Paolo Biondani Corriere della sera, 9 febbraio 2005
«Io, idraulico a Torino, finito nelle gabbie di Camp X Ray» Aouzar: pregavo e seguivo la Juve. Poi la partenza per la Jihad, le battaglie in Afghanistan e la detenzione nella base-carcere degli Usa DAI NOSTRI INVIATI RABAT - Mohammed Aouzar ha 26 anni ma ne dimostra meno. Un fisico esile nascosto da una jalabya celeste, una barba che non riesce a diventare folta, lo sguardo che spesso si perde assieme alla parola. Quando lo avviciniamo sta in guardia. E diffidente, non sembra avere interesse per quello che gli chiediamo. Poi gli mostriamo una foto digitale della sua casa di Torino, del portone, del campanello con il nome del papà. Lì ha vissuto fino all agosto del 2001, quando è partito, assieme ad altri, dall Italia per l Afghanistan, dove è stato catturato. «Sognavo la preghiera, cercavo Dio», è la sua spiegazione per quel viaggio. Ma il «viaggio» ha avuto un altra tappa. Terribile. «Camp X Ray» di Guantanamo, la prigione Usa a Cuba. Gabbie in ferro, tute arancione e tutte le privazioni possibili. Della sua avventura conserva molte ferite. Sulla pelle, con due proiettili nella gamba. Nella mente, logorata dal continuo pressing degli interrogatori americani. E provato e disorientato. Anche perché il suo «viaggio» non è finito. Da mesi viene giudicato da un tribunale marocchino per «associazione criminosa»: non è terrorismo, però le accuse riguardano i suoi possibili (e comunque datati) rapporti con le reti integraliste. I suoi ricordi partono da Torino. Prima sfocati, senza ordine, quindi più nitidi. La scuola tecnica, gli «studi in informatica», i corsi «per diventare tornitore», un buon lavoro da idraulico. «Stavo bene - dice -. Mi divertivo, avevo una vita normale. Ovviamente scandita dalle preghiere». Passatempi? «Mi piace il calcio, guardavo le partite alla tv. Sono stato anche allo stadio, una volta: mi piaceva la Juventus». Piccole passioni terrene che non hanno disturbato la vocazione religiosa. «Facevo parte dei tabligh, i missionari dell Islam. Andavamo in giro per Torino e Milano tentando di riportare sulla giusta strada gli immigrati che avevano brutte abitudini. Dicevamo loro: basta alcol, non fumate hashish, non fate violenza».I suoi pellegrinaggi lo hanno portato spesso anche a Verona dove «ci raccoglievamo in dieci», come fanno i tabligh, «e pregavamo dentro un garage. Tutto qui». ungo i sentieri della predicazione, Aouzar alla fine degli anni 90 raggiunge l India e il Pakistan, Paesi dove i tabligh sono molto radicati. Quindi torna in Italia, dove ha molti amici. E tra loro non mancano personaggi vicini all integralismo, anche armato. Nell estate del 2001 Aouzar è pronto per una nuova missione. Destinazione Kabul. Più tardi, nei primi interrogatori dopo la cattura, dirà che erano diverse le ragioni della sua partenza: «Lo spirito di ribellione, la voglia di lasciare casa, il desiderio di andare a combattere con un amico tunisino». E ai giudici marocchini, ora, ne aggiunge una meno bellicosa: «Volevo cercare lavoro in Afghanistan, avrei voluto vivere lì per sempre». Anche il fratello Redouane, che abita sempre a Torino, prova a partire, ma non ci riesce, perché non ottiene il visto. Il percorso di Aouzar è quello di molti jihadisti reclutati in Europa. Prima tappa a Teheran, una sosta nella città santa di Mashad, poi il passaggio del confine sino ad Herat, nell Afghanistan occidentale. Prima dell 11 settembre l'afflusso di volontari è continuo. Tunisini, egiziani, algerini, marocchini convinti a partire dai cosiddetti «collettori». Personaggi di spicco con i contatti giusti in Afghanistan, che possono fornire i documenti e il denaro per il viaggio. Scrutano tra i fedeli delle moschee in cerca di giovani combattenti: la carne da cannone per il fronte qaedista. Aouzar finisce nella rete tesa dal «reclutatore» Remadna, arrestato a Milano nel novembre 2001 e condannato in appello a otto anni. Quando gli americani e l Alleanza del Nord attaccano il regime talebano, centinaia di mujahidin vengono spostati in un disperato tentativo di resistenza. Aouzar - dicono gli atti della polizia italiana - combatte a Kunduz e viene catturato. Con altri finisce nella famigerata prigione di Qalaj-Jangi a Mazar El Sharif. E il regno del signore della guerra Rashid Dostum. A fine novembre esplode una rivolta sanguinosa, due agenti segreti Usa vengono ammazzati mentre interrogano i prigionieri. La repressione scatenata da Dostum è spietata. Muoiono in tanti, Aouzar rimane «ferito a una gamba», come ammette ora ai giudici di Rabat. Seguono settimane di trasferimenti nelle basi-carcere create dagli americani per rinchiudervi i talebani sconfitti. Subisce nuovi interrogatori, vogliono sapere come è arrivato in Afghanistan, se è legato ad Al Qaeda. Gli mettono una tuta blu da meccanico, resta quasi sempre bendato e deve rispondere a un infinità di domande. Per gli americani non basta. Lo infilano nel ventre di un gigantesco aereo militare C141 e lo trasferiscono a migliaia di chilometri di distanza. Nel campo di detenzione di Guantanamo. Aouzar viene rilasciato dopo tre anni e mezzo. La sua testimonianza è uguale a quelle già raccontate in queste settimane da chi è riemerso da quelle gabbie. Oltre alle violenze fisiche che si vergogna a descrivere («ci picchiavano e ci umiliavano», si limita a bisbigliare), colpiscono gli effetti della pressione psicologica sui prigionieri. Oggi sembrano pugili suonati. Un inglese di origine africana racconta un particolare inedito di quelle «sedute»: «La temperatura nella stanza degli interrogatori era sempre diversa. Un giorno era gelida, congelavi e la tuta arancione non bastava a proteggerti. Un altra volta era rovente come un forno. E non potevi metterti o toglierti nessun vestito. Davanti all ufficiale, non potevi più muoverti».Durante la detenzione al «Camp X Ray», Aouzar vede anche investigatori italiani. «Alla fine dell interrogatorio mi hanno detto che per loro ero pulito», sostiene il giovane. «Se allora sognavo l Afghanistan, oggi mi piacerebbe tornare in Italia, dove c'è la mia famiglia». Un esile speranza per chiudere definitivamente il suo viaggio di andata e ritorno dall inferno.
Home | Il curatore del sito | Oriente, occidente, scontro di civiltà | Le "sette" e i think tank della destra in Italia | La cacciata dei Rom o "zingari" dal Kosovo | Il Prodotto Oriana Fallaci | Antologia sui neoconservatori | Testi di Costanzo Preve | Motore di ricerca |