Dalla tasca tiro fuori un foglietto,
un numero di telefono datomi da una femminista italiana.
Chiamiamo. Una voce diffidente risponde.
Rezijana si intimorisce, si perde un po', io le consiglio cosa dire, e
la donna dall'altra parte si insospettisce ancora di più: chi è
quell'uomo che ti obbliga a parlare con me? Comunque, ci danno appuntamento
alle tre.
Ci perdiamo nel traffico e arriviamo con
oltre mezz'ora di ritardo. Entriamo dentro un piccolo ufficio, e ci viene
incontro la prima persona veramente disposta ad aiutarci: è
una croata che chiameremo Mila.
In pochi minuti, Mila capisce la situazione.
Fa un giro di telefonate. La polizia, lo stesso commissariato che ci aveva
respinti prima, si dichiara disposta ad accompagnarci per chiedere a Remzija
se vuole venire con noi. Abbiamo però due quasi certezze: che Kadri,
anche se stanotte dovrebbe andare a "lavorare", resterà a casa,
visto che non si fida certamente di noi. E che avrà nascosto Remzija
chissà dove. Cosa faremo quando lui, con un sorriso, dirà
a una polizia già svogliata che sua moglie è libera di andare
dove vuole ed è uscita, probabilmente per andare a far visita a
qualche amica?
Partiamo per andare al commissariato. Scopriamo
che nemmeno Mila sa guidare. Inoltre non sa leggere la mappa della città
e non conosce le strade; Rezijana ha la gamba lesa e ha guidato tutto il
giorno. Io allora uso la mappa, Rezijana guida, Mila con il suo accento
croato chiede indicazioni.
La polizia sembra aver cambiato parere. Ci
vuole tutta la capacità di lusingare e di minacciare della Mila
per convincerla di nuovo. Incuriosito da Rezijana, un giovane poliziotto
in borghese, l'unico con una faccia umana, le offre una sigaretta e chiede
di venire in macchina con noi.
Finalmente si parte. Sono le nove di sera.
Siamo all'inizio della fine del mondo ed entriamo nella Misheveçka.
Solo io mi ricordo la strada, se tale si può chiamare. La nostra
macchina precede, seguita dal furgone della polizia.
Passiamo attraverso un dedalo di buche. La
strada sembra interminabile e crediamo di esserci persi, di aver superato
il punto in cui dovevamo girare. No, ci siamo... sulla salita, Rezijana
si lancia... vedo nella fitta nebbia le sagome di due treni, per fortuna
fermi... ancora una volta abbiamo vinto alla roulette russa.
Scendiamo e arriviamo allo spiazzo davanti
alla tana dell'orco. Mentre stiamo per entrare, si para davanti ai fari
una volpe. Le due case sono illuminate, vuol dire che il generatore è
in funzione.
In un attimo, scendiamo giù dalla
macchina, mentre dalla casa del fratello di Kadri accorre una folla di
gente. Rezijana bussa alla porta di Kadri, gridando "sono io."
La polizia si schiera tra noi e la banda
che si avvicina, mentre aspettiamo e non sentiamo alcun rumore dalla casa
di Kadri.
Poi, improvvisamente, la porta si apre. Non
è Kadri, il quale, cosa incredibile, è andato a spasso con
gli amici. È Remzija, che aveva sentito il trambusto ma pensava
che fosse il marito ubriaco che tornava per picchiarla. Lei si mette la
mano sulla bocca con un gesto di sconvolta meraviglia. Di fronte alla polizia,
la sorella le chiede se vuole venire via per sempre con noi. Sì,
e senza esitare Remzija prende le scarpe, io la spingo verso la macchina
e salto dentro per tenerla bloccata in mezzo, tra me e Mila. Il poliziotto
non è più con noi, e il posto accanto al guidatore rimane
vuoto.
Il fratello di Kadri corre dentro casa e
afferra il piccolo neonato in un ultimo tentativo di ricattarla. Reska
è al volante, dobbiamo passare proprio in mezzo alla banda, una
volta per fare manovra, un'altra per uscire. E mi vedo davanti la strega
dagli occhi azzurri con il suo bastone, un cane lupo e il fagotto del bambino;
ma per timore della polizia si fanno in disparte.
Ora è una corsa contro il tempo: la
polizia terrà ferma la banda per qualche minuto, ma avranno certamente
telefonato al cellulare di Kadri; il quale ci verrà incontro per
l'unica strada che porta alla palude.
Reska si piega sul volante, grida e saltiamo
di buca in buca, con schizzi alti di acqua e di fango e ogni metro come
una bastonata sulla carrozzeria... riusciamo a fare tutta la Misheveçka,
poi entriamo in città. A Remzija, che per tanti anni ha fumato solo
di nascosto, accendiamo una sigaretta liberatoria. Strappo il cartello
troppo visibile che indica che si tratta della vettura di un invalido.
Andiamo veloci fino a che arriviamo in una strada piena di prostitute,
dove ci potrebbe essere anche la donna di Kadri. Mila ordina a Remzija
di buttarsi giù per non farsi riconoscere. Poi ci fermiamo davanti
a un portone, in un attimo Mila sparisce dentro con Remzija.
Non è facile immaginarsi cosa stesse
vivendo Remzija. Si era confidata con una parente del suo carnefice e non
poteva essere certa delle conseguenze. Diverse settimane dopo, senza alcun
preavviso, era arrivata sua sorella con un uomo misterioso che non era
Rom e non era nemmeno il suo fidanzato. Poi erano andati via tutti e due,
anche se dopo aver promesso di cercare aiuto, cosa difficile visto che
Remzija era senza documenti. Sentendo bussare, aveva aperto la porta a
quello che credevo fosse il suo torturatore. Un istante dopo, aveva dovuto
fare una scelta che comportava o la salvezza, o la morte, e comunque l'abbandono
dei bambini nelle mani del marito.
Il giorno dopo, Reska e io ritorniamo in
Italia e ci fermiamo la sera a casa di Maurizio Antonello, un coraggioso
critico delle sette che risponde agli insulti, le cause legali e le minacce
di organizzazioni totalitarie e di fanatici religiosi brindando con un
bicchierino di grappa veneta. Lui deve uscire per visitare altri amici
miei e suoi, ma Reska è troppo stanca per venire. Propongo che lei
rimanga mentre io esco, ma dal suo sguardo capisco che non è il
caso. Mi spiega che ha paura, tanta paura che a volte si sveglia la notte
gridando. Al campo, mi racconta di un loro amico che è uscito a
passeggio con la moglie. Proprio all'incrocio che a sinistra porta a un
grande discount, a destra a un cementificio, in quel nulla che è
la periferia assoluta di Brescia, si sono alzate improvvisamente davanti
ai suoi piedi alte fiamme e lui si è ammalato.
"Non ho paura delle persone, solo di queste
cose."
Il giorno dopo siamo in macchina. Lei dice,
"Mi piace aiutare la gente... lo so fare... ma dovrebbero pagarmi almeno
le spese. E darmi un autista e una guardia del corpo."
Io le accendo la sigaretta con un accendino
che avevo comprato a Zagabria. Rosso, con l'aquila albanese. E le parole
UÇK SHTYLLË KOSOVE. Le chiedo:
"Cosa vuol dire?"
"Non lo so, giuro... non è perché
tu sei un poliziotto in borghese che non te lo dico..."
"Io non ti credo... tu sei zingara e dici
le bugie!"
La famiglia riunita - davanti, Bajram; dietro, da sinistra
a destra,
Remzija, Altna, Xhevrija, Emir, Lulzim e Reska.