamento gestaltico, cioè non vedere un'oca dove c'è invece un coniglietto. Tutti i chimici sanno che finchè si prende in considerazione il flogisto non si possono fare i calcoli necessari.
I trotzkisti hanno pervicacemente guardato gli anni 1985-1992 con gli occhiali del conflitto fra popolo socialista (buono) e burocrazia (cattiva, ma pur sempre non una classe sfruttatrice). A questo punto la dinamica della restaurazione diventava incomprensibile, nonostante analisi particolari molto intelligenti (ricordo qui le analisi di David Seppo pubblicate in francese su Inprecor). Il fronte restauratore formato da un blocco di alti burocrati di partito, dirigenti delle imprese statali in via di privatizzazione, mafia russa ed internazionale e sionisti pazzi, sulla base di una passività politica delle masse e di una mobilitazione ultraoccidentale degli intellettuali, diventava così invisibile per i trotzkisti, irrigiditi nella contrapposizione inesistente di un Popolo di Sinistra e di una Burocrazia di Destra.
26. Con il 2000 arriva Seattle, con il 2001 Genova e con il 2002 Porto Alegre. Nasce il "movimento dei movimenti", il cui slogan è "un altro mondo è possibile". Certamente una buona cosa, anzi un'ottima cosa, in cui è bene stare dentro e non fuori, ma anche qualcosa che solo un illuso potrebbe considerare il "successore storico" del movimento operaio e comunista. Si ripete qui la vecchia illusione del Sessantotto. Ciò che si vuole credere vero diventa vero. L'incessante produzione di ideologie sostituisce l'analisi storica e politica. La paura di doversi adattare ad un mondo da incubo in cui vi saranno solo più Bush e Bin Laden che si confrontano spinge le anime belle a pensare di aver già trovato la formula della futura rivoluzione mondiale. Ed allora non è un caso che i trotzkisti siano in prima fila nella coltivazione irresponsabile di queste affrettate illusioni.
Ciò non avviene ovviamente a caso. Nel paradigma teorico trotzkista classico ci sta sempre la rivoluzione mondiale e solo mondiale, la negazione più estrema della questione nazionale, il demenziale slogan "Il Proletariato / Non ha Nazione / Internazionalismo / Rivoluzione", il sospetto ed il disprezzo verso tutte le forme di interclassismo anti-imperialista, eccetera. È una vecchia storia, sempre la stessa storia. La globalizzazione è vista come l'involucro finalmente trovato in cui si potrà portare avanti la rivoluzione trotzkista mondiale.
Tutto questo non sarebbe grave, e non è di per sè grave, se non si incontrasse con le ben più seducenti teorie alla Toni Negri ed alla Naomi Klein di un mondo imperiale unificato senza imperialismo. I trotzkisti, senza assolutamente volerlo, rischiano di essere solo i portatori d'acqua "militanti" di questo paradigma. Questo paradigma, lo si noti bene, lo si tenga a memoria e lo si ficchi bene in testa a tutti i confusionari bene intenzionati, è in questo momento quanto di peggio ci possa essere sul mercato delle idee. Solo una cultura imperialista può seriamente dire che non c'è più l'imperialismo, e che bisogna indebolire e svuotare di ogni sovranità lo stato nazionale. Se si assume questo punto di vista spregevole, solo un passo ci divide dal riconoscere la natura "provvidenziale" dell'unificazione militare americana del mondo, l'opportunità di intervento democratico ed umanitario contro i cosiddetti "stati canaglia" (cioè contro gli stati che gli USA unilateralmente ritengono tali), e tutta la spazzatura difesa dai vari Adriano Sofri e dagli altri ipocriti cantori dell'impero e del sionismo.
Si dirà che i trotzkisti non c'entrano niente con questa merda imperiale. E formalmente è così. Ma qui non si stanno facendo processi a nessuno. Qui si sta solo rilevando che chi continua a "pensare il mondo" con uno schema inadeguato finisce con il portare acqua al mulino di nemici ed avversari.
27. E qui posso proprio concludere. Ancora una volta, e sia ben chiaro, i trotzkisti non sono nè nemici nè avversari. Fra di loro vi sono innumerevoli individui per bene, combattenti anti-imperialisti, manifestanti per la pace, tutte persone che sono fratelli e compagni. Ma qui si parla di paradigma teorico, di occhiali per guardare il mondo. È ora di cambiare questi occhiali, talmente appannati da non vedere più niente. O li cambiano, o sarà Toni Negri a portarli per mano. È triste dire questo, anche perchè non ho molte illusioni, e so perfettamente che non li cambieranno.