A ottanta anni dalla morte di Lenin (1924-2004)

V parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve su Lenin è stato diviso in otto parti.

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5. La teoria di Lenin dell’imperialismo

Marx scrisse la maggior parte delle sue opere nel ventennio 1850-1870. Si tratta proprio del ventennio del libero scambio, quello che Hobsbawn chiama “l’età della borghesia”. A quel tempo regnava il colonialismo imperialistico inglese, che Marx combatteva (scritti sull’Irlanda e sull’India, eccetera), ma non c’era ancora il vero e proprio imperialismo. Il vero e proprio imperialismo nel senso di Lenin è un prodotto storico posteriore al 1873, e cioè alla cosiddetta Grande Depressione.

Marx non ha dunque nessuna colpa per non averne parlato, mentre Kautsky ha le sue colpe per aver ingenuamente immaginato una sorta di consorzio capitalistico imperiale unificato, il famoso Super-imperialismo, in cui i capitalisti si mettono pacificamente d’accordo per spartirsi consensualmente il mondo. Kautsky dimenticava così che per il suo maestro Marx non ci poteva essere un tale capitalismo unificato “concordatario”, in quanto il capitalismo esiste solo nella forma obbligata della concorrenza strategica fra numerosi capitali antagonistici. Errare è umano. Ma perseverare è diabolico, e tutto l’orrendo “operaismo” si è ideologicamente costruito su questo errore kautskyano, fino all’ultima concezione di impero di Toni Negri. L’operaismo è, teoricamente parlando, una sorta di “anarchismo kautskyano”. Il capitale si unifica in un gigantesco super-imperialismo imperiale, e contro di esso si muovono, senza alcun bisogno di partito leninista “autoritario”, le masse luxemburghiane ridefinite in termini di moltitudini spinte da flussi desideranti di tipo teurgico (sic!).

Anche l’idiozia può attingere vette sublimi.

Da quasi novanta anni si discute sulle famose cinque caratteristiche che secondo Lenin caratterizzano l’imperialismo, e che qui non ripeto per ragioni di spazio. Su questo punto rimando ai recenti scritti sull’imperialismo di Gianfranco La Grassa, che fanno un bilancio storico critico di queste cinque caratteristiche, e di fatto ne ritengono attuale solo una, mentre le altre quattro in qualche modo sono state “smentite” o “assorbite” nell’ultimo secolo. Qui però intendo svolgere il mio ragionamento in una diversa prospettiva.

Prima di tutto, una constatazione storica elementare. La differenza fra la socialdemocrazia ed il comunismo dopo il 1917 non è stata quella della vittoria o della sconfitta dei loro progetti (per ora, in questo 2004, entrambi i progetti sono stati sconfitti totalmente, con la sola parziale eccezione della benemerita socialdemocrazia radicale e coerente di Chavez in Venezuela). La differenza fra socialdemocratici e comunisti si è situata nel diverso atteggiamento verso il colonialismo imperialistico e verso la legittimità o meno degli interventi militari imperialistici, fino naturalmente alla Jugoslavia 1999 e l’Irak 2003. I socialdemocratici sono stati generalmente favorevoli (con benemerite eccezioni) ed i comunisti generalmente contrari (con spregevoli eccezioni). Tutto questo si deve anche a Lenin, e possiamo anche dire, soprattutto a Lenin.

In questo modo Lenin superava di fatto in modo positivo l’eurocentrismo che inevitabilmente l’originario programma di Marx portava in se (esemplarità del modello capitalistico inglese, eccetera). Lenin non è stato il “secondo” a mondializzare il marxismo, ma è stato in un certo senso il “primo”. Credo che questo impegnativo e prestigioso riconoscimento gli debba essere dato, anche se ovviamente ogni innovatore radicale si porta sempre con se anche residui della vecchia concezione (meccanicismo, teoria dei cinque stadi, sostanziale disconoscimento del modo di produzione asiatico, eccetera). Ma si tratta di dettagli. Il punto essenziale sta nel superamento di fatto dell’eurocentrismo, espresso bene dal titolo della sua opera “L’Europa arretrata e l’Asia avanzata”.

La teoria leniniana dell’imperialismo, che personalmente approvo integralmente (con fisiologiche obiezioni di dettaglio frutto del bilancio dell’ultimo secolo di storia, i cui ultimi ottanta anni non sono stati vissuti da Lenin), fa di Lenin il più grande marxista del novecento. Per questo egli è tanto odiato, nell’epoca dell’impazzimento interventistico dell’impero militare americano e dell’impunità vergognosa di cui gode il sionismo.



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