Per agevolare la lettura, questa storia della scuola italiana è stato diviso in venticinque parti.
All'introduzione
Alla parte successiva

Regno di Napoli

Dopo le riforme ed i tentativi di Riforma del periodo napoleonico, la Restaurazione borbonica riportò quasi completamente la scuola alla completa influenza clericale. Nel primo periodo si oscilla continuamente tra aperture e chiusure: da una parte si vorrebbe mantenere l'efficienza del sistema scolastico messo su da Murat e dall'altra si ha paura di turbare l'ordine costituito con una scuola troppo avanzata. Si manifesta allora ciò che è ambizione di ogni governo reazionario: da un alto avere cittadini istruiti ma non troppo, dall'altro avere una scuola che serva più per indottrinare che per istruire, dall'altro ancora avere una scuola che non crei problemi alla struttura sociale esistente, dall'altro infine avere una scuola che si armonizzi con gli insegnamenti della Chiesa. E, vista la crescita del movimento liberale, i più accesi conservatori lanciavano strali contro la scuola che appariva come la tomba di troni ed altari. Nel 1815 venne istituita una Commissione con lo scopo dichiarato di educare i giovani alla Nostra Cattolica Religione. Nel 1816 gli ordini religiosi si ripresero quasi ogni insegnamento, furono reintrodotte nei programmi questioni attinenti a fede e culto, i parroci erano chiamati alla vigilanza, per praticare qualsiasi professione è necessario un attestato in cui si dichiari, oltre che di saper leggere e scrivere, di conoscere il catechismo. Inoltre, per mantenere quel minimo di scolarizzazione che si era venuta faticosissimamente costruendo negli anni precedenti e per non creare momenti di attrito con la popolazione (che per la verità era almeno indifferente alla cosa), ma anche per abbattere i costi della scuola, si introdusse per la prima volta in Italia il metodo del mutuo insegnamento (1817) secondo il quale gli 

Fig. 1 - L'oratorio di S. Caterina a Milano, dove si utilizzava il metodo del mutuo insegnamento (Torino, Museo del Risorgimento).

alunni più grandi (specie di vicemaestri) e preparati venivano coinvolti dal maestro nell'educazione dei più piccoli ed inesperti; ciascuno dei vicemaestri, sotto la guida dell'insegnante, si prendeva cura, con un ingegnoso sistema di divisioni, di un piccolo gruppo di scolari (molti maestri confessavano infatti che se erano soli ad insegnare, come capitava nei piccoli paesi, non potevano prendersi cura di una classe senza abbandonare la sorveglianza delle altre); non si usavano più pene e castighi e le lezioni si basavano sul metodo della collaborazione (tutti insegnano a tutti) in un processo moltiplicativo che, lo ricordo, sarà anche di Don Milani nella Scuola di Barbiana. Il sistema fu importato in Inghilterra dall'America, dove era stato pensato da A. Bell e G. Lancaster, verso la fine del Settecento. Dall' Inghilterra passò alla Francia dove Lazare Carnot, ministro rivoluzionario dell'Istruzione, lo adottò ufficialmente, anche se non riuscì a realizzare i suoi piani per la ristrettezza dei tempi. Esso prevedeva che i maestri si impegnassero a studiare, a tenersi aggiornati, a confrontare il loro metodo con quello usato in altre città e, addirittura, in altre nazioni. Oltre alla valenza rivoluzionaria originaria, scuole così organizzate avevano anche la valenza delle "scuole dei poveri": un solo maestro poteva bastare anche per 50 o 100 alunni perché questi si insegnavano tra loro. Le scuole di mutuo insegnamento, da subito scomunicate dalla Chiesa cattolica, furono consigliata al Re Ferdinando I delle Due Sicilie dall'abate Scoppa, di ritorno da Parigi, ed il Re ordinò di fondarla nel Regio Albergo dei Poveri.  

Siamo ancora al breve periodo di transizione ai moti del 1820 e, ancora nel 1818, la scuola, pur in mano alla Chiesa, era formalmente gestita da una Commissione laica. Tale Commissione emanò un nuovo ordinamento per la scuola pubblica siciliana che quasi si ispirava a ciò che era stato fatto negli anni immediatamente precedenti la Restaurazione [2]

Tutti i comuni furono, infatti, tenuti ad istituire una scuola primaria, «assistita da uno, o più maestri secondo i bisogni della popolazione» per istruire i fanciulli «ne' primi elementi di leggere, e scrivere correttamente, nell'aritmetica elementare, e nelle istruzioni morali del Catechismo di Religione, e de' doveri sociali adottati dal Governo»; tutti i maestri furono obbligati a utilizzare il metodo normale [metodo normale o simultaneo che consisteva nell'insegnare contemporaneamente a tutti gli scolari le medesime nozioni, evitando spreco di tempo e migliorando la partecipazione degli scolari stessi, n.d.r.]. Per rendere possibile da parte degli insegnanti l'apprendimento di questa metodologia, la Commissione istituì in tutti i capoluoghi di provincia una Scuola centrale di metodo.

Ciò rappresentava una novità, nel continente non era prevista una tale scuola che era un embrione di unificazione di metodi prima che di contenuti. Nel continente [2],

con l'editto del 21 dicembre 1819 si affidò la nomina dei maestri ai Comuni. Tuttavia si istituirono scuole femminili (scuole caroline) e altre scuole secondarie in diverse città del Regno per cui, nel 1818, l'impegno dello Stato per la pubblica istruzione raggiunse la somma rispettabile di 417.000 ducati. (...) All'inizio degli anni '20 funzionavano nel regno ben 2642 scuole maschili con 54.226 alunni e 839 femminili con 21.386 allieve [...] Come poi funzionassero quelle scuole e chi fossero i loro maestri, lo troviamo coraggiosamente denunciato a Ferdinando II dal consultore di Stato Capomazza, preposto alla pubblica istruzione. Le lezioni si svolgevano spesso nella casa del maestro, in mezzo all'andirivieni dei familiari, dei servi, dei lavoratori di campagna [...] Mancavano gli oggetti scolastici: libri, lapis, fogli di carta; peggio: in non poche scuole mancavano gli scanni dove sedere e le tabelle necessarie al metodo normale. Gli stipendi erano di fame e spesso stornati dal Comune ad altro uso.

I moti del 1820, pur nei tempi brevissimi in cui operò il governo rivoluzionario, fecero ipotizzare (Gatti) una scuola apertissima e moderna. [5]

[Gatti era] persuaso che occorresse iniziare l'affrancamento del popolo con l'affrancamento della intelligenza e con una battaglia contro la superstizione. Il Gatti pensa che al lavoratore moderno sia necessario rendersi conto delle condizioni storiche e fisiche dell'ambiente in cui vive; e quindi fra le materie di insegnamento inserisce la geografia fisica, la cosmografia, la storia naturale; e, come fondamento alla preparazione di ogni tecnica manuale, il disegno. Fa obbligo al maestro di ammodernare il suo metodo; raccomanda di far precedere l'insegnamento del vocabolo dall'osservazione diretta degli oggetti o delle immagini, di integrare le lezioni in classe con visite a musei, opifici, orti botanici, aziende campestri. Era fatto obbligo agli alunni di imparare gli articoli della Costituzione « affinché apprendessero di buon'ora i loro diritti e i loro doveri, ed, informati dello  spirito nazionale, sapessero corrispondervi coi lumi e con le virtù necessarie». [5]

Dopo i moti del 1820 si scatena la più sorda avversione verso la scuola ed ogni forma di cultura. Lo stesso re non vuole più sentirne parlare e trasferisce tutto sotto il controllo della Chiesa.

 La pubblica istruzione del Regno viene «omogeneizzata» e messa sotto il controllo ecclesiastico. Nel 1821 è istituito l'indice dei libri proibiti e con i decreti del 13 novembre e del 15 dicembre 1821 si irrigidisce sempre più il clima di chiuso confessionalismo e di gretta sorveglianza poliziesca di insegnanti e allievi, mentre sono soppresse tutte le scuole di mutuo insegnamento perché ritenute contrarie ai principi dell'autorità. [2]

Non vi furono cambiamenti significativi con la successione al trono di Ferdinando II. Una indagine del 1936 in Sicilia parla di completa desolazione e di analfabetismo regnante. Ed arriviamo al 1843 quando Fernando II firma un decreto in cui lo Stato rinuncia completamente all'Istruzione per affidarla alla curia.

Nel 1848 altri moti rivoluzionari che per una breve stagione dettero il potere alla borghesia liberale. Fu subito costituito il Ministero della Pubblica Istruzione che tentò la riorganizzazione della scuola pubblica con particolare riferimento alla scuola primaria (1849) con un progetto di seguito riassunto [2]:

 a) l'istruzione, almeno quella primaria è un diritto di ogni cittadino; 

b) l'insegnamento non può essere una funzione dello stato, ad esso compete invece vigilare tramite gli ispettori per garantirne il buon funzionamento e per garantire la sicurezza sociale; 

c) poiché è un diritto dei genitori educare i propri figli, ai genitori deve essere assicurato il diritto di «entrare nelle scuole, ove viene educato il figlio, di prendere informazioni sul loro andamento, e richiamarsi ancora presso le autorità superiori»; 

d) dell'istruzione primaria devono farsi carico i comuni essendo questi le naturali aggregazioni delle famiglie; 

e) l'istruzione primaria è «un gravissimo interesse sociale» per cui è dovere dello stato «rimuovere ogni impedimento, che nascer possa alla sua diffusione e progresso»; perciò essa è impartita a tutti gratuitamente nelle scuole pubbliche; [...] 

f) essendo l'istruzione un bene non ancora compreso dalle masse popolari lo stato la impone a tutti come un obbligo, lasciando però libertà di adire le scuole pubbliche o le private.

Questo delineare una scuola moderna ebbe vita breve, una nuova Restaurazione ancora più feroce fece precipitare tutto in brevissimo tempo. Ancora la Chiesa a gestire il tutto, una Chiesa onnivora ed onnipresente che sarà la migliore alleata dei Borbone, una Chiesa che, all'inizio dell'Ottocento, su un totale di circa 4 milioni di abitanti del regno, aveva ben 120 mila addetti al culto.

Il sistema scolastico che il dominio borbonico si accingeva a consegnare al Regno d'Italia presenta un quadro disastroso: le sue caratteristiche sono l'inefficienza, la scarsissima presenza, il monopolio clericale. Insomma il Regno delle Due Sicilie chiude i suoi giorni facendo registrare un completo fallimento nell'organizzare un sistema scolastico ordinato, controllato dallo Stato e, soprattutto, efficiente. Un fallimento con cui il Regno d'Italia si troverà a fare i conti [2]

dato che il Regno di Napoli, che pure era stato tra i più avanzati e tra i primi a muoversi sulla strada dell'educazione popolare e pubblica, porterà in eredità allo Stato unitario la più alta percentuale di analfabeti. Paradossalmente fu la scuola privata laica che sopperì ai disastri di troni ed altari. Da queste scuole vennero ed in queste scuole insegnarono personaggi fondamentali nella cultura non del Meridione ma dell'Italia, come Puoti, Silvio e Bertrando Spaventa, Francesco De Sanctis, Pasquale Villari, ...

I principi precedentemente elencati saranno però alla base della scuola piemontese di Cavour.


Per agevolare la lettura, questo testo è stato diviso in venticinque parti.
All'introduzione
Alla parte successiva

Gli articoli apparsi originariamente su questo sito possono essere riprodotti liberamente,
sia in formato elettronico che su carta, a condizione che
non si cambi nulla, che si specifichi la fonte - il sito web Kelebek http://www.kelebekler.com -
e che si pubblichi anche questa precisazione
Per gli articoli ripresi da altre fonti, si consultino i rispettivi siti o autori




e-mail


Visitate anche il blog di Kelebek

Home | Il curatore del sito | Oriente, occidente, scontro di civiltà | Le "sette" e i think tank della destra in Italia | La cacciata dei Rom o "zingari" dal Kosovo | Il Prodotto Oriana Fallaci | Antologia sui neoconservatori | Testi di Costanzo Preve | Motore di ricerca