Proposta di interpretazione, metodologia e periodizzazione per la storia della filosofia marxista
(1839-2002)

XIV e ultima parte
 



Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve, apparso per la prima volta sulla rivista Praxis è stato diviso in quattordici parti.

Alla prima parte




50. In Occidente le due tendenze filosofiche marxiste rinnovatrici più importanti furono la nuova epistemologia di Louis Althusser e l'ontologia dell'essere sociale del vecchio Lukàcs. Entrambe erano incompatibili con la sintesi staliniana del terzo periodo. In subordine possiamo anche ricordare subito anche le proposte filosofiche di Jean-Paul Sartre e di Herbert Marcuse.

51. Nel 1960, con la sua Critica della Ragione Dialettica, Sartre cercò di costruire una sorta di "grammatica" teorica delle contraddizioni del progetto comunista. All'origine di ogni processo rivoluzionario secondo Sartre ci sta l'aggregazione di individui precedentemente isolati che si aggregano in un "gruppo in fusione". Questi gruppi in fusione si strutturano sulla base del conseguimento di una finalità-progetto. Ma questa finalità-progetto è minacciata dalla serialità anonima della sua riproduzione, che Sartre definisce il "pratico-inerte". Questa è la radiografia della malattia mortale del progetto socialista.

Sartre, senza probabilmente rendersene conto, forniva la grammatica teorica adatta ai nuovi gruppi di tendenza trotzkista o maoista. Ma a mio avviso sbagliava il suo bersaglio. Egli fondava, o rifondava, il progetto socialista sulla eccezionalità dei gruppi in fusione e delle finalità-progetto, laddove il vero problema del socialismo non è l'eccezionalità, o l'emergenza, ma proprio al contrario è la quotidianità, o la normalità. Seguendo Max Weber, diremo che il socialismo non ha mai saputo secolarizzare e razionalizzare in comportamenti quotidiani diffusi il suo originario contenuto messianico. Le emergenze rafforzano il socialismo, è la quotidianità che lo distrugge. Ma questo deve spingerci ad una rivoluzione teorica molto più profonda di quella che a suo tempo Sartre immaginava.

52. Herbert Marcuse ha fatto a mio avviso parte della storia della filosofia marxista, a differenza di quanto avvenne per altri esponenti della Scuola di Francoforte. Adorno ha praticato un'autocritica immanente del pensiero liberale, e come ha detto un suo allievo, non ha mai saputo "congedarsi dal suo congedo". Horkheimer ha incarnato la parabola classica del pensatore borghese, rivoluzionario ed ottimista a vent'anni e conservatore e pessimista a sessanta. Marcuse ha invece cercato di integrare al progetto filosofico di Marx anche Hegel e Freud, dando di Hegel una interpretazione intelligentissima e a tutt'oggi insuperata, e dando di Freud una lettura anti-autoritaria e dialettica di grande fascino. A mio avviso, Marcuse continua ad essere un pensatore assolutamente attuale.

53. L'ontologia dell'essere sociale dell'ultimo Lukàcs era in grado di metabolizzare tutte le contraddittorie esperienze della seconda e della terza fase della storia del marxismo, di fare il bilancio degli errori e delle illusioni, ed infine di cogliere il punto essenziale della questione, la rinuncia ad ogni inesistente fondazione "naturalistica" del comunismo. Nel capitolo quinto di questo libro questo progetto filosofico verrà analizzato in dettaglio, e possiamo risparmiare qui lo spazio. È invece utile richiamare qui il probabile motivo per cui non venne assolutamente presa in considerazione dal movimento comunista ufficiale, che la lasciò alla discussione specialistica di alcuni appassionati.

L'ontologia dell'essere sociale dell'ultimo Lukàcs non osava giungere fino al punto di dichiarare l'esistenza di uno spazio conoscitivo specifico per la filosofia (e lo limitava infatti ai tre rispecchiamenti quotidiano, scientifico ed estetico), ma la direzione di sviluppo che stava prendendo portava di fatto ad una separazione di principio fra spazio filosofico e spazio ideologico. Ma questa separazione è intollerabile ed irricevibile per un movimento che basava la sua identità su di un'ideologia e che sarebbe morto con l'esaurimento di questa ideologia. Piuttosto di curarsi, il malato sospettoso ha rifiutato di prendere una medicina che pure gli avrebbe fatto bene. Bisognava saltare dalla roccia dell'ideologia identitaria per tuffarsi nel mare del dialogo filosofico veritativo. Un movimento storico in dissoluzione irreversibile non poteva farlo.

54. L'insieme delle proposte filosofiche di Louis Althusser non aveva forse il respiro e la "lunga durata" di quelle di Lukàcs, ma non c'è dubbio che esse erano la premessa di una rivoluzione di paradigma, nel senso dello storico della scienza Kuhn. Nel capitolo sesto di questo libro esse verranno richiamate in dettaglio, e non ha senso ripetere qui la discussione che il lettore troverà alcune pagine dopo. Ma come nel caso precedente di Lukàcs ha forse senso chiedersi perché furono prese in considerazione solo da alcuni ristretti circoli universitari, e non giunsero mai neppure a sfiorare il "senso comune' medio dei militanti comunisti.

La proposta di Althusser conduceva a non raccontar(si) delle storie, ne pas se raconter des histories. La doppia critica all'economicismo ed allo storicismo distruggeva alla radice qualunque "grande narrazione" consolatoria che garantisse al militante il lieto fine assicurato del conflitto fra capitalismo e socialismo. In estrema sintesi, Althusser proponeva di rinunciare all'ideologia identitaria che aveva nutrito per un secolo la falsa coscienza del movimento prima socialdemocratico e poi comunista, la promessa messianica della vittoria garantita. Ma si trattava di una "risorsa ideologica" cui capi, capetti, burocrati e politici di professione non volevano assolutamente rinunciare. Si trattava di una risorsa gratuita di militanza. Sarebbe stato come chiedere alla chiesa medioevale di rinunciare ad una sacra teologia che ti garantiva la dimostrazione sicura dell'esistenza di Dio.

55. Questo è dunque il punto essenziale. Lo si è già detto, ma voglio ripeterlo, perché è la chiave teorica di tutta questa introduzione alla storia filosofica del marxismo. Ogni proposta di innovazione è irricevibile se il suo destinatario è intrasformabile. Le ricadute ideologiche probabili di una vera accettazione delle tre proposte di Marcuse, Althusser e Lukàcs avrebbero fatto saltare la struttura psicologica autoritaria del rapporto carismatico fra capi e masse (Marcuse), la grande narrazione identitaria a lieto fine garantito ed assicurato (Althusser), ed infine il saldo dominio dello spazio ideologico su quello filosofico (Lukàcs).

Mai! Piuttosto la morte! Niente paura. La morte è comunque venuta presto.

56. Dopo il 1991 si apre quello che è e sarà probabilmente il quinto periodo della storia della filosofia marxista. Non sarà certamente l'ultimo. Solo gli sciocchi credono alla fine della storia ed ai momenti "ultimi" di un grande processo culturale e teorico. Ed infatti, nonostante i suoi pazzeschi difetti, il pensiero inaugurato da Marx presenta una tale "eccedenza" rispetto a quanto si è già verificato nel Novecento da far prevedere che la sua storia non sia affatto terminata. Questa è in ogni caso la mia convinzione, ed infatti personalmente mi colloco anch'io dentro la sua circonferenza.

Questo quinto periodo presenta alcune caratteristiche che devono essere analizzate con cura. Non è compito di questa introduzione. Ci vorrà un lavoro specifico e sistematico. Esso presuppone la piena metabolizzazione dei periodi precedenti, ma anche il coraggio di una discontinuità radicale. E sulla natura di questa discontinuità radicale la discussione è aperta.



Alla prima parte




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