Sciamani di plastica
Indiani d'America e New Age
nona parte

 

di Flavia Busatta



Per agevolare la lettura, questo articolo di Flavia Busatta, tratto da Hako Magazine, è stato diviso in diverse parti.

Alla nota introduttiva

Alla bibliografia




Perché un creek debba lasciar perdere le proprie antichissime tradizioni, che risalgono alla preistoria della pipa, per assumerne di estranee e recenti lo può spiegare solo il marketing. Sempre dalla West Coast, dall'area controculturale dei militanti alternativi proviene la cosiddetta “profezia dei Guerrieri dell'Arcobaleno'' (Rainbow Warriors), che avrebbe pronunciato una vecchia cree, Occhi di Fuoco, un nome che è un programma e che trova un punto di incontro e diffusione con la “tribù'' di Sun Bear. Quando la terra starà morendo a causa dell'inquinamento, giungeranno i Custodi dei miti e degli antichi costumi tribali, i Rainbow Warriors; ci sarà un grande risveglio, i popoli formeranno un nuovo mondo di pace, giustizia e libertà. I Guerrieri insegneranno a rendere la Terra, Elohi, nuovamente bella e sana, ecc..

Nel 1977 Greenpeace, con l'aiuto del WWF, acquistò il suo primo vascello per contrastare la caccia alle balene, un vecchio peschereccio del Mare del Nord. Lo ridipinse e lo chiamò Rainbow Warrior, secondo la profezia. Dal 1978 al 1987 il Rainbow Warrior ha combattuto sul campo molte battaglie ecologiste, compresa quella di Mururoa contro i test nucleari francesi del 1985, quando un fotografo venne ucciso nell'affondamento provocato da un agente dei servizi segreti francesi a Oakland, Nuova Zelanda. Il 12 dicembre 1987, dopo aver ricevuto il risarcimento del governo francese, Greenpeace decise di seppellire il Rainbow Warrior con una cerimonia maori nelle acque di Matauri Bay.

Discutendo di nuove religioni che si ispirano alle tradizioni indiane, dobbiamo citare delle differenze importanti: per esempio, la comparsa sempre più numerosa di autoproclamati “portatori di pipa'': in teoria chiunque abbia una pipa personale potrebbe definirsi “portatore di pipa'', ma ciò non garantisce nessun ruolo speciale ufficiale, non diversamente da un “portatore di rosario'' tra i cattolici, nella vecchia religione. Il denaro per conferenze e i seminari tenuti dai vari santoni, inoltre, ha più l'aspetto del compenso professionale universitario o dell'animatore di campeggi che quello del pagamento tradizionale dello sciamano per la trasmissione di poteri a un allievo o l'esecuzione di una cerimonia. Il rapporto tra sciamano e allievo era privato e non di gruppo e il prezzo poteva essere così esorbitante che poteva essere pagato solo dall'intera famiglia. Il give away era una ridistribuzione di ricchezza ai poveri e una manifestazione di generosità per confermare status sociali e politici, i doni non erano certo per l'officiante, il cui compenso era a parte. Invece in Sun Bear e nei suoi emuli riecheggia questa nuova religione della Terra e della sua purificazione influenzata dai movimenti di controcultura giovanile.

Tutti gli autori più recenti della teologia o filosofia della Sacra Pipa in salsa lakota come Wallace Black Elk, Archie Fire Lame Deer, “Eagle Man'' Ed McGaa e Birgil Kills Straight, si presentano come popolo della Terra ecumenici e nazionalisti, universali e maschilisti, animasti, ma anche “scientifici''.

In Wallace Black Elk, forse il più new age di tutti, l'etnocentrismo è vistoso; parlando della capanna del sudore (sweat lodge), che chiama Capanna del Popolo della Pietra (stone-people-lodge), seguendo Sun Bear, afferma:

«Io posso parlare con questi spiriti.
Ognuno ha un suo linguaggio. Se li sentite parlare, non capirete cosa stanno dicendo perché essi usano un codice sacro e segreto. è un linguaggio scientifico. è il lakota. E per questo motivo che per me è particolarmente difficile tradurre in inglese» (Black Elk-Lyons 1991:611).

L'attuale ritualità della Sacra Pipa è frutto di un sincretismo religioso che unisce diversi filoni cristiani e temi tradizionali trasformati fino a essere irriconoscibili dai santoni indiani moderni, siano essi tradizionalisti o new age. Essi non hanno alcun interesse a ricostruire una ritualità antica che, essendo stata creata per un mondo sciamanico scomparso, non avrebbe più niente da dire ai giovani attuali, indiani più o meno urbanizzati ed euro-Americani che stanno aggiustandosi ai cambiamenti prodotti dalla globalizzazione. Tradizionalisti e santoni new age concorrono perciò a creare, per ragioni politico-economiche, una nuova religione adatta all'inizio del terzo millennio.

Questo filone neoreligioso suscita una notevole ostilità, non solo da parte degli estensori della Dichiarazione di Guerra e dei loro seguaci, ma anche da parte di accademici indiani. Beatrice Medicine, una lakota della riserva di Standing Rock con un dottorato in antropologia; afferma in un'intervista pubblicata sulla rivista indiana canadese Beedaudjimowin. A Voice for First Nations (inverno 1991):

«Ma io sono preoccupata dall'idea di quello che nei miei scritti ho chiamato “culture inventate'', in cui la gente si fa una propria idea di quello che una cultura è e poi dicono che è quello il modo in cui si deve fare. è quasi completamente neo-tradizionalismo. Supplico ogni persona nativa di comprendere veramente il background culturale da cui proviene. Un sacco di gente si è urbanizzata. Più del 50% delle persone vive fuori dalle riserve per vari motivi, economici e a causa delle varie politiche di urbanizzazione.

Dobbiamo chiederci: chi siamo? da dove veniamo? quali sono le nostre radici culturali?, poi rafforzarle e cercare di conservarle all'interno del gruppo [...]. Io sono anche preoccupata dal fatto che quando qualcuno cerca di ricreare la propria cultura, semplicemente si limita ad afferrare ogni cosa.

Voi sapete, per esempio, che io continuo a sentire la frase “portatore di pipa''. Questa storia non ha significato per me perché io possiedo la pipa. La pipa è il simbolo sacro dei lakota e noi sappiamo chi ne è il custode e dove è conservata. Tutti noi abbiamo una pipa, ma non andiamo in giro dicendo che siamo portatori di pipa. Credo che sia pericoloso inventarsi ruoli e status all'interno di questo movimento di rivitalizzazione che poi possono avere effetti negativi [...]. Come ho detto l'altra sera io sono veramente preoccupata per questi “medicine men di plastica'' che vanno per il mondo presentando la loro versione dei riti e per i molti adepti che sono non-nativi che stanno leccandosi tutte queste informazioni. Questi sono pericoli da cui dobbiamo guardarci»

«I frutti puri d'America/impazziscono -- [...]»: nell'introduzione di un libro memorabile (1988 [1993)] James Clifford analizzava una celebre poesia di William Carlos Williams, la cui protagonista è una certa Elsie, con “una goccia di sangue indiano''.

«Elsie simboleggia, a un tempo, una disgregazione culturale locale e un futuro collettivo. [...] Tutti gli splendidi luoghi primitivi sono guastati. Una sorta di incesto culturale, un senso di fibrillazione storica pervade, guida la fuga delle associazioni. [...] è diventato concepibile uno spazio realmente globale di connessioni e dissoluzioni culturali: le autenticità locali si incontrano e si fondono in precari ambienti urbani e suburbani: ambienti che comprenderanno le aree di immigrazione del New Jersey, proliferazioni multiculturali come Buenos Aires, le township di Johannesburg. [...] La risposta di Williams al disordine che [Elsie] rappresenta è complessa e ambivalente. Se le tradizioni autentiche, i frutti puri, si stanno ovunque arrendendo alla promiscuità e all'insignificanza, la scelta della nostalgia non possiede fascino. Non c'è un ritorno possibile, non c'è un'essenza da recuperare».

«è solo a frammenti isolati che/ qualcosa/ viene fuori/
Nessuno/
per testimoniare/
e riparare, nessuno per guidare la macchina».

Williams

«non evoca Elsie e l'ottusità rurale per celebrare un futuro tecnologico e progressivo [...] né si rassegna mestamente al dissolversi delle tradizioni locali dentro la modernità entropica, visione consueta tra i profeti dell'omologazione culturale che piangono i tropici perduti. Invece, egli asserisce che “qualcosa'' ancora “viene fuori'', anche se solo a “frammenti isolati''» (Clifford 1993:15-16)

e riflette:

«Se l'autenticità è relazionale, non ci può essere essenza se non come invenzione politica culturale” (1993:24).

La questione che si pone qui, non è perciò, se sia più “autentica'' la versione tradizionalista o quella new age della religione indiana: entrambe sono il frutto di almeno trecento anni di interazione culturale tra indiani ed europei senza contare che, come afferma Eric Hobsbawn: «Tradizioni che appaiono o reclamano di essere antiche spesso sono molto recenti per origine e talvolta inventate» (1983:1).

Dopo tutto il lavoro compiuto negli ultimi vent'anni, non è più possibile pensare a una tradizione come “falsa'', perché questo implica l'idea, questa sì falsa, che esista un corpus di credenze e pratiche tramandate senza cambiamenti da tempo immemorabile. Anche se per molti è difficile ammettere che gli indiani, e in genere i popoli non occidentali, aggiustano il loro repertorio culturale alla modernità come chiunque altro, il problema, quindi, consiste solo nel capire chi sono gli attori dei due schieramenti. Entrambi sono impegnati nella costruzione di una nuova identità e di una nuova rappresentazione culturale per il XXI secolo. I “tradizionalisti'' la costruiscono rivolgendosi al passato per affermare la loro identità solo in apparenza meno globalizzata, e in qualche modo traggono dal passato concezioni di essenza e purezza culturale; sono appoggiati paradossalmente da molti antropologi, più “tradizionalisti'' degli indiani, da certi tribunali, specialmente canadesi, e dal turismo, che ha ossificato la tradizione per venire incontro alle aspettative della clientela (Mauzé 1997). Il passato è visto dalla prospettiva del presente.

Presso questi ideologi indiani, attivisti nazionalisti del “Quarto Mondo'' e i loro supporters non accademici l'espressione “invenzione della tradizione'' suscita reazioni forti. Ma, come ha fatto notare Jonathan Hill,

«... invocare una concezione unicamente valida, oggettiva del passato può in molti casi essere interpretato come un atto supremamente politico di “disautenticazione'' o svuotamento della validità di modi alternativi di definire il passato, riducendoli a falsità, ideologie o agende politiche» (1992: 809).

Questo vale sia nei confronti di quegli studiosi che non scrivono secondo un punto di vista”amico'', sia a proposito dei santoni new age indiani, considerati, come abbiamo visto, dei “traditori'' razziali. Ma quando l'esotico è sotto casa, quando la TV viola i luoghi più nascosti della terra e nelle metropoli possono esistere frontiere davvero selvagge, è più facile romanticizzare luoghi mentali più che fisici.

I santoni new age, invece, costruiscono un'identità più cosmopolita e interrazziale e, con il loro antimodernismo, cercano di riempire il vuoto identitario sentito come tale dai figli degli antropologi “antiquari'', di quei turisti in cerca dell'esotico “addomesticato'', di quei giovani indiani che condividono con i loro coetanei la difficoltà di scoprire i nuovi significati della modernità. In questo modo, identificando l'indiano con la “spiritualità'' panindiana, interiorizzano la “cultura indiana'' come una serie limitata di tratti religiosi (e non politici), come la capanna del sudore, la pipa, la ruota di medicina, il tamburo e l'erba ierocloe, facilmente assimilabili alla cultura popolare occidentale.




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