Dalla Rivoluzione alla Disobbedienza

Note critiche sul nuovo anarchismo post-moderno della classe media globale

V parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in dodici parti.

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18. Due parole adesso sull'anarchismo, più esattamente sul passaggio dal vecchio anarchismo artigiano al nuovo anarchismo virtuale. Alcune cose le ho già dette, ma conviene sempre ripeterle.

Prima di tutto, bisogna abbandonare la vergognosa concezione dell'anarchismo che era corrente fino al 1989-1991. In questa concezione l'intera storia del movimento operaio era vista come una progressiva liberazione da una precedente "immaturità". La storia dei movimenti di contestazione al capitalismo era vista come una sorta di razzo a tre stadi, di cui solo il terzo avrebbe veramente compiuto l'"assalto al cielo". Il primo stadio era l'anarchismo, movimento immaturo di braccianti ignoranti e di artigiani destinati ad essere spazzati via dalla grande produzione di serie. Il secondo stadio era il socialismo della Seconda Internazionale, la cui vittoria contro l'anarchismo era considerata progressiva e provvidenziale, perché finalmente metteva al centro la classe operaia di fabbrica, il sindacato ed il partito. Il terzo stadio, quello definitivo e conclusivo, era il comunismo, che si trattava certo di riformare e di migliorare, ma che comunque rappresentava il coronamento della storia delle classi oppresse.

Questa grande narrazione è stata falsificata nel triennio 1989-1991. Il fatto che essa continui ad essere agitata, in una metafisica storicistica le cui tre tappe sono Bakunin, Kautsky (considerato migliore di Bakunin) ed infine Togliatti (considerato il migliore dei tre), mostra solo a che punto di arretratezza siamo, e spiega anche indirettamente il successo di Toni Negri, che almeno rompe con questa assurda litania.

Cerchiamo di essere chiari, a costo di offendere qualcuno. Dopo il 1991 le carte devono essere redistribuite. In linguaggio informatico c'è stato un reset. Noi dobbiamo mettere sullo stesso piano, ed esaminare in modo paritario ed omogeneo, sia il vecchio anarchismo sia il comunismo storico novecentesco (scaduto il 1991). Fino al 1991 potevamo pensare che il buon Gramsci avesse definitivamente spazzato via il cattivo Bordiga, inaugurando la serie virtuosa di Togliatti - Longo - Berlinguer - Natta. Chi pensava questo, e gridava questi demenziali slogan nei cortei, ha l'onere della spiegazione, cui peraltro sistematicamente si sottrae, di spiegare perché dopo questa serie virtuosa sono arrivati Achille Occhetto e Massimo D'Alema, il trafelato ulivista in cerca disperata di visibilità ed il cinico baffetto della guerra del Kosovo del 1999 fotografato ghignante accanto al generale americano e bombardatore Clark.

Sia chiaro. Io rispetto Gramsci, l'ho letto e studiato, e continuerò a leggerlo e studiarlo. Ma dopo il 1991 egli diventa esattamente eguale ad Amadeo Bordiga. Questo vale per gli eretici del comunismo (trotzkisti, maoisti e bordighisti), ma vale ancora di più per gli anarchici.

19. Quando uno si accosta agli scritti degli anarchici della vecchia scuola, non può che provare un senso di rispetto. Faccio qui l'esempio del vecchio anarchico americano Murray Bookchin (di cui consiglio caldamente al lettore almeno due libri, L'ecologia della libertà, pubblicato dalle edizioni Antistato, e Democrazia Diretta, pubblicato dalla Eleuthera di Milano). Bene, leggendo Bookchin ci si rende conto della cultura, dell'apertura mentale, ed addirittura della "concretezza" della vecchia cultura anarchica. Ma questo avviene perché in Bookchin ed in quelli come lui respira ancora il vecchio anarchismo della produzione, più esattamente dell'organizzazione alternativa della produzione. Bookchin capisce perfettamente quello che peraltro anche altri anarchici come Chomsky capiscono, e cioè che ci vuole un'antropologia filosofica che "democratizzi" l'io, non che lo faccia sparire.

20. Il nuovo anarchismo post-moderno non c'entra niente con gente in gamba come Bookchin. Esso si è formato, secondo l'interpretazione che esporrò a partire da questo paragrafo, attraverso la fusione di due tradizioni diverse, quella politica dell'operaismo italiano e quella antropologica dell'ideologia francese della differenza. Esporrò brevemente queste due tradizioni, ma prima mi porrò una domanda preliminare: come è successo che a partire dagli anni Sessanta sia sorto in Italia l'operaismo e nello stesso periodo sia sorta in Francia quella scuola filosofica?

Discutiamo entrambe le ipotesi.

21. Come è possibile che l'operaismo, a partire dai primi anni Sessanta, diventi in Italia l'unica "formazione ideologica" (uso il termine nel senso di Charles Bettelheim) che è stata concretamente in grado di contrapporsi al togliattismo del PCI, mentre tutte le altre eresie marxiste (il trotzkismo, il maoismo, il bordighismo, eccetera) sono sempre rimaste minoritarie e marginali?

Tentiamo una risposta. Il 1958 è il primo anno del boom economico italiano e dell'espansione dei consumi. È l'anno in cui secondo Pasolini cominciano a "morire le lucciole". Secondo Fortini, sono appena finiti i "dieci inverni" del dopoguerra. L'Italia comincia a modernizzarsi. Nel 1958 io avevo 15 anni, e mi ricordo benissimo come stavano le cose prima. Andavo a prendere il latte fresco in un bidone in bilico sulla bicicletta. Ricordo mia madre che si alzava per scaldare l'acqua in un pentolone in modo che potessi lavarmi prima di andare a scuola. Ricordo i miei coetanei che dopo la quinta elementare andavano a lavorare e dovevo aspettarli la sera per giocare. Ricordo i bambini rapati perché c'erano i pidocchi. Ricordo il gelato la domenica mattina come incredibile consumo lussuoso. Potrei farla più lunga, ma il succo è questo: dopo il 1958 l'Italia si modernizza.

Dal 1945 al 1958 Togliatti aveva strutturato ideologicamente il partito comunista sulla base della teoria per cui il capitalismo era incapace di sviluppare le forze produttive e di modernizzare il paese. Ed ecco adesso, dopo il 1958, che i capitalisti si dimostrano capaci di modernizzare (a loro modo, ovviamente) il paese e di sviluppare le forze produttive. È questa la base materiale, concreta, per cui il togliattismo può cominciare ad essere contestato. Al primato della storia si sostituisce il primato della sociologia. Al posto del mito del progresso, arriva la "composizione di classe".

22. Come è possibile che l'ideologia francese del desiderio, della differenza, della frammentazione dell'io, eccetera, cominci a diventare egemone a Parigi a partire dagli anni Sessanta?

Tentiamo una risposta. La Francia è sempre stata il paese del razionalismo e della tradizione razionalista. Il massimo divulgatore francese di filosofia popolare, Alain, era un laico razionalista assoluto. Negli anni Trenta il principale divulgatore francese del marxismo, Georges Politzer, lo espose come una forma di razionalismo popolare. La tradizione di Cartesio in Francia era fortissima. Cartesio contava di più di Kant e di Hegel, me lo ricordo benissimo dai tempi dei miei studi di filosofia in Francia.

Questa egemonia del razionalismo era effettivamente soffocante. Chi oggi studia la storia del marxismo francese dopo il 1945 ricorderà soprattutto Sartre e Althusser, ma le cose allora non stavano in questo modo. Il principale filosofo comunista francese era considerato Lucien Sève, un razionalista assoluto. Sève scrisse un interessante libro di psicologia (cfr. Marxismo e teoria della personalità, Einaudi, Torino 1973), che è il libro di psicologia più razionalistico che io abbia mai letto. Nel 1980 Sève pubblicò un'introduzione alla filosofia marxista, mai tradotta in italiano, e molto ammirata da Ludovico Geymonat, che nel suo genere era comunque migliore dei manuali sovietici e cinesi del periodo.

Apro una parentesi. Vorrei dichiarare, e sottolineare, e se necessario gridarlo, che io non credo assolutamente che la filosofia e la scienza siano qualcosa di appartenente ad una Classe e tantomeno (orrore fra gli orrori!) ad un Partito. La filosofia e la scienza appartengono esclusivamente al genere umano indiviso. È l'ideologia, invece che ha un carattere classista, e l'ideologia incorpora ovviamente elementi manipolati della produzione filosofica e scientifica per inserirli in modo coerente (coerente, ma paranoico) nella propria funzione identitaria. I marxisti più rozzi generalmente identificano scienza, filosofia ed ideologia. I marxisti più sofisticati invece arrivano a capire che la scienza (teoria dell'evoluzione, genetica, meccanica quantistica, teoria della relatività, teorie dell'inconscio, eccetera) non ha un carattere classista, ma credono però che invece la filosofia ce l'abbia: ad esempio l'idealismo è borghese, il materialismo è proletario.

Deve essere chiaro, e tatuato a lettere di fuoco sul tenero culo di ogni lettore, che io non condivido queste sciocchezze. Solo l'ideologia è classista, la scienza e la filosofia non lo sono. Fine della digressione.

Per tornare a Sève, che pure era ancora uno dei migliori, ed infinitamente più serio e sistematico della maggioranza dei marxisti italiani cresciuti all'ombra di Togliatti, è evidente che questo razionalismo avrebbe prima o poi provocato una reazione. E la reazione venne. La reazione si chiamava Lacan, Deleuze, Guattari, Foucault. Chi vuole leggere una esposizione scolastica, ma sistematica, può utilmente rivolgersi a questo libro italiano (cfr. F. A. Cappelletti, Differenza e Potere, Franco Angeli, Milano 1984). Cento diligenti paginette, in cui ci sono però tutte le informazioni necessarie per capire le fonti di Toni Negri.

23. Fatte queste premesse metodologiche, possiamo ora esaminare prima la dinamica dell'operaismo italiano e poi quella dell'ideologia francese della differenza e del desiderio. Ci vuole memoria storica, e so perfettamente che essa manca. D'altronde, se essa non mancasse, non regnerebbe la grottesca confusione che regna oggi.



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