Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Indipendenza è stato diviso in tredici parti.
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7. L'enigma della storia italiana moderna.
La storia italiana moderna presenta un enigma, anzi un paradosso, che cercheremo
di formulare nel modo più semplice possibile. Da un lato, gli aspetti
fondamentali del suo svolgimento sono conosciuti da milioni di persone, sono
contenuti in tutti i manuali di storia delle scuole medie, e sono pertanto noti
a qualsiasi liceale intelligente. Dall'altro, le conseguenze teoriche e culturali
di questi aspetti storici fondamentali sfuggono persino ad intellettuali sofisticati
ed a storici di professione, ed allora bisogna chiedersi il perché di
questo enigma e di questo paradosso, ed è appunto ciò che faremo
in questo paragrafo.
Vediamo il primo punto. È noto che la storia italiana tardomedioevale
e della prima età moderna è caratterizzata dalla mancanza della
formazione di uno stato nazionale unificato, che a quei tempi (si vedano le
esperienze di Inghilterra, Francia, Spagna, ecc.) non avrebbe potuto essere
portato a termine da nessuna protoborghesia commerciale e manifatturiera, ma
esclusivamente da una nobiltà feudale unificata da una dinastia anch'essa
sostanzialmente feudale. È altresì noto che questo processo di
unificazione non avvenne, nonostante alcuni tentativi presto abortiti (Federico
II di Svevia, ecc.), per la presenza convergente di una forza universalistica
(la Chiesa di Roma) e di robuste forze particolaristiche (i comuni, e poi le
signorie, i principati e gli stati regionali). Questa convergenza di una forza
universalistica e di forze particolaristiche è appunto la caratteristica
principale della storia italiana, come tutti gli studenti italiani (svogliati
o volonterosi) sanno molto bene. L'unità politica della nazione italiana
prima del 1861 non c'è dunque mai stata. Al suo posto, vi sono state
robustissime identità politiche cittadine e regionali, che hanno profondamente
condizionato tutte le forme di vita materiale degli italiani (e delle altre
nazioni -dai friulani ai sardi- ad essi mescolate).
Bene, questo è noto a tutti. E la conseguenza qual è? La conseguenza
è che allora l'elemento unificatore della nazione italiana è stato
per secoli fondamentalmente la lingua e la cultura, due termini spesso uniti
in uno solo. La lingua e la cultura hanno connotato l'identità storica
degli italiani ben prima che ci fosse un'unità politica, e per di più
un'unità politica sciaguratamente non federalistica e democratica come
quella realizzatasi nel 1861.
Si dirà che anche questo è noto. Ebbene, è proprio questo
il problema, visto che questo carattere identitario della nazione italiana nella
lingua e nella cultura, anche ammesso che sia noto (come direbbe Hegel) non
per questo è conosciuto. Se fosse conosciuto le classi dominanti italiane
ed i loro intellettuali servili e presuntuosi si comporterebbero come in Francia,
in cui si ha generalmente coscienza dell'importanza della lingua e della cultura
nella formazione e nel mantenimento dell'identità nazionale. Ma così
non avviene. Nessuno sembra avvertire il problema della tutela della lingua
italiana straziata dai mezzibusti televisivi ignoranti e politicamente raccomandati
che non sanno neppure più usare i congiuntivi. Nessuno sembra avvertire
che vi è un problema di sviluppo della cultura italiana in un contesto
di americanizzazione culturale crescente (e l'americanizzazione è il
solo minimo comun denominatore culturale dell'Ulivo, del Polo e della Lega,
di *Veltroni, di Berlusconi e di Bossi). Anzi, il fatto che la concezione acriticamente
positiva dell'americanizzazione sia il solo perverso elemento comune degli sciagurati
intellettuali organici dell'Ulivo, del Polo e della Lega viene visto come un'ovvietà
della cosiddetta modernizzazione, non un vero e proprio enigma da svelare. Ci
si libera facilmente da questo problema riducendolo a folklore provincialistico,
laddove il provincialismo consiste proprio nella patetica e scimmiesca imitazione
dei modelli di comportamento della capitale, in questo caso della capitale imperiale
americana.
Per usare il linguaggio di *Gramsci (un autore con cui non siamo quasi mai d'accordo,
ma in questo caso sì) sono gli intellettuali oggi il punto debole, il
ventre molle, il frutto marcio della nazione italiana. È inutile dare
la colpa ai cafoni arricchiti con il loro telefonino sguaiato, o alle casalinghe
berlusconiane affascinate dal gratta e vinci o dai giochi a premio. Non è
lì il problema. Il problema sta oggi soprattutto nei gruppi intellettuali
americanizzati e privi di qualunque dignità culturale e sociale. È
questo oggi il nostro principale problema storico, non quello degli squatter,
degli industrialotti veneti secessionisti, eccetera eccetera. Nei prossimi paragrafi
cercheremo di capire come si è potuto arrivare a questo punto, e soprattutto
dove è possibile lavorare per propiziare un'improbabile, ma non impossibile,
inversione di tendenza storica. Non bisogna avere paura di andare contro corrente,
se si hanno chiari gli obiettivi culturali e sociali verso cui ci si dirige.
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