La faina e il cannocchiale
Come Bertinotti fu premiato assieme a Sharon
 

di Miguel Martinez

5 febbraio 2005

Un ringraziamento al sito http://www.arcipelago.org per aver segnalato la notizia commentata qui.

Si veda anche lo studio di Costanzo Preve su Fausto Bertinotti, "L'ultima transizione".







La notizia è uscita sui giornali del 20 gennaio 2005.

Il giornale Il Riformista ha premiato Fausto Bertinotti assieme ad Ariel Sharon.

Fausto Bertinotti come migliore politico italiano dell'anno, Ariel Sharon come migliore politico internazionale dell'anno.

Mentre il buon politico israeliano si è fatto rappresentare dall'ambasciatore del suo paese in Italia, il buon politico italiano - come sempre, bello, svelto ed elegante come una faina - è corso a farsi fotografare con in mano il premio: un cannocchiale, segno di lungimirante astuzia e abilità navigatoria.


fausto bertinotti


Leggiamo le motivazioni:
Fausto Bertinotti: "Per la revisione delle radici comuniste, per il ripudio della violenza come strumento di lotta politica, per la condanna senza se e senza ma del terrorismo anche se islamico, e per la rifondazione del suo partito come forza di governo"

Ariel Sharon: "Sharon ha riavviato Israele su un percorso di pace, decidendo unilateralmente il ritiro da Gaza e raggiungendo l'accordo con i laburisti per il nuovo governo"

Gli Oscar del Riformista vengono concessi ogni anno a chi dimostra con i fatti di aderire fino in fondo a quello che Costanzo Preve chiama il "Partito trasversale del politicamente corretto". L'anno scorso l'Oscar della politica è stato vinto da Gianfranco Fini, assieme a Tony Blair e al pentitissimo brasiliano Lula. Più banali gli Oscar per la politica locale e per la comunicazione andati, rispettivamente, a Walter Veltroni e a Bruno Vespa (che in questo sito ricorderemo sempre come il creatore del "musulmano cattivo", Adel Smith).

Questa storia ci spiega molte cose sulla politica italiana dei nostri tempi, e in particolare su quello che chiamano sinistra; ma anche sui legami tra la politica italiana e quella mondiale, cioè agli effetti pratici, statunitense, inglese e israeliana.

"Reti di potere"

Ho visto gente per strada leggere Libero, La Torre di Guardia e Battaglia Comunista. Ma non ho mai visto qualcuno con in mano Il Riformista.

Comunque il quotidiano esiste. Il suo editore, Claudio Velardi, è un segno vivente dei tempi.

Già capo dello staff di Massimo D'Alema a Palazzo Chigi, è oggi direttore di Reti, una società che ha sede nello stesso palazzo romano dove risiede Silvio Berlusconi, e organizza la propaganda elettorale per aspiranti candidati di ogni tendenza; vende inoltre servizi di lobbying parlamentare per le aziende che vogliono leggi fatte nel proprio interesse.

La ditta di Velardi tiene anche corsi, denominati "Reti di potere", dove si insegna l'arte del lobbying a manager e addetti alle comunicazioni, e insomma a chiunque - di "destra" o di "sinistra" voglia fare carriera politica.

Alcuni dei più feroci squali del nostro pianeta si rivolgono a Velardi:

"Quale società è stata scelta dalla tv satellitare Sky Italia di Rupert Murdoch per occuparsi dei delicati rapporti istituzionali e per introdurre nei labirinti del potere l’amministratore delegato Tom Mockridge? I lobbisti prescelti sono quelli della società Reti, il cui azionista è Claudio Velardi, editore del “Riformista” di Antonio Polito e amico del cuore di Massimo D’Alema".
Rupert Murdoch, ricordiamo, non è solo il più feroce padrone dei media del mondo; è anche uno dei più aggressivi promotori della guerra infinita. Per citare un solo esempio - la sede del Progetto per un nuovo secolo americano (PNAC), dove sono stati elaborati alcuni dei più espliciti piani di dominio imperiale, è anche la sede di un giornale di proprietà di Murdoch. Velardi sicuramente non vede alcuna contraddizione tra il suo lavoro per Murdoch e la proprio appartenenza alla squadra di sinistra del sistema bipolare. Dice, "Una sinistra moderna deve porre con veemenza il tema delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni" (Claudio Sabelli Fioretti, Voltagabbana, Marsilio 2004, p. 176).

Maurizio Gasparri disse la prima e ultima frase intelligente della sua vita, quando affermò che "il velardismo è la malattia senile del comunismo". Infatti, la parola "riformista" evoca le "riforme", una cosa che la sinistra faceva una trentina di anni fa, allargando i diritti sociali.

Anche oggi si fanno continuamente riforme - si sfascia la scuola, si tagliano le pensioni, si svende il patrimonio artistico, si condonano gli abusi edilizi e così via. Siccome altre riforme in giro non se ne vedono proprio, evidentemente sono queste che Il Riformista rivendica.

Come Claudio Velardi, Il Riformista è perfettamente trasversale, ma di sinistra. Una quota notevole del giornale appartiene alla famiglia Angelucci. La quale possiede però anche l'intero capitale del quotidiano di Vittorio Feltri, Libero, per non parlare del mitico palazzo delle Botteghe Oscure. L'ex-portantino Antonio Angelucci, che viene definito un "fedelissimo" di D'Alema, oggi possiede ben dieci cliniche private, con 2 mila posti letto, 500 medici e 1.500 dipendenti; il primario della più importante, il San Raffaele alla Pisana, si chiama Massimo Fini ed è casualmente fratello di Gianfranco Fini.

Alla direzione del Riformista troviamo un ex-giornalista dell'Unità, Antonio Polito, ma nella redazione troviamo anche Oscar Giannino, che conoscevamo dal Foglio, e Lucia Annunziata, la trasversalissima signora che abbiamo già incontrato parlando dell'Aspen Institute, il think tank di destra-sinistra diretto - in Italia - da Gianni de Michelis.

Fin qui, siamo decisamente in una sfera italiana, o meglio romana.

Ma Antonio Polito fa anche parte anche lui di un think tank, la Fondazione italianieuropei, dove troviamo a suo fianco Giuliano Amato, Massimo D'Alema, Peter Mandelson, Lucia Annunziata, John Lloyd, Franco Venturini e Guido Rampoldi.

Italianieuropei è a sua volta l'emanazione nostrana di un think tank inglese, la Policy Network, che raccoglie i tecnici del dominio di Tony Blair. Gli allenatori, insomma, che addestrano la squadra di sinistra per competere con la squadra di destra ai campionati elettorali.

"Svortà"

Il Riformista è un simbolo perfetto dei tre livelli della politica italiana. Il primo è quello che possiamo chiamare il livello romano. Amo Roma come nessun'altra città al mondo, però è difficile negare che più o meno dai tempi delle guerre puniche, si tratta di una città in cui esiste una fitta rete di servitori di ogni specie che sperano di cambiare vita, di svortà, per usare un'espressione caratteristica. Ne nasce un mondo straordinario e pittoresco, dove cardinali e peccatori tramano contro altri cardinali e altri peccatori in un opaco ambiente in cui nessuno sa da dove partirà il prossimo colpo. Nelle tenebre romane, può succedere di tutto - Silverio Corvisieri (Il re, Togliatti e il Gobbo: 1944, la prima trama eversiva) racconta di come durante l'occupazione tedesca, i capi della polizia fascista collaborassero con equanimità con i tedeschi, con gli alleati, con il Vaticano e con i partigiani.

In questo contesto di perenne finzione, il virtuale diventa essenziale. Ruffiani di ogni sorta distribuiscono immaginari titoli cavallereschi, vengono pubblicati costosi volumi omaggio che nessuno legge, si raccolgono soldi per film sui servizi segreti che poi svaniscono nel nulla, nascono misteriosi circoli culturali dalla saracinesca perennemente abbassata, e fioriscono quotidiani immaginari come Il Riformista. Strano a dirsi, è stato un olandese a descrivere meglio di tutti questo mondo - Anton Haakman nel suo splendido Mondo sotterraneo di Athanasius Kircher.

Questo mondo non è cambiato nemmeno con il passaggio di poteri da Augusto a Tiberio; e non è stato certo scalfito dal passaggio dalla prima alla seconda repubblica. Di questo mondo fanno parte integralmente sia la destra che la sinistra, come ci mostra magistralmente il film di Virzì, Caterina va in città.

Fausto Bertinotti sa muoversi perfettamente in questo ambiente, pur essendo un sindacalista torinese. E questo è già un ottimo motivo per meritarsi il cannocchiale.

Poetesse e guitti

La corte perenne degli svortatori e dei peccatori è dipesa per mezzo secolo dalla politica, nella peculiare accezione romana dell'assessore socialdemocratico che organizza concorsi di poesia per commercialisti e professoresse delle medie in pensione, o della cooperativa comunista che vivacchia con la quota di appalti riservata al partito dopo aver pagato la tangente all'ex-fascista diventato esattore di Giulio Andreotti.

Al posto dei sempre più inutili mediatori politici, sono subentrati oggi in larga misura altri personaggi, più adatti ai nostri tempi. Certo, alle feste che contano ci sono sempre i politici, qualche cardinale e qualche nobildonna; ma hanno guadagnato uno spazio senza precedenti i sottoprodotti umani dell'industria culturale.

Infatti, i personaggi dei media non sono più gli austeri portavoce di politici arroganti. Sono ormai arroganti in proprio. Non esiste un confine netto tra il serio e il faceto, tra la biografia e la fiction, tra Bruno Vespa e Platinette. O se preferite, è difficile distinguere tra Adriano Sofri tuttologo e moralista con diritto illimitato di predica, suo figlio Luca Sofri giornalista e "blog star", la nuora Daria Bignardi che è stata la presentatrice del Grande Fratello e della Fattoria, e il testimone di nozze di Luca e Daria, Giuliano Ferrara. Dimenticavo, Luca Sofri lavora per Il Riformista e/o per Il Foglio, ed è amico di un altro giovane giornalista, Mattia Feltri, figlio di Vittorio Feltri di Libero. Anzi, secondo recenti notizie, Mattia Feltri starebbe per sposarsi con una parente stretta di Daria Bignardi.


La signora Bignardi in Sofri con logo


A differenza dell'impersonale mondo dei politici del passato, i potenti dei media hanno tutti qualcosa di grottesco, perché queste persone vivono in uno stato perenne di falsificazione, in quanto fingono non solo di essere umani, ma anche di essere simpaticamente umani.

Si tratta quindi di una corte di svortatori, di peccatori, ma anche di guitti. Questo è il secondo livello della politica romana.

Fausto Bertinotti è riuscito a far parte di questo mondo, e non è poco per un sindacalista del nord. Forse lo aiuta il fatto di non aver mai fatto un giorno di lavoro in vita sua.

Il custode romano

La corte degli svortatori, dei peccatori e dei guitti non può vivere di vita propria. C'è sempre un riferimento esterno, come poteva essere la figura dell'Imperatore o del Papa, o del Duce. Questa dipendenza costituisce il terzo livello della politica romana.

Per conservare sempre il proprio potere, pur non avendo nulla da offrire - perché il ceto degli svortatori al massimo possiede saloni in cui dare ricevimenti - occorre avere una vista eccezionale, che permetta di cogliere a grandi distanze la nuvola di polvere dell'esercito vincitore che avanza. Nessun simbolo migliore, quindi, del cannocchiale.

È questo istinto che fa sì che grandi masse di svortatori imbocchino tutti contemporaneamente la stessa strada.

Prima, "i liberali" erano un insignificante partito che ha avuto il suo momento di gloria quando l'onorevole De Lorenzo dirigeva la sanità pubblica. Oggi, sono tutti liberali. Per "tutti" intendo, ovviamente, tutti quelli che hanno diritto di parola nei media.

All'epidemia di liberalismo corrisonde anche un'esplosione di americanismo. Altrove su questo sito abbiamo ricordato la frase di Massimo D'Alema sull'11 settembre:

"Dopo gli attentati mi sono detto: ci bombardano. Perché New York, l'America, sono casa nostra".
D'Alema, che infatti è nato a Roma, ha interiorizzato perfettamente lo spirito del custode del palazzo cardinalizio: la casa del mio padrone è davvero casa mia.

Anche su questo piano, Fausto Bertinotti si merita pienamente il cannocchiale. Più dello stesso D'Alema, perché Bertinotti deve lavorare con un'umanità ostica, che ha innumerevoli difetti, ma ha sempre avuto un rigetto profondo per il capitalismo e per l'imperialismo. In Rifondazione comunista militano le persone che non si lasciarono abbindolare a suo tempo da Occhetto o D'Alema. Per neutralizzarle, occorre aggirarle, e lo si fa con la doppia tecnica dell'antiberlusconismo e della non violenza.

Silvio Berlusconi è una persona che fa di tutto per suscitare una viscerale antipatia. Ma il puro e semplice antiberlusconismo, a sinistra, ha ormai sostituito qualunque altro elemento. Se il nano pelato è il male assoluto, qualunque cosa è meglio. Ad esempio, è meglio Enrico Letta, che - ricordiamo - non solo è nipote di Gianni Letta del Polo (un uomo forse più potente di Berlusconi stesso), ma è anche vicepresidente dell'Aspen Institute, il cui presidente è Giulio Tremonti.

Per la non violenza, invece, Bertinotti tira in ballo nientemeno che il Mahatma Gandhi. Certo, paragonare Bertinotti a Gandhi è come paragonare San Francesco al cardinale Angelo Sodano, ma i manipolatori non si pongono mai questi problemi.

In termini pratici, la "non violenza" significa: quando c'è un'aggressione militare e quelli sparano, noi non alziamo un dito a favore di chi resiste. La prova decisiva l'abbiamo avuta con la resistenza irachena, nei cui confronti Fausto Bertinotti ha dimostrato tutta la sua fainesca astuzia.

La non violenza viene teorizzata come ripudio della "spirale guerra-terrorismo" - loro ti bombardano e ti massacrano la famiglia, tu ammazzi uno dei tuoi aguzzini, e Fausto Bertinotti al tavolo imbandito del Riformista dice che siete cattivi tutti e due.

Fausto Bertinotti merita in pieno, quindi, il premio del Riformista.

La soluzione finale

Come lo merita, e per motivi analoghi, anche Ariel Sharon. Anzi, il premio menziona solo una parte dei suoi meriti. Non dice, ad esempio, che proprio negli stessi giorni in cui veniva premiato, il governo israeliano stava iniziando l'esproprio di tutti i beni dei nativi palestinesi che erano diventati "proprietari assenteisti" in quanto il Muro impediva loro di accedere alle proprie terre e case.

Tanya Reinhart, in in un articolo apparso su Yedioth Aharonot del 20 aprile 2004. ci spiega anche il senso del ritiro da Gaza per cui Sharon è stato premiato dagli amici di Velardi (e di D'Alema):

"...dalle carte presentate da Israele il 16 aprile viene specificato che nel giro di un anno e mezzo l'occupazione dovrebbe terminare. In ogni altro aspetto la situazione rimarrà come prima. I palestinesi saranno imprigionati da tutti i lati senza nessun collegamento verso l'esterno. Israele si riserva il diritto di agire militarmente nella Striscia di Gaza, ma siccome la Striscia non sara definita più come territorio occupato, Israele non sarà soggetta alla quarta convenzione di Ginevra. In altre parole quello che oggi Israele compie in violazione del diritto internazionale dopo sarà legale: sarà lecito morire di fame così come sarà lecito per Israele uccidere chiunque lo ritenga opportuno, da un bambino che lancia pietre al successore di un leader spirituale!"

Sembra una divagazione, ma non lo è. La questione israelo-palestinese è in fondo molto più semplice di quello che sembra; e Sharon ha trovato la soluzione finale al problema.

Lo spazio tra il Giordano e il mare è troppo stretto perché vi possa trovare posto più di uno stato solo. Inoltre, da quasi quarant'anni, è a tutti gli effetti uno stato unico: perché "stato" non è un colore sulla carta geografica, ma il nome di chi detiene effettivamente il controllo sulla vita delle persone. Da quando la gente si ricorda, il governo, l'esercito e l'economia d'Israele decidono delle sorti di chi abita a Gaza; chi abita a Gaza non decide né della propria sorte, né di quella di chi abita a Tel Aviv. E questo a tutti gli effetti significa che lo stato unico c'è già.

"Due stati per due popoli" è quindi uno slogan insensato e ingannevole, che è servito solo perché un rappresentante di uno dei due popoli firmasse la rinuncia all'80% della propria terra.

Se togliamo le fantasie sui "due stati", l'unica questione reale è, se lo stato unico tra il mare e il Giordano deve diventare democratico o no.

La soluzione democratica significa pari diritti per tutti, compreso il diritto al voto, all'acqua, a muoversi liberamente, a non avere la propria casa distrutta, a non essere uccisi o incarcerati senza processo, a prescindere dalle origini etniche o religiose. La soluzione antidemocratica significa che il controllo di tutto il territorio deve restare a tutti gli effetti in mano solo a una parte degli abitanti di quel territorio.

Sharon, marciando sulla Spianata delle Moschee nel 2000, è riuscito a provocare - come documenta molto bene Tanya Reinhart in Distruggere la Palestina (ed. Marco Tropea) - lo scontro decisivo.

Sharon ha ottenuto quello che tanti governi israeliani prima non erano riusciti a ottenere. Ha distrutto la società palestinese e la sua economia, ha trasformato la striscia di Gaza in un affollatissimo campo di concentramento che non ha vie di uscita, né per terra né per mare; ha costruito il Muro dell'Apartheid che spacca in due il West Bank, annettendone metà da subito a Israele; ha diviso ciò che rimane dei palestinesi in piccole isole sovrastate da insediamenti paramilitari sulle alture e isolate dai posti di blocco.

muro dell'apartheid

Visto che i cinesi e i filippini hanno preso il posto dei nativi palestinesi nell'economia israeliana, per sopravvivere, non resta che emigrare; e già vediamo molti palestinesi arrivare clandestinamente in Italia assieme a comunità di più storica migrazione come i curdi.

Oggi Sharon offre una certa autonomia a meno del 10% di quel territorio che un tempo fu Palestina. L'autonomia potrebbe anche chiamarsi un giorno "Stato", ma il suo unico compito sarà sparare sui nativi palestinesi se si ribellano.

Sharon ha saputo implementare questo progetto tenendo i nervi saldi, senza preoccuparsi degli immensi costi per la normale società israeliana. Ha saputo imporre il dominio imperiale in un angolo difficile del mondo, non tanto diversamente da Bertinotti con i suoi ostici comunisti.

Il cannocchiale è un premio davvero indovinato per due uomini politici di innegabile abilità e intelligenza.






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