8. Brevi
considerazioni conclusive su Lenin
A Lenin bisogna perdonare molto, perché senza il suo
decisivo intervento la rivoluzione del 1917 ce la saremmo sognata. Chi pensa
che il 1917 sia stato una sorta di miracoloso prodotto delle “masse in
movimento” ha completamente perduto il senno. Le masse in movimento hanno come
caratteristica quella di produrre una situazione caotica destinata ad implodere
ed a crollare su se stessa senza l’intervento di una volontà politica
strutturata in azione politica coerente. E qui da un lato abbiamo i
confusionari, e dall’altro Lenin, espressione della vittoria eterna della forma
sul caos.
La teoria e la pratica di Lenin contenevano allora “in
potenza” Stalin e lo stalinismo? Ecco un problema non solo insolubile, ma
addirittura insensato, in quanto la storia non è un gomitolo che si srotola
partendo da un rocchetto, ma un insieme di atti specifici sempre nuovi, e
sempre indeducibili dal cosiddetto anello iniziale della catena. Dopo la morte
di Lenin (1924), e fino all’implosione dissolutiva dell’Urss (1991), si ebbero
migliaia di atti politici “originali” che non potevano assolutamente dedursi
meccanicamente da un “ismo originario” (magari diabolico, vedi Furet, Revelli,
ed altri confusionari alla moda), chiamato “leninismo”.
Essendo il presunto “leninismo” non un corpo dottrinario
formalizzato, ma un insieme di scelte ispirate alla saggezza pratica del caso
per caso (boulesis), dopo il 1924 avremmo potuto avere sia una pianificazione
imperativa sia una pianificazione orientativa, sia un’economia statalizzata sia
un’economia mista (NEP prolungata), eccetera. Nessuna delle scelte fatte poi da
Stalin, Trotzky, Bucharin, Krusciov, Breznev, Gorbaciov, eccetera, possono
essere dedotte da un corpus chiamato “leninismo”. Ognuno è responsabile
integralmente solo per le scelte che fa, o che contribuisce a fare avallandole.
Si può sempre decidere di bruciare gli eretici sul rogo, ma Gesù di Nazareth
non c’entra. Ed è particolarmente vergognoso che gente che ha alle spalle un
passato di roghi di eretici, dica poi che nel “leninismo” era già compreso in
potenza lo stalinismo. Vergogna, e nello stesso tempo, ridicolo.
A proposito dell’attività storica e politica di Stalin
(1924-1953) si può avere un’ampia gamma di posizioni, che vanno
dall’incondizionatamente negativo all’incondizionatamente positivo. La mia
personale posizione che ho maturato in proposito è fortemente negativa, anche
se non è motivata dallo stesso apparato argomentativo dei sostenitori della
teoria del “totalitarimo”, che in genere retrodatano a Lenin il loro orrore
metafisico per Stalin. Certo, conosco abbastanza bene tutte le motivazioni (in
massima parte di tipo storicistico, emergenzialistico e congiunturalistico) dei
difensori di Stalin, e sarebbe strano se non le conoscessi, dal momento che
sono ormai decenni che mi capita di essere invischiato in discussioni su
Stalin, in cui per forza di cose il repertorio è ormai fisso, ed i dialoganti
potrebbero limitarsi ad alzare cartelli numerati che segnalano argomentazioni
collaudate (ad esempio 18, accerchiamento imperialistico, e 23, degenerazione
burocratica, eccetera). La sola opinione stabile e sicura che ho maturato in
proposito è che la cosa migliore è parlare pro e contro Stalin iuxta propria
principia, cioè limitandosi all’arco storico dell’attività di Stalin
(1924-1953), e lasciar invece completamente perdere non solo Marx, ma anche
Lenin.
Questo vale ovviamente per grandi come Stalin, ed anche
per piccoli come Togliatti. Esiste, naturalmente, un bilancio storico, ed
esiste anche un bilancio teorico. Gli storicisti incalliti hanno difficoltà
enormi a contare fino a due, e generalmente pensano che un bilancio storico sia
anche automaticamente di per se un bilancio teorico. Non è così. Ad esempio, la
questione teorica della natura sociale dell’Unione Sovietica e della
Cina (a meno che la si consideri risolta dalle dichiarazioni ufficiali emesse
dai loro governi, metodo che Marx non avrebbe certamente approvato) non è la
stessa cosa della questione storica dell’adeguata comprensione dei
grandi eventi via via succedutisi.
Lenin era capace sia di fare bilanci teorici sia di fare
bilanci storici. Un’arte, oggi, largamente perduta. Un’arte che può però forse
essere in parte recuperata, se eviteremo facili bilanci tetici o anti-tetici
(leninismo “in positivo” o critica del leninismo), e ci abitueremo per un
intero periodo storico a bilanci “aporetici”, come quello che ho cercato di
proporvi qui.