L'uomo modificato dal neoliberismo
Dalla riduzione delle teste all'alterazione dei corpi

 



di Dany-Robert Dufour



Nota introduttiva di Miguel Martinez

Questo articolo di Dany-Robert Dufour tocca un tema cruciale: come opporsi a un sistema che ha già superato "destra e sinistra", perché mescola ogni forma di immaginario, dallo scontro di civiltà al politicamente corretto, dalle fantasie apocalittiche americane al multiculturalismo integrativo?

A modo suo, questo sistema è necessariamente "rivoluzionario": una rivoluzione che implica trasformazioni incessanti, ma contemporaneamente l'aumento della disuguaglianza. Un sistema che non si pone come autoritario, ma "al servizio del cliente" che elogia, inganna e divora. E proprio per questo adopera come motto la parola libertà.

È questo che mette in crisi l'impalcatura storicistica della sinistra; che credeva in un progresso illimitato attraverso il capitalismo, che avrebbe esaltato le forze produttive fino al punto in cui i produttori stessi si sarebbero impossessati dei suoi meccanismi. Il proletariato avrebbe preso il posto della borghesia, come la borghesia aveva preso il posto dell'aristocrazia.

Ma questo parallelo si è dimostrato falso. I dominatori, affinati dall'incessante concorrenza, non sono affatto oziosi parassiti incapaci di creare nulla di nuovo; mentre il presunto proletariato non ha nulla dell'autonomia creativa che aveva la borghesia in passato. E "la borghesia" nel senso ottocentesco, con tutta la sua struttura culturale, non esiste più (Berlusconi non è certo un "borghese").

"Progresso" e "uguaglianza" non sono più sinonimi, ma richiedono una scelta; e ciascuna scelta ha il diritto, in qualche modo, di definirsi "sinistra". Giuliano Ferrara ha ottime ragioni quando si dichiara di "sinistra" (a volte lo fa), proprio perché è dalla parte delle "ineluttabili forze della storia", cioè dell'Impero; allo stesso tempo, è di "sinistra" ogni resistenza, anche se fatta in nome dell'Islam, all'ingiustizia dilagante. Io personalmente scelgo "libertà, uguaglianza, fratellanza" contro "progresso", e in questo senso mi ritengo di "sinistra", ma l'etichetta mi interessa poco.

Allo stesso modo, avrebbe ragione a definirsi di "destra", sia il gruppetto cattolico che non vuole la moschea sotto casa, sia chi genera il lavoro precario che importa immigrazione, cambia il volto delle città e annulla i rapporti sociali che stanno alla base di qualunque valore, "conservatore" o "progressista" che sia.

È necessaria per tutti una trasformazione radicale, che potrà essere incosciente o cosciente.

Potrà essere incosciente, là dove arroccarsi nel dogmatismo porta comunque alla radicale trasformazione di diventare settari e irrilvanti: i piccoli gruppetti, alcuni simpatici, altri insopportabilmente rancorosi, che invocano le "grandi masse". Mentre le masse vere si accalcano per andare in discoteca.

Purtroppo prevale quasi sempre il bisogno identitario di essere "popolo di sinistra", l'antiberlusconismo come metro di tutto, la scelta di prendersela con Forza Nuova prima che con le nuove forze che realmente ci minacciano.

Spesso la sinistra più si autodefinisce antagonista, più è identitaria e quindi più è debole di fronte alla straordinaria capacità che ha il sistema di manipolare contenuti progressisti: ad esempio laicismo, femminismo e anti-antisemitismo sono armi concettuali che permettono al dominio di stabilire il piano di discussione, in particolare sul Medio Oriente. Da qui nascono fenomeni piccoli, ma significativi, come i comunisti "antideutsche" in Germania, che vedono nell'Impero americano l'avanguardia della trasformazione mondiale in senso progresivo, vanno alle manifestazioni con bandiere israeliane per combattere la "reazione islamica" e affermano che ogni lotta sociale prima della grande rivoluzione planetaria è necessariamente locale, quindi nazionalista e quindi nazista.

Ed ecco l'impotenza, il rifiuto di schierarsi, di gran parte della sinistra sedicente antagonista in tutti i conflitti reali del nostro tempo che oppongono l'Impero a resistenze giudicate "poco progressiste", vedi Kosovo e Iraq. Ho sentito estremisti incalliti, gente che Pisanu definirebbe pericolosi sovversivi, predicare - dall'alto di minuscole torri d'avorio - che loro, in Iraq, non stanno né con gli americani, né con la resistenza, ma con "la classe operaia laica". I poveretti stanno parlando di un paese in cui non esiste più, forse, una sola fabbrica, e in cui l'unico impiego possibile è quello di fare il sicario collaborazionista....

Quasi sessant'anni fa, Theodor Adorno, nei Minima Moralia colse il nocciolo del problema di oggi. Ecco perché trovo molto bella una sua riflessione - io uso il termine "progressivo" in un altro modo, ma è chiaro che qui lui intende il concetto fondamentale di uguaglianza:

"Uno dei compiti principali di fronte a cui si trova oggi il pensiero è quello di impiegare tutti gli argomenti reazionari contro la cultura occidentale, al servizio dell'illuminismo progressivo".




Dany-Robert Dufour*


L'uomo modificato dal neoliberismo
Dalla riduzione delle teste all'alterazione dei corpi

Le monde diplomatique aprile 2005

Un altro "uomo nuovo", ecco quel che il mercato sta fabbricando sotto i nostri occhi. Distruggendo ogni forma di legge in grado di porre un freno alla merce, la deregulation neoliberista produce effetti in tutti i campi, non soltanto in quello economico. La stessa psiche umana è disturbata, sconvolta. Si moltiplicano le depressioni, i disturbi dell'identità, i suicidi e le perversioni. Come se al mercato non interessasse più l'essere umano in quanto tale. Per mezzo della clonazione e dell'ingegneria genetica, esige ormai la trasformazione biologica dell'umanità.

In L'art de réduire les têtes (1) avevo tentato di porre in evidenza la profonda riconfigurazione delle menti a opera del mercato. Dimostrarla è relativamente semplice: il mercato ricusa qualsiasi considerazione (morale, trascendente, trascendentale, culturale, ambientale...) che possa ostacolare la libera circolazione delle merci nel mondo.

Perciò il nuovo capitalismo cerca di smantellare ogni valore simbolico, a esclusivo vantaggio del valore monetario neutro delle merci. Poiché ormai non esiste più nulla al di fuori dei prodotti da scambiare, al loro puro e semplice valore mercantile, gli esseri umani devono sbarazzarsi di tutto quel di più culturale e simbolico che un tempo garantiva i loro scambi.

Un buon esempio della desimbolizzazione prodotta dall'estendersi del regno delle merci è quello delle banconote in euro. Come si può notare, sono scomparse le raffigurazioni dei grandi personaggi della cultura - da Pasteur a Pascal, da Cartesio a Delacroix, nel caso della Francia - che fino a ieri indicizzavano gli scambi monetari sul patrimonio dei valori culturali degli stati-nazione. Oggi, i vari tagli dell'euro non rappresentano altro che ponti, porte e finestre, a esaltazione di una fluidità deculturata. Siamo invitati a piegarci al gioco della circolazione infinita delle merci. Si può dunque dire che la legge del mercato tende a distruggere ogni forma di legge suscettibile di imporre vincoli alle merci.

Con l'abolizione di ogni valore comune, il mercato si accinge a fabbricare un inedito "uomo nuovo", decaduto dalla sua facoltà di giudicare (senz'altro principio che quello del massimo guadagno), spinto a godere senza desiderare (la sola salvezza possibile si trova nelle merci), formato a tutte le fluttuazioni identitarie (non esiste più il soggetto, ma solo soggettivazioni temporanee, precarie) e aperto a tutte le interconnessioni mercantili. Ci troviamo in presenza di un aspetto molto particolare della deregulation neoliberista, che purtroppo non è stata ancora ben compresa, ma che produce fin d'ora effetti considerevoli in tutti i campi, e in particolare sulla psiche umana. Alcuni psichiatri e psicanalisti stanno mettendo a punto un inventario dei nuovi sintomi causati da questa deregulation, quali la depressione, svariate forme di dipendenza, disturbi narcisistici, perversioni sempre più estese ecc.

Questa deregulation di nuovo genere provoca grande confusione negli attuali dibattiti. È infatti accompagnata da un sentore libertario, fondato sulla proclamazione dell'autonomia di ciascuno e su una tolleranza estesa a tutti gli ambiti sociali (compresa la morale sessuale) per farci credere che stiamo vivendo un intenso periodo di liberazione.

Visto che il vecchio patriarcato oppressivo è ormai alle corde, si vorrebbe credere all'avvento di una rivoluzione senza precedenti, dimenticando che è lo stesso capitalismo a tenere le fila di questa "rivoluzione", volta a favorire la penetrazione delle merci dove ancora non avevano stabilito il loro regno: nel campo dei costumi e in quello della cultura. Karl Marx, che non si era fatto ingannare da questa faccia "rivoluzionaria" del capitalismo, scrive:

"La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. Prima condizione di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l'immutato mantenimento dell'antico sistema di produzione. Il continuo rivoluzionamento della produzione, l'ininterrotto scuotimento di tutte le istituzioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti.

Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra e gli uomini sono finalmente costretti a considerare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti (2)".

Questa capacità di trasformare i rapporti sociali è stata portata al suo culmine da questo nuovo stato del capitalismo, a volte giustamente definito "anarco-capitalismo".

Questo sconvolgimento ha funzionato così bene che molti hanno avuto la tentazione di cogliere solo l'aspetto "libertario", "giovanile" e "in" di questa nuova forma, trovando nella conseguente evoluzione del costume un facile motivo di entusiasmo. La confusione è tale che molti si credono grandissimi rivoluzionari solo perché seguono passivamente il corso di questa deregulation culturale e simbolica: penso a quella parte della sinistra "in", tanto facile a entusiasmarsi per le cause che "fanno tendenza".

Ma è proprio questo l'obiettivo dell'anarco- capitalismo, che se non ama la "rivoluzione", favorisce però ogni forma di deregulation culturale e, come ben dimostrano tutti gli spot pubblicitari. La popolazione non ha mancato di intuire i gravi rischi potenzialmente insiti in questa deregulation dei simboli per la nostra stessa civiltà.

Ma il mercato riesce a strumentalizzare tutto a proprio vantaggio: già sono sulla breccia numerosi gruppi che vantano e vendono una morale da paccottiglia. Sarebbe però un errore cruciale abbandonare il dibattito sui valori ai conservatori, siano essi "neo" o di vecchio stampo. Se si trascura questo terreno, ad occuparlo provvedono George W. Bush, i tele-evangelisti e i loro accoliti puritani, come sta accadendo negli Stati uniti, oppure i populisti fascistoidi come in Europa.

È dunque urgente costruire una nuova riflessione sui valori, sul significato della vita nella società e sul bene comune, rivolgendosi a fasce di cittadini allarmati, sia pure confusamente, dai guasti morali dovuti all'espandersi indefinito del regno delle merci. È chiaro che se si trascura questo terreno, molti cittadini saranno tentati di lasciarsi trascinare dalla parte di chi lo occupa in maniera tanto abusiva quanto rumorosa.

Ma restringendo il dibattito a questi aspetti culturali si mancherebbe di cogliere l'intera portata della questione. È infatti evidente che la riconfigurazione delle menti è solo la prima fase di un meccanismo molto più ampio. In due parole, la "riduzione delle menti" e la soppressione dei simboli sono solo il preludio a una nuova e profonda ridefinizione dell'uomo, che stavolta prende di mira non solo la sua mente, ma il suo stesso corpo.

La "desimbolizzazione" interviene in un momento decisivo dell'avventura umana: per la prima volta nella storia del vivente una creatura riesce a leggere quella scrittura della quale essa stessa è espressione.

Con la chiusura di questo cerchio si è aperta la strada a un evento incredibile: la creatura potrà tornare alla creazione per rifare se stessa. In quest'istante la creatura interferirà nella sua propria creazione e ponendosi come creatrice di se stessa. Siamo dunque alle soglie del momento inconcepibile in cui una specie potrà intervenire sul proprio divenire, sostituendosi alle leggi naturali dell'evoluzione.

Tutto avviene come se l'esortazione umanista lanciata al Rinascimento da uno dei suoi grandi pensatori, Pico della Mirandola, fosse stata raccolta al di là di ogni misura. Contrapponendosi alle antiche forme di dominio assoluto del divino, Pico volle introdurre una parte di libero arbitrio umano; e incitò l'uomo a "scolpire la sua propria statua (3)". Quest'appello fu raccolto da tutta la filosofia successiva, che oggi potremmo considerare come uno sviluppo di lunghissimo respiro sul tema del libero arbitrio umano, dalla costruzione del cogito cartesiano al tema nietzschiano della morte di Dio, passando per l'ideale critico dei Lumi.

Ma l'uomo attuale sta oltrepassando quest'ideale. Di fatto, se effettivamente si sta accingendo a scolpire la propria statua, si potrebbe trattare di una statua vivente progettata per sostituirsi all'umano. Notiamo per inciso che un tale progetto di ridefinizione delle basi materiali dell'umanità implicherebbe, né più né meno, la fine della filosofia.

Il suo compimento presuppone infatti l'irrimediabile trasformazione dell'impresa di riformare lo spirito, rilanciata incessantemente fin dall'antichità (attraverso l'ascesi, la ricerca dell'autonomia, la rifondazione dell'intelletto) in un progetto puramente tecnicista di modifica del corpo. Ma a che pro guadagnare un corpo nuovo per perdere lo spirito?

E una questione tanto più importante da porre, in quanto già esiste un diffuso programma di fabbricazione di una "post-umanità". È un programma dissimulato, cui non si è data alcuna pubblicità. Difatti, non è il caso di spaventare la gente; ma soprattutto bisogna evitare di farle capire che la si fa lavorare all'abolizione dell'umanità, cioè alla propria cancellazione. Frattanto però il mondo vivente è stato a tal punto investito dal capitalismo, nella sua ricerca di nuovi spazi per le merci, che alcune delle possibili conseguenze per la stessa umanità hanno finito per filtrare dalle crepe del muro del silenzio.

Ad esempio un paladino del neoliberismo come Francis Fukuyama, che dopo la caduta del muro di Berlino preannunciò la "fine della storia", con l'avvento generalizzato delle democrazie neoliberiste, ha dovuto correggersi ammettendo che il trionfo del mercato non era l'ultimo episodio della storia umana: la fase successiva sarebbe la trasformazione biologica dell'umanità (4). Ma questa rivelazione è stata per lui solo un'occasione per incappare in un nuovo errore di valutazione.

Francis Fukuyama vorrebbe credere che a preservarci da quel fatale ingranaggio sarà il neoliberismo... il quale però di fatto ci sta spingendo proprio in quella direzione. Per lui, la democrazia di mercato sarebbe una condizione perfetta, se non fosse minacciata dallo sviluppo di alcune tecnologie: "Una tecnologia tanto potente da rimodellare ciò che noi siamo rischia senz'altro di avere conseguenze potenzialmente nefaste per la democrazia liberale (5)".

In questo non si può dargli torto: evidentemente, una volta eliminata l'umanità c'è un certo rischio che la democrazia giri a vuoto. Per evitare un tale periglio basterebbe, secondo Fukuyama, che "gli stati regolino politicamente lo sviluppo e l'uso della tecnologia". Una pia intenzione che non costa nulla, e consente all'autore di passare sottosilenzio il punto essenziale: di fatto, è lo stesso mercato a spingere lo sviluppo sconfinato delle tecno-scienze, le quali, in assenza di regole, ci trascinano in linea retta verso l'uscita: fuori dall'umanità.

Eppure la connessione è chiara: dato che il mercato comporta la fine di ogni forma di inibizione simbolica (cioè la fine dei riferimenti a qualsiasi valore trascendentale o morale, a vantaggio esclusivo del valore mercantile) restando in questa logica, nulla potrà impedire all'uomo di affrancarsi da ogni idea che pretenda di mantenerlo al suo posto, per uscire, non appena ne avrà i mezzi, dalla sua condizione ancestrale. Non è dunque la scienza da sola, come spesso di dice, a permettere la realizzazione di questo programma, bensì la scienza sommata agli effetti deleteri del mercato sui valori trascendentali.

Dobbiamo dunque porci il seguente interrogativo: esiste, nelle nostre democrazie post-moderne dove tutto si può dire, un'istanza politica per decidere se vogliamo questa mutazione? Nulla di meno certo.

Ora, l'assenza di una sede o di un'istanza del genere è gravida di conseguenze. Già si intravede dove potrebbe condurre il programma di fabbricazione di una post-umanità: direttamente verso la soglia di un'era di produzione di individui ritenuti "superiori" per aver eluso la procreazione, e di individui inferiori, adibiti a mansioni subalterne. L'esistenza, ormai banalizzata, di organismi geneticamente modificati dovrebbe metterci una pulce nell'orecchio: a breve termine potrebbe essere avviata la fabbricazione, per clonazione e modificazione genetica, di nuove varianti umane. Non è anzi da escludere che stiano per essere intraprese, o siano già in atto sperimentazioni in questa direzione.

Quando verrà quel giorno, saremo passati dalla post-modernità - un'epoca intasata dalla caduta degli idoli - alla post-storia. Se nessuno può prevedere come sarà, si può dire però fin d'ora ciò che non sarà.

Uno sviluppo del genere avrebbe infatti conseguenze inesorabili su cinque grandi topoi dell'umanità: fine della comune umanità, fine dell'usata fatalità della morte, fine dell'individuazione, fine degli arrangiamenti (problematici) tra i sessi, sconvolgimento della successione generazionale.

Il pericolo che minaccia il genere umano non è solo eugenetico: a breve termine è a rischio anche la pura e semplice conservazione e perpetuazione della nostra specie. Difatti, la sua conservazione non procede da sé, ma passa per tramiti simbolici e culturali. La spiegazione risiede nel fatto, riconosciuto da parte della ricerca paleo-antropologica, che l'uomo è concepibile come un essere a nascita prematura, incapace di raggiungere uno sviluppo germinale completo, e tuttavia in grado di riprodursi e di trasmettere i propri caratteri infantili, normalmente transitori negli altri animali.

A questo riguardo si parla della neotenia dell'uomo (6), vale a dire l'esigenza propria all'essere umano, non finito, a differenza degli altri animali, di completarsi al di fuori della sua prima natura, in una seconda natura che generalmente viene chiamata cultura. Si trovano molte cose in questa seconda natura: gli dei, i racconti, le grammatiche riferite a qualsivoglia oggetto del mondo (le stelle, i sassi, i microbi, la musica, la narrazione, il calcolo, la soggettività, la socialità...) un'intensa attività protesica (tutti gli oggetti che consentono a quest'animale non finito di abitare il mondo) e inoltre le leggi, i principi, i valori... Ora, se questo ambito viene danneggiato, se si confondono le leggi e i princìpi che lo governano, possiamo attenderci non solo effetti deleteri e livello sociale e individuale, ma anche una minaccia per la stessa specie - poiché più nulla avrà la legittimità necessaria per contrastare le manipolazioni volte a trasformarla, non appena se ne profili la possibilità.

L'essere addomesticato fin d'ora, nella stessa intellighentia si levano voci pronte ad accogliere la "buona novella" di una prossima mutazione dell'uomo. In particolare, il filosofo tedesco Peter Sloterdijk, che già si era reso celebre alla fine del 1999 per aver pronunciato, sull'altra sponda del Reno, una conferenza intitolata "Regole per il parco umano (7)" in occasione di un colloquio dedicato a Heidegger. Quella conferenza suscitò una grossa controversia, in particolare con Jürgen Habermas. I discorsi di questo "nietzschiano di sinistra" sembrano molto indicativi di come l'attuale deregulation simbolica possa confondere le idee.

In un'altra conferenza, tenuta a Centro Georges Pompidou nel marzo 2000 (8), lo stesso Sloterdijk ha ripreso - ma per rovesciarla - una tesi di Heidegger. Non è più vero che la tecnologia è "l'oblio dell'Essere", ma essa al contrario concorre ad "addomesticare l'Essere", in quanto maggiore attributo dell'uomo neotenico, che oggi è sulla via di riprodursi da sé. Come se la tecnologia fosse la sola conquista dell'uomo neotenico, Come se il quadro simbolico, fatto di prescrizioni e di divieti, non fosse mai esistito! Con simili premesse si giustificano in partenza tutte le possibili conseguenze della tecnologia. D'altronde, in questo discorso "disinibito" la deliberazione morale è così poco considerata che in definitiva la tecnologia rimane la sola a poter determinare un'etica. E non una qualunque, ma "l'etica dell'uomo maggiore", e come tale aperta alle "automanipolazioni biotecnologiche".

In questo discorso, l'etica consiste dunque nell'allontanare qualsiasi forma di esame morale. In questo modo l'uomo, che l'Essere ha tirato fuori da lui stesso, dovrebbe farsi carico di cambiare la propria condizione biologica per aprirsi alla molteplicità biologica (9).

All'uomo, nato insufficiente e divenuto un prodotto della tecnologia, non rimane allora più altro che portare quest'ultima alle sue estreme conseguenze. Il vecchio uomo dev'essere quindi ribattezzato "uomo primo" - termine in cui si intuisce un chiaro eufemismo di "primitivo" (come nel caso del "museo delle Arti Prime"): difatti è oramai ridotto ad essere un primitivo, a fronte degli uomini superiori prossimi venturi. Meglio evitare l'allucinazione di un ritorno dell'Essere nella funesta farsa storica del nazismo - è stato solo un deplorevole errore del mio caro maestro, sembra voler dire Sloterdijk. No, la vera estasi si presenta oggi, con l'arrivo dell'uomo superiore, quello vero, e già i suoi adulatori ne cantano le lodi e provvedono al servizio d'ordine per aprirgli la strada.

Ma questa strada è ingombra di "uomini primi": ecco qual è il problema.

Per il nostro profeta, il vecchio uomo primitivo è scaltro e costituzionalmente sordo - citazione testuale - al "potenziale generoso" della trasformazione "plurivalente". Peggio ancora: nel suo "antico egoismo", è capace solo di "esercitare il potere sulle materie prime" per "disporne" allo scopo di sottrarle ai cambiamenti promessi: dove si comprende che queste "materie prime" potrebbero essere lo stesso corpo umano.

Il "vecchio uomo" sarebbe ovviamente nient'altro che "l'uomo del risentimento", pronto a convocare "assembramenti" per "irreggimentare" le popolazioni disinformate e spingerle verso "falsi dibattiti su minacce incomprese, agli ordini di editorialisti lascivi"... Dunque, abbasso la vecchia "umanolatria", l' "isterismo antitecnologico" di chi si oppone a questo salto al quale l'Essere ci chiama - perché naturalmente in questa volontà di "trasformarsi attraverso l'autotecnologia" non c'è assolutamente "nulla di perverso"... Proprio per il loro carattere eccessivo, queste esternazioni di Sloterdijk sono di grande utilità, poiché consentono di comprendere che l'attuale disinibizione simbolica non è solo questione di liberazione del costume, o di uscita più o meno sofferta dal patriarcato. Di fatto, oggi l'abolizione dei divieti rivela che è tuttora in atto un vero e proprio progetto post-nazista volto a sacrificare l'umano. E questo progetto, lo sta portando avanti l'anarco-capitalismo, che rompendo tutte le regole simboliche consente alla tecnologia di avanzare da sola, fino a sconquassare l'umanità.

"Il discorso capitalista - come già aveva detto Jacques Lacan - è di un'astuzia pazzesca (...): funziona come un ingranaggio ben lubrificato, al massimo dell'efficienza. Ma per l'appunto, cammina troppo in fretta e lo si consuma. Lo si consuma tanto che finisce per consumarsi (10)".

Insomma, il vero problema del capitalismo è che funziona troppo bene. Tanto bene che un giorno finirà per consumare tutto: le risorse, la natura, tutto - compresi gli individui che lavorano al suo servizio.

Nella logica capitalistica, come già ha precisato Lacan, "agli antichi schiavi si sostituiscono uomini ridotti allo stato di "prodotti" (...) consumabili né più né meno degli altri (11)". Questa osservazione aiuta a comprendere che si devono intendere esattamente in questo senso, quanto mai minaccioso, le espressioni vagamente euforizzanti in uso in tutta la letteratura neoliberista: il "materiale umano", il "capitale umano", la gestione intelligente delle "risorse umane", o il "buongoverno legato allo sviluppo umano". L'anarco-capitalismo ha accreditato l'idea che dotarsi di leggi è crudele, tanto da sconfinare in una sorta di insopportabile masochismo.

E cinicamente taccia di puritanesimo oscurantista chiunque senta il bisogno di un supplemento d'anima. Va però ricordato che per i filosofi dei Lumi quali Jean-Jacques Rousseau o Immanuel Kant, il solo e vero senso della libertà è l'obbedienza alle leggi di cui ci siamo dotati. Di fatto, abbiamo bisogno di leggi giuridiche e morali vere, e non dei loro surrogati moralizzanti, per rendere infine giustizia e salvaguardare il mondo, prima che sia troppo tardi, nonché per preservare il genere umano minacciato da una logica cieca.

Ma intanto si stanno abrogando tutte le leggi - tranne quella del più forte. E se proseguiamo in questa direzione funesta, andremo incontro a una crudeltà ben peggiore dell'obbligo di osservare un insieme di leggi. La crudeltà sconosciuta di voler modificare questo corpo umano che ha alle spalle 100.000 anni, per tentare di raffazzonarne altri.


note:

* Directeur de programme al Collège international de philosopie, Parigi. Autore, tra l'altro, di: On achève bien les hommes, Denoël, Parigi, 2005.

(1) Dany-Robert Dufour, L'art de réduire les têtes - sur la nouvelle servitude de l'homme libéré à l'ère du capitalisme total, Denoël, Parigi, 2003.

(2) Karl Marx e Friederich Engels, Manifesto del partito comunista, trad. di Emma Cantimori Mezzamonti, Einaudi, 1962.

(3) Giovanni Pico della Mirandola [1463-94], Discorso sulla dignità dell'uomo a cura di Francesco Bausi, Ugo Guanda, 2003.

(4) Ne La fine della storia dieci anni dopo Fukuyama ribadisce il suo credo: "La democrazia liberale e l'economia di mercato sono le sole possibilità praticabili per le nostre società moderne"; ma riconosce ua lacuna nella sua concezione della fine della storia: "La Storia non può finire fintanto che le scienze e la natura contemporanee non giungano al loro termine. E noi siamo alla vigilia di nuove scoperte scientifiche, che per la loro stessa essenza aboliranno l'umanità in quanto tale". Le Monde, 17 giugno 1999.

(5) Cfr. Francis Fukuyama, L' uomo oltre l'uomo. Le conseguenze della rivoluzione biotecnologica, Mondadori, 2002.

(6) Si vedano i testi del grande antropologo americano Stephen Jay Gould: Questa idea di vita. La sfida di C. Darwin, Editori Riuniti, 1977, e Il pollice del panda, Editori Riuniti, 1983.

(7) Peter Sloterdijk, Règles pour le parc humain, Mille et une nuits, Parigi, 2000.

(8) Conferenza ripresa in una raccolta intitolata La Domestication de l'Etre, Mille et une nuits, Parigi, 2000. Da questo stesso testo sono tratte tutte le citazioni che seguono.

(9) In effetti questa diversificazione è già in atto: il settimanale americano Science, nel suo numero del 27 luglio 2001, riferisce che un'équipe americana è riuscita a impiantare cellule staminali umane in cervelli di feti di scimmia Macaco irradiata durante la dodicesima settimana di gestazione; con questo impianto si può arrivare alla creazione di scimmie antropoidi, dal cervello, per così dire, "umanizzato" meccanicamente.

(10) Jacques Lacan, " Conferenza all'università di Milano", 12 maggio 1972, inedita.

(11) Jacques Lacan, L'Envers de la Psychanalyse, Seuil, Parigi, 1991, sessione del 17 dicembre 1969, p. 35. (Traduzione di E. H.)


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