A ottanta anni dalla morte di Lenin (1924-2004)

VIII e ultima parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve su Lenin è stato diviso in otto parti.

All'introduzione




8. Brevi considerazioni conclusive su Lenin

A Lenin bisogna perdonare molto, perché senza il suo decisivo intervento la rivoluzione del 1917 ce la saremmo sognata. Chi pensa che il 1917 sia stato una sorta di miracoloso prodotto delle “masse in movimento” ha completamente perduto il senno. Le masse in movimento hanno come caratteristica quella di produrre una situazione caotica destinata ad implodere ed a crollare su se stessa senza l’intervento di una volontà politica strutturata in azione politica coerente. E qui da un lato abbiamo i confusionari, e dall’altro Lenin, espressione della vittoria eterna della forma sul caos.

La teoria e la pratica di Lenin contenevano allora “in potenza” Stalin e lo stalinismo? Ecco un problema non solo insolubile, ma addirittura insensato, in quanto la storia non è un gomitolo che si srotola partendo da un rocchetto, ma un insieme di atti specifici sempre nuovi, e sempre indeducibili dal cosiddetto anello iniziale della catena. Dopo la morte di Lenin (1924), e fino all’implosione dissolutiva dell’Urss (1991), si ebbero migliaia di atti politici “originali” che non potevano assolutamente dedursi meccanicamente da un “ismo originario” (magari diabolico, vedi Furet, Revelli, ed altri confusionari alla moda), chiamato “leninismo”.

Essendo il presunto “leninismo” non un corpo dottrinario formalizzato, ma un insieme di scelte ispirate alla saggezza pratica del caso per caso (boulesis), dopo il 1924 avremmo potuto avere sia una pianificazione imperativa sia una pianificazione orientativa, sia un’economia statalizzata sia un’economia mista (NEP prolungata), eccetera. Nessuna delle scelte fatte poi da Stalin, Trotzky, Bucharin, Krusciov, Breznev, Gorbaciov, eccetera, possono essere dedotte da un corpus chiamato “leninismo”. Ognuno è responsabile integralmente solo per le scelte che fa, o che contribuisce a fare avallandole. Si può sempre decidere di bruciare gli eretici sul rogo, ma Gesù di Nazareth non c’entra. Ed è particolarmente vergognoso che gente che ha alle spalle un passato di roghi di eretici, dica poi che nel “leninismo” era già compreso in potenza lo stalinismo. Vergogna, e nello stesso tempo, ridicolo.

A proposito dell’attività storica e politica di Stalin (1924-1953) si può avere un’ampia gamma di posizioni, che vanno dall’incondizionatamente negativo all’incondizionatamente positivo. La mia personale posizione che ho maturato in proposito è fortemente negativa, anche se non è motivata dallo stesso apparato argomentativo dei sostenitori della teoria del “totalitarimo”, che in genere retrodatano a Lenin il loro orrore metafisico per Stalin. Certo, conosco abbastanza bene tutte le motivazioni (in massima parte di tipo storicistico, emergenzialistico e congiunturalistico) dei difensori di Stalin, e sarebbe strano se non le conoscessi, dal momento che sono ormai decenni che mi capita di essere invischiato in discussioni su Stalin, in cui per forza di cose il repertorio è ormai fisso, ed i dialoganti potrebbero limitarsi ad alzare cartelli numerati che segnalano argomentazioni collaudate (ad esempio 18, accerchiamento imperialistico, e 23, degenerazione burocratica, eccetera). La sola opinione stabile e sicura che ho maturato in proposito è che la cosa migliore è parlare pro e contro Stalin iuxta propria principia, cioè limitandosi all’arco storico dell’attività di Stalin (1924-1953), e lasciar invece completamente perdere non solo Marx, ma anche Lenin.

Questo vale ovviamente per grandi come Stalin, ed anche per piccoli come Togliatti. Esiste, naturalmente, un bilancio storico, ed esiste anche un bilancio teorico. Gli storicisti incalliti hanno difficoltà enormi a contare fino a due, e generalmente pensano che un bilancio storico sia anche automaticamente di per se un bilancio teorico. Non è così. Ad esempio, la questione teorica della natura sociale dell’Unione Sovietica e della Cina (a meno che la si consideri risolta dalle dichiarazioni ufficiali emesse dai loro governi, metodo che Marx non avrebbe certamente approvato) non è la stessa cosa della questione storica dell’adeguata comprensione dei grandi eventi via via succedutisi.

Lenin era capace sia di fare bilanci teorici sia di fare bilanci storici. Un’arte, oggi, largamente perduta. Un’arte che può però forse essere in parte recuperata, se eviteremo facili bilanci tetici o anti-tetici (leninismo “in positivo” o critica del leninismo), e ci abitueremo per un intero periodo storico a bilanci “aporetici”, come quello che ho cercato di proporvi qui.



Alla prima parte





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