Di Valerio Evangelisti.
Questo articolo fa parte di un'antologia di articoli critici su Oriana Fallaci. Su questo sito abbiamo pubblicato anche i seguenti articoli di Valerio Evangelisti:
E' quasi impossibile sottoporre a una seria critica letteraria il libro di
Oriana Fallaci La forza della ragione, pubblicato dall'editore italiano
Rizzoli e, dopo il successo in patria, tradotto in molti paesi
occidentali. Non è un vero e proprio pamphlet: gliene mancano la
stringatezza e il rigore argomentativi. Non è di sicuro un saggio: i
materiali vi si accumulano senza ordine alcuno, le fonti sono dubbie,
fraintese o di seconda meno, le tesi di fondo non sono dimostrate né
dimostrabili.
E' certamente un'invettiva, però mal condotta. L'autrice,
che ci fissa con occhi gelidi dalla quarta di copertina e che, fin dallo
sguardo, parrebbe pronta a impartire al mondo occidentale una severa
lezione, tende di continuo a divagare, a saltare da un tema a un altro, ad
affastellare riferimenti disparati fino a perdere il filo del discorso.
Talora addirittura sembra tentennare, balbettare, quasi che, tradita dalla
foga, abbia scordato di cosa sta parlando. In quel caso o chiude il
capitolo, o passa a ragionamenti completamente diversi: i primi che le
passano per la mente. Per sua fortuna una struttura così pencolante ha un
proprio cemento che la tiene in piedi a forza: l'identità del Nemico. Il
quale Nemico è rappresentato dall'Islam, dal mondo arabo, dagli arabi in
genere, senza alcuna differenziazione al loro interno. Lo scopo di costoro
- di tutti costoro - è facilmente riassumibile: vogliono conquistare
l'Europa e soggiogarla. Non solo: intendono distruggerne completamente la
civiltà, per edificare sulle sue macerie, sui suoi monumenti abbattuti,
sulla sua cultura dispersa, un dominio infernale e belluino, concepito da
pastori analfabeti. Scopo che l'autrice, bontà sua, definisce stolto:
Ciò si sarebbe saldato, in un unico piano diabolico, alle azioni
terroristiche dei gruppi integralisti, con la complicità di fatto delle
sinistre europee e di settori cattolici malati di troppa tolleranza. Il
risultato sarà un'Europa irta di minareti e popolata da donne rese
schiave. Per fortuna l'America di Bush, rimasta immune dalla tragedia in
corso, veglia e impartisce dure lezioni ai musulmani ogni volta che alzano
la testa. Occorre però che gli europei affianchino l'alleato, in quella
che sempre di più appare come una nuova guerra di liberazione. Ieri il
nazismo, oggi l'Islam.
Forse è dare troppa importanza alla Fallaci, ma leggendo La forza della
ragione il pensiero corre al Mein Kampf di Hitler. Un testo che, ai giorni
nostri, pochi hanno letto, proprio perché non era fatto per essere letto:
piuttosto era fatto per essere sfogliato. Rigore logico quasi assente,
strutturazione nulla, un continuo divagare, base scientifica o conoscitiva
ridotta a zero. Solo alcune idee forti erano ripetute di continuo, per
catturare l'attenzione del lettore distratto.
Più che di idee si trattava
di immagini: l'Ebreo (poco importava se ricco o povero, se credente o
agnostico, se comunista o nazionalista) quale portatore di malattie
misteriose e segrete, di marciume biologico, di potere contaminante. Al
punto che tra Ebreo e malattia non vi era più differenza: tutta la genia
era di volta in volta la piaga e il suo pus, che l'igiene imponeva di
eliminare d'un colpo solo. Era questa l'idea destinata a restare in mente
al lettore che scorresse anche solo una pagina su cinque. Non dissimile è
il procedimento della ripetizione ossessionante del medesimo concetto, tra
un fiume di parole alla deriva, messo in atto da Oriana Fallaci. Anche il
lettore disattento, letto il suo libro, farà l'amalgama tra musulmani di
ogni età e condizione (riuniti in un'unica figura, l'Arabo, quale che sia
il paese di provenienza, inclusi la Somalia e l'Iran) e il complotto
perverso di cui sono portatori, pari per origine remota e crudeltà di
intenti a quello contemplato dai Protocolli dei Savi di Sion.
Il
conducente algerino della metropolitana di Parigi, il medico siriano
assunto da una clinica di Ginevra, il giovane somalo che studia in Italia,
l'operaio turco di un'officina belga si trovano a loro insaputa, in quanto
musulmani, partecipi di un complotto che ha per capo Bin Laden, e per fine
l'abbattimento della Tour Eiffel.
Argomenti a sostegno della tesi? Oh, i
più vari. Si va dalla strage dei cristiani di Costantinopoli per mano di
Maometto II, nel 1453, al martirio del nobile veneziano Bragadin, nel
1571; dall'obbligo (inventato di sana pianta) dei cristiani di Granada di
inginocchiarsi al passaggio di un qualsiasi musulmano alla pratica
dell'infibulazione, presentata quale portato naturale dell'Islam e non,
malgrado la sua localizzazione africana, quale frutto esecrabile di
tradizioni preesistenti. Inutile aggiungere che questo condensato
strumentale di storia del mondo arabo, racchiuso nella prima metà del
capitolo 1, omette di menzionare il trattamento che i crociati riservarono
ai musulmani quando riuscirono ad avere la meglio, o quello che, dopo la
riconquista di Granada, l'Inquisizione destinò ai medesimi, anche nel caso
in cui avessero rinunciato alla loro fede.
Ma è inutile perdere tempo in
una discussione storiografica. Oriana Fallaci strumentalizza la storia, di
cui conosce poco e della quale non le importa nulla, solo a sostegno dei
due temi che le stanno a cuore. Il primo: espellere gli immigrati di
religione musulmana dall'Europa. Il secondo: sostenere con motivazioni,
sia razziali che culturali, la politica offensiva degli Stati Uniti di
Bush e dell'Israele di Sharon. Per questo ha composto il proprio libello,
spesso confuso e a tratti delirante. Si tratta del tipico libro destinato
a chi non legge libri: chiunque abbia una conoscenza anche minima dei temi
che vi sono affrontati, capisce immediatamente che l'autrice non ne sa
nulla, e che colma con la bile vuoti culturali impressionanti. Ciò sfugge,
ovviamente, a chi sia digiuno di tutta la tematica. Infatti è
significativo che, non solo in Italia, La forza della ragione sia finito
nelle magre biblioteche di un pubblico che, normalmente, evita le
librerie. Il volume della Fallaci esce dunque dall'ambito
storico-letterario, in cui non esiste, per entrare in quello
politico-sociologico. Perché mai, è il quesito, decine e forse centinaia
di migliaia di italiani hanno comperato un testo tanto vacuo da sfiorare
il ridicolo?
Fino agli anni '80 del secolo appena trascorso il razzismo era, in Italia,
fenomeno non certo sconosciuto, ma tutto sommato marginale. Apparteneva
sostanzialmente al bagaglio ideologico dell'estrema destra, a quel tempo
molto minoritaria. Non apparteneva invece alle coscienze dei cittadini, se
non in quella sua variante che induceva molti italiani del nord a guardare
con disprezzo quelli del sud, ritenuti incivili e abbarbicati a una
cultura arretrata. In quegli anni non solo un libro come La forza della
ragione avrebbe fatto scandalo, ma nessun grande editore avrebbe accettato
di pubblicarlo. La Fallaci, e anche alcune forze attualmente al governo,
addurrebbero a ciò una facile spiegazione mille volte ripetuta. A loro
parere, tutta la cultura italiana subiva l'egemonia del partito comunista
e della sinistra in genere, che di fatto governavano il paese.
Spiegazione
che fa sorridere, se si pensa all'influenza che la cultura americana e il
Vaticano esercitavano in Italia, in una misura non comparabile con nessun
altro paese europeo. La verità è che, perché il razzismo divenisse
fenomeno "normale" nella penisola, e se ne potesse fare aperta professione
senza suscitare reazioni, erano necessari cambiamenti profondi a livello
strutturale, tali da riflettersi in ambito culturale e politico. A mio
parere, ciò è consistito principalmente in un rafforzamento molto rapido
dei ceti medi, giunti, nel corso degli anni '80 e '90, a conquistare una
consapevolezza di se stessi mai avuta prima, e a una larga autonomia
rispetto a scelte e valori della grande borghesia, a cui erano stati fino
a quel momento subalterni.
In Italia, nel periodo considerato, è avvenuta
una sorta di "rivoluzione sociale" analoga a quella operata da Margaret
Thatcher in Gran Bretagna. Si inizia con una rivolta dei quadri di
fabbrica contro i sindacati operai; si prosegue con un sostanziale invito
ad arricchirsi rivolto alla piccola e media borghesia dal leader
socialista Bettino Craxi, negli anni in cui questi è Presidente del
Consiglio; si completa il processo sotto i governi di centrosinistra degli
anni '90, quando l'esortazione ai ceti medi ad abbandonare il tradizionale
risparmio in titoli di Stato per gettarsi sul mercato azionario fa sorgere
dal nulla fortune ingenti. Vi è molta tolleranza, specie nel periodo
Craxi, verso l'evasione fiscale di piccoli imprenditori e negozianti; e
sono soprattutto le piccole imprese del nord a beneficiare di una
protratta svalutazione della moneta, che favorisce l'esportazione delle
merci da loro prodotte.
L'arricchimento dei ceti medio-bassi, blanditi un
po' da tutte le forze politiche e liberi ormai di accedere ai beni un
tempo riservati alla grande borghesia, fa emergere la cultura di cui sono
portatori, grazie anche al crescente controllo che ormai possono
esercitare sui mezzi di comunicazione. Non è una cultura raffinata, né di
radici antiche. Il suo fulcro è l'egoismo, rivolto sia contro
l'egualitarismo di cui la sinistra è paladina (peraltro sempre più
debolmente), sia contro ogni altra forma di solidarietà o di ingerenza
dello Stato nella vita economico-sociale. Gli intellettuali, che in Italia
raramente hanno brillato per anticonformismo, si adeguano in fretta.
Interi capitoli di storia vengono riscritti, da quello della resistenza al
fascismo, presto criminalizzata, alla rivalutazione delle imprese
coloniali. Se c'è necessità di supporti ideologici più forti, li si pesca
nell'integralismo cattolico più retrivo, che ormai condiziona numerosi
vescovi e cardinali, oppure in frammenti di pensiero post-fascista - il
tutto riverniciato e spacciato per "liberalismo", il termine più abusato
sia nella politica che nella cultura. In realtà, questo cocktail di
concezioni disparate non costituisce affatto un'ideologia. Rappresenta
piuttosto la legittimazione a posteriori dell'individualismo dei ceti medi
arricchiti di recente. La sua portata filosofica si riassume in due sole
frasi: chi ha forza e denaro è autorizzato a tutto; chi non ne ha, deve
guardarsi dall'intralciarlo o dal chiedere la sua solidarietà.
Mentre in Italia dilaga la concezione del mondo sommariamente descritta,
iniziano le ondate di immigrazione in massa dai paesi più vicini,
devastati da crisi economiche o da guerre: Albania, Maghreb, paesi
dell'Africa centrale, paesi dell'Europa orientale. Nessuno ha più gli
strumenti culturali o economici per analizzare il fenomeno, né la volontà
di farlo. La reazione è invece di timore e, di conseguenza, di odio. Non
esiste forse già un pensiero dominante che glorifica il potente e
colpevolizza il debole? E chi è più debole di un immigrato in cerca di
lavoro?
Come in altri paesi d'Europa, in Italia si addossano alla nuova
immigrazione tutti i crimini commessi nel paese, sebbene la larga
maggioranza dei nuovi venuti chieda solo di lavorare, e si presti ad
attività che la popolazione locale rifiuta. L'immigrazione stessa, prima
con i governi di centrosinistra, poi soprattutto con quello di
centrodestra di Silvio Berlusconi (il cui partito è affiancato da forze
post-fasciste e xenofobe), diventa un crimine, e gli stranieri in attesa
di espulsione sono chiusi in veri campi di concentramento.
Ciò è comune ad
altri paesi europei, dicevo. Quasi solo in Italia, però, l'odio nei
confronti dell'immigrato finisce per ammantarsi di un'ideologia capace di
nobilitarlo. Ciò non ad opera di piccole formazioni di estrema destra dal
peso politico scarso, bensì per mano di giornalisti e intellettuali che
godono di vasta popolarità.
Poiché una larga parte degli immigrati sono di
religione musulmana, l'attentato alle Twin Towers ha offerto l'argomento
che mancava. La tesi dello "scontro di civiltà" sostenuta dai
neoconservatori statunitensi è stata involgarita, caricata di razzismo,
saldata al pensiero egoistico dominante. Mentre alcuni vescovi
scoraggiavano i matrimoni tra cattolici e musulmani e accusavano questi
ultimi di volere imporre la loro religione (sebbene nessun italiano possa
dire di essere stato accostato da un musulmano interessato a convertirlo),
su molti giornali penne autorevoli amalgamavano tutto l'Islam alle
correnti integraliste, lo volgevano in caricatura, rievocavano episodi
storici dimenticati da secoli.
Finché, a coronamento di tutta la campagna,
non sono intervenuti i libri di Oriana Fallaci a riassumere l'ignoranza
sparsa a piene mani, fino a quel momento, da una piccola ma agguerrita
schiera di seminatori di odio. C'è da chiedersi quali conseguenze possa
avere, nella vita sociale, un testo come La forza della ragione. Non
molta, direi, anche se il suo successo è di per sé inquietante. La società
italiana contiene per fortuna numerosi anticorpi. Le manifestazioni contro
l'invasione dell'Iraq hanno visto sfilare milioni di giovani, più di
quanto sia accaduto in ogni altro paese occidentale. La solidarietà con
gli immigrati resta più alta di quanto le forze xenofobe si augurerebbero.
Il livore contro i musulmani resta limitato a settori di cittadini molto
circoscritti, e comunque, per quanto alimentato da operazioni di polizia
spesso arbitrarie, non è avvertito come fattore di guerra di civiltà o di
religioni. La stessa Fallaci è fatta oggetto di scherno, che cresce a ogni
sua rara apparizione. E' però l'ideologia dell'egoismo, ormai non più
sorretta da fattori materiali, che deve essere abbandonata. Fino a quel
momento, esisterà l'intolleranza e brutti libri come La forza della
ragione troveranno lettori.
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