Vorrei però tornare ancora sulla questione del rapporto fra il
Sessantotto e la scuola per evitare ogni possibile equivoco nel lettore. Ho già
detto che considero pienamente legittima e giustificata la polemica di don
Milani contro le vestali della classe media bocciatrici e nostalgiche della
precedente e presunta (ma largamente fittizia ed inesistente) “alta qualità”,
identificata con l’esclusione della plebe dai santuari della cultura.
Certo, mi
permetto contestualmente un rilievo da “tecnico” dell’insegnamento, in favore
del disciplinarismo e contro il sociologismo, ma questo non ha nulla a che
vedere con la cosiddetta “nostalgia reazionaria”, che proprio non mi appartiene.
Nello stesso modo, non ho nulla a che vedere con l’ampia letteratura che
condanna il cosiddetto “facilismo” scolastico del Sessantotto, per cui i
sessantottini, già studenti pigri divenuti professori incompetenti, inaugurarono
una scuola facile e dequalificata e finirono con il distruggere la povera scuola
italiana. Non sono assolutamente d’accordo con questa diagnosi superficiale. Non
nego che ci sia stata una sorta di ondata di “facilismo”, di esami collettivi su
programmi inesistenti, di voti unici e di voti politici grotteschi e scandalosi,
eccetera. Ma questo fa parte di un folklore contestativo del tutto
congiunturale, e che durò solo pochi anni, ed in modo molto ineguale da posto a
posto. Le radici del “facilismo”, infatti, vengono dalla testa, non dalla coda.
Vengono dalla classe dominante, non dalla classe dominata, indipendentemente
dalla falsa coscienza con cui le “promozioni allegre” erano decretate da
insegnanti che la mitologia reazionaria vuole ad ogni costo capelluti,
spinellatori e femministe assatanate. E’ questo un punto decisivo da capire.
Il “facilismo scolastico”, ammesso che esso esista veramente, è parte
integrante di un processo di sovranità esclusiva
dell’economia e dei mercati finanziari che tende a togliere ogni valore legale,
definito “corporativo”, a qualunque titolo assegnato per meriti culturali o
politici, e dunque anche ad un titolo di studio, che intenda sfuggire alla
decisione monopolistica ed esclusiva dell’impresa. Il punto finale, ovviamente
irraggiungibile, di questa tendenza, sta nell’idea che solo l’impresa potrà
decidere chi è diplomato e laureato e chi no. Questo implica una scuola più
difficile (a livello generalmente post-laurea di master) per i candidati a far
parte dei gruppi dirigenziali e della classe dominante economico-finanziaria, ma
anche una scuola più facile per tutti coloro che dovranno limitarsi a posizioni
esecutive. E’ il modello della scuola elementare e media americana. E’ il
modello culturale che Lucio Russo individua nel suo ottimo libro Segmenti e
Bastoncini, pubblicato da Feltrinelli. Non cadiamo dunque in equivoci sul
“facilismo”, confondendo l’inconsapevole esecutore sessantottino e contestatore
con la vera tendenza strutturale e storica.
Il “facilismo”, il sei politico, i todos caballeros (e se sono tutti
caballeros, ovviamente, nessuno è veramente caballero) avevano ovviamente una
ideologia, ma questa non era il pensiero di Marx, quanto una sorta di
russovianesimo caricaturale. Il suo motto, di fronte a qualunque insuccesso
scolastico, comportamentale e caratteriale dello studente pigro, infingardo e
furbacchione, era sempre: “La colpa non è dell’individuo, la colpa è della
società”. Questo motto deresponsabilizzante, lo ripetiamo ancora, accompagnato
talvolta ad una rapida integrazione freudiana alla moda per cui la colpa era
anche un po’ di un eventuale complesso di Edipo non risolto, accompagnava senza
saperlo la tendenza principale della facilizzazione e della dequalificazione
scolastica, che veniva dall’alto e non dal basso, come ho cercato di chiarire
nel precedente paragrafo.
La comprensione di
quanto andiamo dicendo può essere migliore se studiamo rapidamente alcuni
comportamenti tipici del ventennio 1975-1995 da due parti, la parte degli
studenti e la parte degli insegnanti. Sarebbe ovviamente necessario un
inquadramento storico generale più completo, ma ragioni di spazio lo
impediscono. Per questa ragione mi limiterò a richiamare l’attenzione, per
quanto riguarda gli studenti, al fenomeno ventennale delle occupazioni, anzi
delle Okkupazioni, e per quanto riguarda gli insegnanti, alla fuga dalla
cattedra verso il sindacalismo scolastico, i centri pedagogico-didattici dei
formatori distaccati, ed altri luoghi di vario parassitismo in cui fu coltivato
il ceto che avrebbe poi dovuto garantire la linea di Luigi Berlinguer (per l’attuale
linea di Letizia Moratti, come vedremo, le cose stanno in parte diversamente, perché qui
l’incontro fra l’aziendalismo dominante ed il pedagogismo cattolico dominato
avviene senza la mediazione del ceto parassitario e distaccato dei sindacalisti
CGIL Scuola).
alla parte successiva
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