Centoventi anni dalla morte di Karl Marx (1883-2003)

Un’occasione per una discussione a tutto campo e per una proposta di autoconvocazione

II parte

 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve è stato diviso in sette parti, più un'introduzione.

All'introduzione

Alla parte precedente

Alla parte successiva




2. L’impossibilità di un “ritorno al vero Marx”

Nel 1983 era già chiaro che un “ritorno a Marx” di tipo salvifico era impossibile, ed era inoltre una parola d’ordine religiosa, come se Marx fosse stato il fondatore di una nuova religione ateo-umanistica e non uno studioso comunista della realtà capitalistica. Ogni “ritorno a Marx” è sempre e solo una interpretazione di Marx storicamente determinata, ed il “marxismo” vive esclusivamente nella forma del conflitto fra formazioni ideologiche marxiste in competizione. Certo, è possibile un serio accertamento filologico di ciò che Marx ha veramente scritto, ma questo prezioso accertamento filologico non risolve il problema della dinamica di sviluppo delle conoscenze e delle azioni intraprese alla luce del pensiero di Marx.

L’ortodossia è qualcosa di impossibile sia sul piano dei contenuti che sul piano del metodo. Sul piano dei contenuti perché è chiaro che il modello astratto (e relativamente costante) del modo di produzione capitalistico si specifica storicamente in società capitalistiche diversissime, e lo stesso Marx nel 2003 non potrebbe dire le stesse cose che ha detto nel 1863. In questo senso i settari fondamentalisti di tipo bordighista sono i più lontani  dallo stesso Marx. Ma anche sul piano del metodo è impossibile concordare su quale esattamente sia il “metodo”, e questo non solo per i disaccordi metodologici fra marxisti (metodo anti-hegeliano per Della Volpe e Althusser, metodo filo-hegeliano in Bloch e Lukács, ecc.), ma anche per una ragione ancora più importante, e cioè per il fatto che ad ogni variazione “contenutistica” della società capitalistica deve variare anche il metodo per analizzarla, data la profonda omogeneità fra forma e contenuto.

L’impossibilità di una ortodossia del “vero Marx” non significa però neppure arbitrarietà assoluta nell’interpretazione, per cui, per dirla alla Feyerabend, everything goes, tutto va bene. Non è così. Marx non è una casa arredata in cui si possa andare ad abitare godendoci tutto il mobilio già messo a posto, ma un cantiere in costruzione. Questo cantiere è stato a sua volta costruito per cambiare casa e progettare un insieme di nuove abitazioni, fuor di metafora per non abitare più nel capitalismo ed andare ad abitare nel comunismo. Non è dunque convincente la posizione di chi pensa che la “scienza marxista”, o meglio l’uso dei suoi concetti portanti (modo di produzione, forze produttive, rapporti di produzione, ideologia) possa essere esercitata anche da chi non è comunista, ed accetta cioè l’orizzonte economico, politico e morale del capitalismo.

Non c’è dunque marxismo senza comunismo, anche se ovviamente il problema è sempre “quale marxismo” e “quale comunismo”. Questa può sembrare un’ovvietà, ma non lo è per nulla. Esiste un “marxismo della cattedra” da più di un secolo che vive programmaticamente sulla scissione fra l’applicazione “pura” della teoria marxista (o presunta tale) ed eventuale adesione sentimentale o etica al comunismo. Questo presunto “marxismo” è quasi sempre una forma di scientismo, perché si basa sull’assunto che come si può praticare la stessa fisica e la stessa chimica anche se si è di destra, centro o sinistra, nello stesso modo si può praticare la scienza marxista sia se si è antimperialisti sia se si è favorevoli all’impero globalizzato americano.

Ritorno a Marx vuole allora dire questo: le categorie “scientifiche” che noi usiamo non vengono dal nulla o da una operazione di astrattizzazione priva di intenzionalità politica, sociale ed etica, ma vengono costruite in un contesto teorico condizionato da queste intenzionalità. Traducendo quanto ho appena detto nel linguaggio della storia recente della filosofia occidentale ne risulta che l’impostazione della fenomenologia di Husserl (che tiene conto dell’intenzionalità) è migliore dell’impostazione del positivismo di Comte e dei suoi successori (che non tiene invece volutamente conto della intenzionalità).

Con questo il problema non è certamente risolto, ma almeno è impostato evitando la trappola dell’illusione scientistica che sogna un marxismo che abbia lo stesso statuto epistemologico delle scienze della natura moderne (Galileo) oppure delle scienze sociali moderne avalutative (Max Weber). Il marxismo non può avere né uno statuto di scienza naturale né uno statuto di scienza sociale avalutativa. Solo in questo può consistere un ragionevole ritorno a Marx, e solo da questa consapevolezza possiamo aspettarci una comprensione di fondo della storia conflittuale del marxismo successivo.




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