9. Le conclusioni fra pessimismo della volontà ed ottimismo
dell'intelligenza.
È giunto il momento di stringere, cioè di chiudere. Prima, però, regalerò
al fedele lettore un breve intermezzo autobiografico.
Il lettore munito di
elementari rudimenti di analisi stilistica potrebbe essere portato a pensare che
lo scrivente odi tipi umani alla Luigi Berlinguer, prodotti clonati della
decadenza tosco-emiliana del comunismo storico novecentesco, e che questo odio
non viene neppure nascosto. Ebbene, il lettore avrebbe ragione. È vero che la
mamma e la nonna mi hanno insegnato a non odiare nessuno, e che lo stesso odio
è pur sempre un sentimento forte e dignitoso, che questi banali burocrati
postcomunisti non meritano, perché la loro banalità non suscita che disagio e
curiosità. Ma a fianco del disagio e della curiosità vorrei indicare anche un
innocuo ricordo personale.
Tornato dagli studi all'estero circa trent'anni fa
avevo deciso di non scegliere in alcun modo una professione che implicasse
comunque un'attività di tipo capitalistico-aziendale-imprenditoriale, anche se
questo avesse implicato bassi stipendi, eccetera. Certo, nessuno può scegliere
il modo di produzione in cui vivere, visto che uno vi è gettato (ausgeworfen).
Ma anche nello schiavismo si può sempre fare il filosofo, e nel feudalesimo il
monaco.
Nel capitalismo vi sono pochissime attività non aziendali, come il
medico di base, il viaggiatore esotico ed il professore di liceo. Non potendo
fare il medico di base per mancanza di un titolo di studio specifico, ed il
viaggiatore per mancanza di soldi e paura dello sradicamento, mi restava solo il
professore di liceo, stupenda attività senza aziendalità, senza
imprenditorialità, eccetera.
Ebbene, proprio ora, alle soglie della pensione,
questi politici postcomunisti, diventati maggiordomi degli anonimi mercati
finanziari, mi costringono a fare ciò che trent'anni fa pretoni democristiani e
massoni laici non avrebbero mai osato concepire, il Gioco del Piccolo
Imprenditore Scolastico, dei debiti e dei crediti formativi, della scuola
azienda di offerta culturale nel territorio, della corsa fantozzesca agli
stipendi differenziati per recuperi, corsi di aggiornamento, cordate di
istituto, eccetera. È vero che non lo farò comunque, anche se (a differenza di
Cacciari) non sono ricco di famiglia, e dovrò fare almeno un poco il pagliaccio
per quieto vivere e per lo stipendio mensile.
E qui chiudo l'intermezzo
autobiografico: non odio Berlinguer ed i suoi scagnozzi, perché essi non
meritano purtroppo un sentimento tanto nobile, fecondo e vivace. Ma è indubbio
che un'incontenibile ripugnanza fa da molla personale alle mie osservazioni. Del
resto, chi pensa che la radice psicologica personale ed il suo svelamento
annullino la pertinenza di un'analisi storica e culturale dovrebbe essere
costretto a seguire un corso di aggiornamento obbligatorio (con crediti
esigibili) sul nesso fra genesi biografica e psicologica e validità
scientifica, letteraria e filosofica. E passiamo ora ad alcune oneste
conclusioni teoriche di questo discorso scolastico.
In primo luogo, mi sembra poco realistico, ed anzi francamente irrealistico,
pensare ad un arresto al processo di distruzione del liceo europeo in Italia. Si
sono mosse forze sistemiche gigantesche, che pochi kamikaze non potrebbero certo
arrestare.
Chi scrive è stato animatore di uno dei pochi casi (forse l'unico)
di disobbedienza civile in Italia (Liceo scientifico Volta di Torino), in cui la
maggioranza del corpo insegnante aveva inizialmente rifiutato di fare gli
adempimenti preparatori di questa maturità berlingueriana. Trenta o quaranta
iniziative di questo genere in Italia non avrebbero certo potuto fermare il
rullo compressore della fase postmoderna della modernità, ma avrebbero almeno
potuto costringere il ceto politico postcomunista e il suo codazzo di
pedagogisti pazzi, sindacalisti, manager, eccetera, a ricontrattare le modalità
pratiche della riforma con gli insegnanti normali. Ma gli insegnanti normali
hanno scelto la facile via del mugugno, del pensionamento anticipato per
disgusto, delle proteste platoniche senza impegno di disobbedienza civile,
eccetera, mostrando così di non essere, di non poter essere e di non voler
essere un fattore culturale di rilievo storico-politico.
Personalmente, provo un
forte pessimismo della volontà, nel senso che non ho nessuna voglia di
imbarcarmi in inutili donchisciottismi per una causa perduta. Nello stesso
tempo, coltivo un certo ottimismo dell'intelligenza, non certo in un fantomatico
soggetto sociale demiurgico (che non si vede all'orizzonte), ma nella buona e
vecchia natura umana alla Noam Chomsky.
Mi spiego meglio. Non credo che la
resistenza attuale, impotente e confusa, alla distruzione del liceo europeo
possa impedire questo processo, ormai avviatosi come una carica di elefanti
rincoglioniti ed impazziti. Ma credo che la resistenza residuale che ora ed in
futuro non mancherà di verificarsi, lungi dall'essere una inutile testimonianza
alla memoria, sarà uno dei primi elementi storico-culturali effettivi per una
futura (e forse non poi tanto lontana) lotta al profilo complessivo della
cultura della globalizzazione capitalistica.
Per questo parlo di pessimismo
della volontà e di ottimismo dell'intelligenza, invertendo il noto detto di
origine gramsciana, che invece invita ad un masochistico attivismo politico a
tutti i costi pur in presenza di uno scetticismo totale sulle prospettive
storiche. La burocrazia postcomunista è nell'essenziale formata da noti falliti
e da incredibili incapaci. È possibile, anche se non sicuro, che tutto il
casino che sta piantando sulla base della sua tellurica incapacità e del suo
dilettantismo maneggione gli si rivolti contro.
In secondo luogo, sarà necessario superare i riti di sinistra della
contrapposizione fra laici e cattolici, fautori della scuola di stato e fautori
delle scuole di preti, che in mancanza di meglio riproducono i loro riti
identitari. È vero che, come correttamente segnalano i film di zombie e di
vampiri, a volte ritornano. E ritornano gli appelli di tromboni e confusionari,
giornalisti del Palazzo e pasionarie dei salotti, politici trombati e vestali
della laicità, ad incitare giovani dipinti e saltellanti a contestare le scuole
dei preti e delle suore.
I giornalisti amano molto questi spettacoli, come i
gatti amano il pesce ed i pedofili gli asili infantili. È un bellissimo
spettacolo generazionale, denso di musica a tutto volume e di girotondi
tardoinfantili, dell'eterno scontro fra Oscurantismo e Ragione, Fede e Scienza,
Destra e Sinistra, incensi e spinelli, profumi e balocchi. Ma questo spettacolo
passa del tutto a lato del problema che abbiamo segnalato (la distruzione
contenutistica del liceo europeo), ed anzi contribuisce potentemente ad
oscurarlo. Ed appunto per questo viene inscenato.
In terzo luogo, e per finire, segnaliamo il punto forse più importante. La
questione scolastica italiana non è che un aspetto della più generale
questione nazionale italiana, e della possibilità di mantenere un profilo
culturale e sociale autonomo e distinto dall'americanizzazione totalitaria,
forma culturale essenziale dell'attuale totalitarismo flessibile transnazionale
ed ultracapitalistico.
Devo dire con molto rincrescimento che l'unico leader
politico italiano noto che mostra di possedere i termini minimi della
consapevolezza della questione è il leghista Umberto Bossi. Ho detto "con
rincrescimento" perché Bossi imposta in modo limitativo la questione
riferita alla sola autodifesa delle microcomunità padane, laddove si tratta
anche e soprattutto di una questione nazionale italiana, che a Bossi non
interessa ed a cui è anzi ostile.
Chi scrive è invece per la pertinenza e la
legittimità di una questione nazionale italiana (che non esclude, e non ha mai
escluso, e non escluderà mai la pertinenza di questioni sarda, friulana,
veneta, piemontese, eccetera), e dunque non può seguire Bossi su questo punto,
anche perché chi scrive non può culturalmente sopportare ogni tipo di retorica
celto-longobarda contro i cosiddetti "meridionali", e su questo punto
è impossibile fare concessioni, così come non si possono fare concessioni di
nessun tipo alla valorizzazione storiografica del fascismo fatta da Pino Rauti.
Tuttavia, è indubbio che Bossi almeno coglie i punti essenziali della questione
della resistenza all'americanizzazione. Il ventre molle culturale in cui l'americanizzazione
può invece passare è ovviamente la cosiddetta sinistra, senza distinzioni di
gradazione e di maggiore o minore estremismo. Per essere più precisi non si
tratta neppure del ventre molle, ma del vettore privilegiato.
Come è noto, la
cultura alla il Manifesto sposa apertamente le demenziali posizioni che
risolvono la questione nazionale in invenzione razzista ed antioperaia della
malvagia borghesia ottocentesca. Tutta la cultura alla Bertinotti è esattamente
su queste demenziali posizioni, con in più la contraddizione pittoresca per cui
la questione nazionale è ammessa per kurdi, maya e messicani, ma per gli
italiani no.
Più in generale il modello culturale della sinistra è il
deficiente transnazionale Daniel Cohn-Bendit, che vuole fondare l'identità
europea nel meticciato multicolore e nell'interventismo armato dovunque gli
intellettuali del suo tipo ritengano che sono stati violati i diritti umani. Ci
sarebbe da ridere, se queste posizioni non fossero alla lunga storicamente
pericolose, perché sembrano fatte apposta per suscitare nel medio periodo
reazioni sciovinistiche, razzistiche e più in generale fascistoidi. È evidente
che brevi saggi come questo non sono rivolti a giustificare simili possibili e
probabili reazioni, ma al contrario sono rivolti a prevenirle.
La questione scolastica è dunque un pezzo della questione dell'indipendenza
nazionale. Il modello di scuola-azienda-impresa che la riforma Berlinguer
propugna e sta realizzando è rivolto proprio contro un modello di scuola che si
faccia carico di questo problema. Si tratta di un modello deterritorializzato e
privo di anticorpi contro l'americanizzazione, che è anzi auspicata come
frontiera inevitabile della irresistibile modernità. Ma questo modello è fatto
apposta per perdere tutte le grandi conquiste della modernità illuministica e
romantica. Il ceto nichilista e ricattabile che lo sta imponendo per via
amministrativa, fra lo sconcerto e la sostanziale impotente passività della
maggioranza degli insegnanti italiani, è attualmente l'avversario principale di
tutti coloro che hanno una concezione adeguata dei problemi nazionali e
mondiali.
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