Note critiche sul trotzkismo:

Contributi per una discussione da proseguire

I parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in cinque parti.

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1. Queste note critiche sul trotzkismo non hanno alcuna ambizione di completezza o di organicità. Per questo ci vorrebbe ovviamente molto più spazio e soprattutto molta più documentazione, informazione e bibliografia critica. Queste note (insieme con un testo successivo e complementare dedicato ad alcune note critiche sul maoismo) dovrebbero servire per una discussione "senza rete". Con questa espressione (senza rete) indico una discussione che investa anche i "fondamenti ultimi" del trotzkismo, e non solo questioni di tipo tattico e congiunturale (come organizzarsi, praticare il cosiddetto "entrismo" oppure no, come stare o non stare nel movimento detto no-global, appoggiare Fausto Bertinotti oppure opporglisi, eccetera). Sono moderatamente pessimista sulla possibilità di avviare una vera discussione "senza rete", perchè tipico di tutte le organizzazioni a riferimento dottrinario e ad universalismo presupposto (ed il trotzkismo è un modello inarrivabile di corrente a riferimento dottrinario e ad universalismo presupposto) è appunto il rifiuto assoluto di investire i propri "fondamenti ultimi". Ma sono dell'opinione che valga la pena provarci sempre.

Ramon Mercader omicida di Trotzky

Ramón Mercader, l'assassino di Trotzky

2. I motivi che rendono opportuna un'apertura di una discussione critica sul trotzkismo sono oggi molti. Ne citerò però per brevità solamente tre, di cui il terzo ed ultimo è di gran lunga il più importante, ed a mio avviso il solo decisivo.

3. In primo luogo, vale la pena ritornare su Trotzky e sul trotzkismo per la semplice ragione che essi fanno parte integrante dell'esperienza storica del movimento operaio, socialista e comunista, ed è sempre importante non perderne del tutto la memoria storica. Non mi riferisco assolutamente a quegli adoratori della memoria storica che la coltivano per innaffiare continuamente la propria identità, appartenenza, spirito di gruppo e pertanto spirito di divisione (dagli altri, in particolare dagli avversari). Questi adoratori della memoria storica sono in genere nemici della innovazione teorica, ed io metto l'innovazione teorica sopra tutto il resto, in particolare in questo momento politico e storico. Gli adoratori della memoria storica sono in genere branditori di immaginette sacre, e credono che i ritratti di Lenin, Gramsci o Che Guevara possano sostituire la leniniana analisi concreta della situazione concreta. Anche se soggettivamente convinti di essere "marxisti" essi fanno parte di una sorta di club informale di collezionisti delle Figurine Panini. In loro si realizza l'infantilismo, stadio supremo della regressione senile del comunismo.

È dunque per un'altra ragione che raccomando la conoscenza e lo studio della storia del marxismo, del socialismo e del comunismo. Nel mio lavoro di professore di filosofia, più esattamente di storia della filosofia nei licei, mi è successo spesso di imbattermi in studenti inesperti ma geniali che scoprivano per conto loro le più comuni posizioni filosofiche, cosa niente affatto difficile, perchè le posizioni filosofiche fondamentali sono relativamente poco numerose. Tuttavia, ho sempre consigliato a questi geniali e precoci scopritori uno studio diretto dei sofisti e di Platone, di Aristotele e di Spinoza, di Kant e di Marx, eccetera, perchè vi avrebbero trovato le stesse posizioni che avanzavano confusamente, espresse però in modo mille volte più chiaro, profondo e sistematico. Nell'attuale situazione caratterizzata dall'interruzione dell'informazione storica e teorica fra le generazioni può capitare ad un giovane generoso ma confusionario di credere di "inventare" per la prima volta opinioni più o meno marxiste senza sapere che esse sono già state ampiamente elaborate in precedenza.

4. In secondo luogo, vale la pena ritornare su Trotzky e sul trotzkismo perchè questa corrente non solo è sopravvissuta al crollo implosivo del comunismo storico novecentesco (1917-1991), ma in un certo senso sembra oggi godere di una (a mio avviso apparente) seconda giovinezza. Basti pensare alle recenti elezioni presidenziali francesi del 2002 vinte da Chirac, in cui tra diversi candidati trotzkisti (Arlette Laguiller, Besancenot e Gluckstein) hanno preso insieme più del doppio dei voti del candidato comunista del PCF, esprimendo una radicalizzazione dell'opinione pubblica elettorale che è stata il principale fattore della sconfitta di Jospin, del riformismo neo-liberale e della cosiddetta "sinistra plurale". Personalmente, non spendo una sola lacrima per una forza socialdemocratica a parole e neoliberista nei fatti, vicina al sionismo massacratore e del tutto incapace di una vera opposizione diplomatica e militare all'impero americano di Clinton e di Bush. Mi ha fatto ridere (un riso amaro senza gioia) vederli entrare in fibrillazione come se il Le Pen 2002 fosse il Mussolini 1922 o lo Hitler 1933, ed andare a votare in massa Chirac come un gregge privo di orientamento o meglio come i lemming della favola che si buttano in mare seguendo il pifferaio. In ogni caso, tornando alla "seconda giovinezza" del trotzkismo del Duemila, questa seconda giovinezza non mi stupisce assolutamente, perchè in questa situazione da (apparente) "anno zero" e da nuovismo retorico che nasconde un continuismo sotterraneo (ma nuovismo e continuismo sono sempre dialetticamente uniti, perchè la retorica sulla novità è sempre solidale con la continuità silenziosa) è del tutto normale che giovani generosi ma privi di esperienza si gettino su ciò che utilizza pur sempre il chiaro linguaggio della contrapposizione all'imperialismo e della critica radicale al capitalismo.

5. Vi è però una terza ragione, di gran lunga la più importante, che mi spinge a sollevare il problema del trotzkismo in questa presente congiuntura storica ed ideologica. È stato recentemente pubblicato e discusso un libro molto cattivo sull'attuale situazione storica e politica internazionale (cfr. A. Negri - M. Hardt, Impero, Rizzoli, Milano 2002). Questo libro nega ogni importanza alla questione nazionale, e si oppone ferocemente a qualunque ipotesi di "secessione" statuale, nazionale, confederativa o federativa dall'imperialismo americano dominante. Secondo Negri ed il suo divulgatore accademico americano non bisogna opporsi all'inserimento in un unico spazio capitalistico mondiale globalizzato ed unificato, perchè solo all'interno di questo nuovo spazio omogeneo potrà svilupparsi un nuovo soggetto rivoluzionario immediatamente comunista, "le moltitudini", spinto da una sorta di flusso desiderante addirittura "teurgico", cioè costruttore di Dio (op. cit. p. 366).

Nella sua forma hard, negriano-delirante, non credo che questa nuova teoria teurgica potrà farsi strada. ma in una forma soft, negriano-moderata, essa ha tutte le chances per imporsi, perchè si innesta fortemente su di una tradizione soggettivistica (le moltitudini) ed irrazionalistica (i desideri costituenti e teurgici) che viene da molto lontano, ha resistito alle varie "dissoluzioni" degli anni Novanta del Novecento, e pertanto può dolcemente innestarsi su di un precedente "senso comune" diffuso nelle galassie movimentiste ed estremiste di vario tipo. Nessun allarme esagerato, ma anche nessuna sottovalutazione colpevole.

Ora, io so bene che questa concezione negriana nelle sue due versioni (hard delirante e soft moderata) non viene affatto dal trotzkismo, ma è una versione metamorfica e proteica del paradigma originario del cosiddetto Operaismo italiano, uno dei nostri contributi alla cultura mondiale (insieme con la pizza e gli stilisti). L'Operaismo è sempre lo stesso attore che si traveste velocemente da personaggi differenti (operaio-massa, operaio-sociale, general intellect, informatici, no profit, volontari, disobbedienti, moltitudini biopolitiche desideranti, eccetera). L'operaismo rifiuta la cosiddetta "legge del valore", propugna il passaggio diretto al comunismo del consumo oltre il cosiddetto socialismo del lavoro, nega il ruolo dei partiti politici di tipo socialista e comunista, eccetera. È bene dire subito che il trotzkismo si basa su di un paradigma teorico e politico ben diverso.

Il trotzkismo, infatti, sostiene l'esistenza di classi sociali antagonistiche e rifiuta l'adozione del concetto di moltitudini. Il trotzkismo ha una antropologia filosofica di tipo razionalistico-classico, e quindi non fa concessioni al "paradigma desiderante" francese (Deleuze, Guattari, Lacan, eccetera). Il trotzkismo ritiene che esista sempre l'imperialismo, più esattamente la concorrenza inter-imperialistica fra stati capitalistici, al di là della presente forza soverchiante ed asimmetrica delle forze armate americane, e non può quindi accettare la teoria della fine dell'imperialismo, sostenuta da Negri ed accettata con frettolosa incoscienza dai dilettanti della maggioranza del Partito della Rifondazione Comunista (PRC) nel 2002, in una situazione in cui le due minoranze politiche, sia togliattiana (Sorini) che trotzkista ortodossa (Ferrando) hanno invece saputo mostrare una maggiore serietà teorica e culturale.

Non voglio dunque mescolare in modo maligno ed irresponsabile l'operaismo ed il trotzkismo. Sia ben chiaro, e lo dico qui chiaro e forte, che l'operaismo è molto peggio del trotzkismo, da qualunque punto di vista lo si prenda. Apparentemente "nuovista", è di un "vecchismo" spaventoso. Nuovo nel carambolare pirotecnico di nuovi soggetti, nuovi comportamenti, eccetera, è vecchio nella proterva riproposizione di un ticket in cui il soggettivismo ideologico e politico si unisce con l'irrazionalismo filosofico e con il dilettantismo scientifico. Ma allora, dirà il lettore a questo punto, che cosa c'entra il povero trotzkismo?

C'entra, c'entra, purtroppo. E c'entra nel senso che il trotzkismo ha in comune con il negrismo una sorta di universalismo astratto ed aprioristico, che non a caso (ed in entrambi i casi) sostiene l'esistenza di una globalizzazione mondializzata, e rifiuta ogni legittimità alla questione nazionale come momento oggi assolutamente imprescindibile per la resistenza all'imperialismo (ed agli imperialismi). Quest'universalismo che definirei in qualche modo addizionale (perchè "addiziona" sempre al tradizionale soggetto storico operaio e proletario anche altri soggetti alla rinfusa, donne, ecologisti, giovani, pacifisti, indigeni, eccetera) addiziona sempre tutto, meno i popoli che vogliono giustamente costituirsi in stati indipendenti (baschi, eccetera), ed è sempre pronto a rilasciare vecchie etichette diffamatorie (piccolo-borghesi, fronti-popolari, eccetera) a qualunque realtà mondiale che sia in qualche modo interclassista. E siccome il 100% delle realtà politiche mondiali (attenzione il 100%, non certo il 99 o il 98%) è interclassista, e non potrebbe essere diversamente (lo è Cuba e la Cina, come la Palestina ed il Venezuela, il Sudafrica ed il Vietnam, eccetera), il trotzkismo sostiene sempre e solo sè stesso in modo autoreferenziale, come luogo onirico, virtuale e fantastico, perfetto e dunque sempre per principio incorrotto, unico luogo al mondo in cui non esiste nessun interclassismo ma solo perfetto rivoluzionarismo.



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