5. La teoria
di Lenin dell’imperialismo
Marx scrisse la maggior parte delle sue opere nel
ventennio 1850-1870. Si tratta proprio del ventennio del libero scambio, quello
che Hobsbawn chiama “l’età della borghesia”. A quel tempo regnava il
colonialismo imperialistico inglese, che Marx combatteva (scritti sull’Irlanda
e sull’India, eccetera), ma non c’era ancora il vero e proprio imperialismo. Il
vero e proprio imperialismo nel senso di Lenin è un prodotto storico posteriore
al 1873, e cioè alla cosiddetta Grande Depressione.
Marx non ha dunque nessuna
colpa per non averne parlato, mentre Kautsky ha le sue colpe per aver
ingenuamente immaginato una sorta di consorzio capitalistico imperiale
unificato, il famoso Super-imperialismo, in cui i capitalisti si mettono
pacificamente d’accordo per spartirsi consensualmente il mondo. Kautsky
dimenticava così che per il suo maestro Marx non ci poteva essere un tale
capitalismo unificato “concordatario”, in quanto il capitalismo esiste solo
nella forma obbligata della concorrenza strategica fra numerosi capitali
antagonistici. Errare è umano. Ma perseverare è diabolico, e tutto l’orrendo
“operaismo” si è ideologicamente costruito su questo errore kautskyano, fino
all’ultima concezione di impero di Toni Negri. L’operaismo è, teoricamente
parlando, una sorta di “anarchismo kautskyano”. Il capitale si unifica in un
gigantesco super-imperialismo imperiale, e contro di esso si muovono, senza
alcun bisogno di partito leninista “autoritario”, le masse luxemburghiane
ridefinite in termini di moltitudini spinte da flussi desideranti di tipo
teurgico (sic!).
Anche l’idiozia può attingere vette sublimi.
Da quasi novanta
anni si discute sulle famose cinque caratteristiche che secondo Lenin
caratterizzano l’imperialismo, e che qui non ripeto per ragioni di spazio. Su
questo punto rimando ai recenti scritti sull’imperialismo di Gianfranco La Grassa,
che fanno un bilancio storico critico di queste cinque caratteristiche, e di
fatto ne ritengono attuale solo una, mentre le altre quattro in qualche modo
sono state “smentite” o “assorbite” nell’ultimo secolo. Qui però intendo
svolgere il mio ragionamento in una diversa prospettiva.
Prima di tutto, una constatazione storica elementare. La
differenza fra la socialdemocrazia ed il comunismo dopo il 1917 non è stata
quella della vittoria o della sconfitta dei loro progetti (per ora, in questo
2004, entrambi i progetti sono stati sconfitti totalmente, con la sola
parziale eccezione della benemerita socialdemocrazia radicale e coerente di
Chavez in Venezuela). La differenza fra socialdemocratici e comunisti si è
situata nel diverso atteggiamento verso il colonialismo imperialistico e verso
la legittimità o meno degli interventi militari imperialistici, fino naturalmente
alla Jugoslavia 1999 e l’Irak 2003. I socialdemocratici sono stati generalmente
favorevoli (con benemerite eccezioni) ed i comunisti generalmente contrari (con
spregevoli eccezioni). Tutto questo si deve anche a Lenin, e possiamo anche
dire, soprattutto a Lenin.
In questo modo Lenin superava di fatto in modo positivo
l’eurocentrismo che inevitabilmente l’originario programma di Marx portava in se
(esemplarità del modello capitalistico inglese, eccetera). Lenin non è stato il
“secondo” a mondializzare il marxismo, ma è stato in un certo senso il “primo”.
Credo che questo impegnativo e prestigioso riconoscimento gli debba essere
dato, anche se ovviamente ogni innovatore radicale si porta sempre con se anche
residui della vecchia concezione (meccanicismo, teoria dei cinque stadi,
sostanziale disconoscimento del modo di produzione asiatico, eccetera). Ma si
tratta di dettagli. Il punto essenziale sta nel superamento di fatto
dell’eurocentrismo, espresso bene dal titolo della sua opera “L’Europa
arretrata e l’Asia avanzata”.
La teoria leniniana dell’imperialismo, che personalmente
approvo integralmente (con fisiologiche obiezioni di dettaglio frutto del
bilancio dell’ultimo secolo di storia, i cui ultimi ottanta anni non sono stati
vissuti da Lenin), fa di Lenin il più grande marxista del novecento. Per questo
egli è tanto odiato, nell’epoca dell’impazzimento interventistico dell’impero
militare americano e dell’impunità vergognosa di cui gode il sionismo.