41. Scritti a cavallo fra gli anni Venti e gli anni Trenta, i Quaderni dal Carcere di Gramsci fanno a mio avviso integralmente parte della stagione del marxismo occidentale e dunque della seconda fase di sviluppo della filosofia marxista (1914-1931). Di questo non esiste una percezione storiografica sufficiente, perché i Quaderni, rimasti inediti, furono solo pubblicati nel 1947, e per di più secondo una interpretazione "autorevole" di Palmiro Togliatti. In realtà la parte filosofica dei Quaderni si iscrive nello stesso clima culturale delle opere di Lukàcs e Korsch, quello di una nuova fondazione filosofica autonoma del marxismo.
Personalmente, sono un ammiratore del lavoro filosofico di Gramsci. Considero settarie le critiche di Amadeo Bordiga al carattere "idealistico" del suo marxismo. La filosofia della prassi che Gramsci propone, basata sulla specificità ontologica dell'essere sociale rispetto a quello naturale, è dunque implicitamente un'ontologia dell'essere sociale, incompatibile con ogni tipo di materialismo dialettico. Bravo Gramsci. Gramsci critica Bucharin in modo assolutamente impeccabile. La sua critica a Croce di essere un "intellettuale organico" della borghesia italiana è ideologicamente corretta, anche se filosoficamente vuota.
Personalmente, non credo agli intellettuali detti "organici", ma solo agli intellettuali capaci, creativi ed intelligenti ed agli intellettuali incapaci, sterili e stupidi. I filosofi per me sono come i medici e gli ingegneri. Ci sono quelli capaci e quelli incapaci. Devo ammettere, però, di non credere nella classe operaia come classe generale portatrice dell'ordine nuovo, mentre invece Gramsci ci credeva. Ma Gramsci era un'aquila, ed il modo in cui oggi è dimenticato è altrettanto vergognoso del modo in cui era incensato negli anni Settanta come ispiratore del compromesso storico e precursore dell'eurocomunismo. Ma qui c'è sempre il solito viziaccio dell'uso strumentale ed ideologico di un pensatore.
42. Il terzo periodo della storia della filosofia marxista va dal 1931, anno in cui l'interpretazione di Stalin del materialismo dialettico viene imposta con un decreto del comitato centrale del PCUS, al 1956, anno del XX congresso de PCUS e della destalinizzazione. Il solo filosofo che prenderò in considerazione sarà allora Stalin. Lo Stalin filosofo è estremamente interessante, per il fatto che egli solo ha saputo portare alle sue estreme conseguenze coerenti un certo modo (a mio avviso radicalmente errato) di fare filosofia. Chi critica Stalin accogliendone i presupposti finisce con il girare in tondo come una trottola e per fare perdere solo tempo a sé ed agli altri.
43. Stalin, con geniale radicalità, realizza integralmente l'equazione fra spazio della filosofia e spazio dell'ideologia. Così facendo non "revisiona" nulla, ma semplicemente porta a coerente compimento una tendenza precedente. Marx non ne è l'iniziatore, perché per lui lo spazio dell'ideologia è lo spazio della falsa coscienza classista, spontanea o organizzata, cui si contrappone la scienza, e solo la scienza. Ma Engels e Lenin avevano già fatto qualcosa del genere, seppure in modo più soft. Se il marxismo è la "concezione del mondo" del proletariato, ne è anche l'ideologia, ed allora ne è anche l'ideologia, ed allora ne è anche la filosofia. Si tratta di una catena di significati che cade inevitabilmente a cascata.
Il lettore potrebbe chiedersi: va bene, ma che cosa c'è che non va? Lo diciamo subito. Il fondatore della tradizione filosofica, l'ateniese Socrate, ha fondato lo spazio filosofico come spazio dialogico veritativo che ha i comportamenti individuali, sociali e politici come suo oggetto privilegiato. Uno spazio dialogico significa che non ci può mai essere per principio una ideologia sola, ma un minimo di due filosofie, che in realtà sono poi sempre molte di più. Il marxismo non deve dunque ambire alla sua unica filosofia, la sola finalmente bellissima e tutta giusta. Quella non la produrrà mai nessuno, né Engels, né Althusser, né Lukàcs, né tantomeno il povero Preve (lo dico ai miei eventuali anche se inesistenti ammiratori). Il marxismo dovrebbe perseguire non il suo codice filosofico unico stupendo ed identitario (solo l'ideologia è identitaria), ma il suo spazio dialogico veritativo, cui deve riconoscere però valore conoscitivo.
Una filosofia unica rappresenta la sublimazione della pratica della masturbazione trasferita nel mondo rarefatto delle opinioni. Non nego che la masturbazione possa soddisfare o dare piacere, ma è sicuro che da essa viene solo sterilità. Una filosofia identitaria, equiparata ad una ideologia di appartenenza militante (il "fronte filosofico", eccetera), si specchia narcisisticamente nella propria autosufficienza. La principale conseguenza di questa concezione della filosofia è l'estrema violenza e la settaria bellicosità nei comportamenti quotidiani di coloro che si sentono soldati di un "fronte filosofico" proletario e comunista contro i nemici di ogni tipo. Ogni posizione diversa non viene percepita come un dato dialogico di confronto, ma come il segnale di un tradimento in potenza o in atto. Personalmente, potrei raccontare con particolari esilaranti decine di scenette di questo tipo. Ho visto distinti signori comportarsi come dei pazzi. Che cosa dire quando si ha a che fare con pazzi? Ricordando qui una frase sublime del pittore surrealista Salvador Dalì, dirò: "La sola differenza fra me e un pazzo è che io non sono pazzo".
44. Il materialismo dialettico di Stalin non ha come riferimento il Capitale di Marx, ma la Dialettica della Natura di Engels, pubblicata in URSS nel 1925. Si tratta di appunti inediti per uso personale, di cui Engels aveva sconsigliato la pubblicazione. In quest'opera si parla di tre leggi generali della dialettica presenti nel mondo naturale e sociale, che vengono così ontologicamente unificati su una comune base materialistica. La rivoluzione sociale, di cui vengono riconosciuti i tratti specifici, è così integralmente assimilata ad un processo di storia naturale. Con grande intuito georgiano Stalin coglie subito la necessità di questa fondazione teorica del comunismo, e questo per un insieme di ragioni, di cui qui ne ricorderò soltanto tre.
In primo luogo, dopo il 1929 e la comunistizzazione integrale sia delle campagne che delle città, Stalin capisce bene che il marxismo deve sostituire integralmente non solo l'ideologia borghese urbana, ma anche la religione popolare ortodossa, e rilancia il cosiddetto "ateismo scientifico". Dio deve essere integralmente sostituito dalla Materia, di cui i comunisti sono i nuovi sacerdoti scientifici. Non si tratta tanto di spiegare che Dio non esiste, eccetera, alla luce dell'astrofisica e della teoria darwiniana, eccetera. Questi sono dettagli. Si tratta di liberare ogni spazio possibile della coscienza individuale e collettiva da qualsiasi altra istanza di riferimento etico e politico estraneo al Partito. Per questo l'iscrizione al Partito è chiusa ai cosiddetti "credenti". Un credente nel Partito deve crederci al 100%, e se crede anche in Dio, Allah o Budda potrebbe credervi solo al 90%. Si presti bene al punto simbolico decisivo: l'unicità ontologica della Materia, e la sua unitarietà naturale e sociale, sono soltanto la proiezione simbolica omogenea dell'unicità etico-politica del Partito. Io personalmente non credo egualmente alla teoria detta del totalitarismo, ma questo non certo perché Stalin non lo volesse (lo voleva, eccome), ma perché la coscienza umana non lo consente proprio per il suo carattere plastico e reattivo. Se gli umani fossero eguali agli animali ed agli organismi cibernetici, come sostiene Antonio Negri, questo sarebbe possibile, ma però questo non è, ed ogni progetto di questo tipo fallisce.
In secondo luogo, Stalin voleva l'unità dell'essere naturale e sociale per una ragione semplicissima, che tutti gli autisti, i barbieri, i bidelli e gli elettricisti conoscono. Solo i professori universitari di scienze sociali, e neppure tutti, credono che esistano veramente le scienze sociali. Per le persone normali che parlano solo di calcio le uniche "scienze" sono le scienze "dure", quelle della matematica e degli esperimenti. Alle altre si finge solo di credere per quieto vivere. Stalin conosce benissimo questo approccio proletario alla realtà, così come sa bene che il popolo ha bisogno di simboli materiali concreti, e fa mummificare Lenin così come i fedeli vogliono vedere le stimmate di Padre Pio. Io ho sempre trovato geniale questa sensibilità popolare di Stalin, che lo portava a capire che il comunismo doveva diventare una scienza come la matematica a doveva vedersi e toccarsi nella mummia del suo fondatore.
In terzo luogo, infine, Stalin sapeva perfettamente che prendeva ed avrebbe dovuto prendere continuamente decisioni soggettive, arbitrarie, tattiche e per nulla scientifiche, e che appunto per questo motivo avrebbe dovuto "rovesciarle" dialetticamente nel loro contrario, cioè in applicazioni diligenti di una teoria scientifica. Più c'è arbitrio, e più bisogna dire che è scientifico. Meno c'è Strategia, e più bisogna dire che la Tattica è l'unica e sola Strategia possibile. Stalin, questo autodidatta geniale, ha creato così il DNA di milioni di comunisti con poche regole teoriche, semplici e chiare. Assolutamente ammirabile. Ma il fatto che la muraglia cinese sia l'unico manufatto umano che si vede dalla luna non significa che non sia stata costruita sugli scheletri di milioni di lavoratori forzati.
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