Le osservazioni fatte nei paragrafi precedenti
servono per inquadrare meglio le linee ispiratrici del nefasto quinquennio
Berlinguer-De Mauro (1996-2001). L’avvento al potere del ceto sindacale CGIL
Scuola, con il suo codazzo di pedagogisti pazzi ammiratori dei videogiochi,
sindacalisti governativi e ceto politico PCI-PDS-DS, deve essere collocato in un
contesto storico controrivoluzionario di eccezionale durata e profondità.
Rimando qui il lettore, per ulteriori informazioni, a due pubblicazioni della
CRT Editrice di Pistoia, il lavoro collettivo Metamorfosi della Scuola e
soprattutto il libro-denuncia di Massimo Bontempelli, L’agonia della scuola
italiana. Il ceto politico descolarizzatore guidato da Luigi Berlinguer si
fa portatore del cosiddetto progetto di “autonomia scolastica”, una forma di
aziendalizzazione della scuola gestita in condominio con il ceto
sindacal-politico dei formatori e degli aggiornatori didattici della galassia
CGIL-DS. La polpa avrebbe dovuto essere l’aziendalizzazione legata al cosiddetto
“territorio” (ideologia geografica che sostituisce il precedente stato
nazionale), e la buccia il didatticismo come ideologia di gestione. Le due
vittime principali avrebbero dovuto essere la funzione nazionale della scuola
(incompatibile con il monetarismo finanziario ed europeistico del ceto degli ex
comunisti corrotti riciclati in rappresentanti politici delle classi dominanti)
ed in secondo luogo il disciplinarismo, cioè la serietà degli studi. Ovviamente,
tutto questo non aveva nulla a che fare con l’eguaglianza. Semplicemente la
diseguaglianza era posta a livello di master, cioè di superpagamento familiare
privato. Come si è detto, il modello americano.
E’ comunque necessario capire che Berlinguer agisce solo come servo
sciocco e subalterno di tendenze storiche e culturali che egli non domina e
probabilmente neppure capisce, perché la cultura dello storicismo togliattiano,
con il suo progressismo ed il suo giustificazionismo storico apologeta dei
vincitori, non è in grado di fargli capire la sua funzione strutturale ed
oggettiva. Nello stesso tempo il cinico baffetto sprezzante D’Alema conduce la
guerra del Kosovo del 1999 per conto di Clinton e dell’impero americano. Questi
due “modernizzatori” non si rendono probabilmente neppure conto della loro
funzione storica. Ma questo non deve essere ragione di giustificazione, ma di
ulteriore disprezzo.
Potremo definire l’ispirazione del progetto di riforma berlingueriana della scuola “aziendalismo
burocratico”. Non si tratta di un compromesso fra due principi opposti ed
incompatibili. Si tratta di un’ispirazione apertamente aziendalistica che ci si
propone di far gestire dalla burocrazia politico-didattica dei formatori
CGIL-DS.
La prima cosa da fare per costoro era l’introduzione di gerarchie
stipendiali nella scuola. Non basta infatti ai modernizzatori che vi sia un
ventaglio di retribuzioni sulla base di ore aggiuntive, di mansioni particolari
e di lavoro straordinario. Bisogna rompere quel profilo, vecchio di due secoli,
che sottraeva la scuola alla cultura aziendalistica, ed occorreva introdurre in
nome della “meritocrazia” una gerarchia di retribuzioni differenziate.
Ovviamente, la meritocrazia nella scuola era sempre esistita, solo che si era
sempre manifestata nella costellazione informale della stima e del prestigio dei
buoni insegnanti. Una quantificazione “meritocratica” è di fatto impossibile, e
comunque sconsigliabile, come se fosse possibile pagare in modo differenziato
gli insegnanti sulla base del loro insegnamento di Kant o delle derivate. Lo
stesso parametro del “successo scolastico” degli studenti non sarebbe infatti
per nulla “oggettivo”, perché non dipenderebbe quasi per nulla dalla qualità
dell’insegnamento, ma dall’ambiente sociale e dalle motivazioni dello studente,
due fattori totalmente incontrollabili da parte del corpo insegnante (come la
mia lunghissima esperienza mi ha sistematicamente mostrato). Eppure, in modo del
tutto ideologico, Berlinguer volle introdurre a forza questo aberrante
principio, che per due secoli era sempre stato saggiamente evitato.
Nacque così la fatale idea del concorsone
meritocratico a test e a quiz, con cui gli insegnanti avrebbero dovuto essere
“differenziati” per circa mezzo milione di lire di stipendio in base al
superamento di questo concorsone. Come ho detto nel precedente paragrafo, questa
idea sarebbe stata sbagliata anche nel caso che la differenziazione
meritocratica fosse stata compiuta in base a conoscenze disciplinari (in
matematica, in filosofia, in inglese, eccetera). Questo avrebbe creato un clima
di ostilità, gelosia, maldicenza fra gli insegnanti, a discapito della loro
collaborazione benevola e volontaria, su cui si fonda la vita scolastica. Ma il
principio berlingueriano era ancora più aberrante, perché non era neppure di
tipo disciplinare, ma era congegnato in base alla padronanza di una
pseudo-scienza pedagogico-didattica, una neolingua orwelliana provocatoriamente
antidisciplinare. Il lettore immagini che in un ospedale i chirurghi, i
cardiologi ed i pediatri vengano differenziati salarialmente non sulla base di
competenze chirurgiche, cardiologiche o pediatriche, ma sulla base di un gergo
amministrativo estraneo alle loro discipline. Ma il lettore non deve stupirsene,
perché non c’è qui solo in ballo la cialtroneria del ceto sindacale distaccato
dall’insegnamento reale, ma il vero e proprio odio antidisciplinare di cui in
precedenza ho segnalato le radici ideologiche profonde.
Il più grande sciopero spontaneo di insegnanti della storia della scuola
italiana seppellì questo progetto di cialtroni distaccati. Fu anche la fine vera
del progetto Berlinguer. Gli insegnanti salvarono se stessi in nome del loro
mestiere, non certo in nome di una contestazione ideologica di estrema sinistra
(COBAS, eccetera). Nella più generale crisi dell’Ulivo, destinata a sfociare
nella crisi elettorale del 2001, la bancarotta del berlinguerismo mostrò che la
via dell’aziendalismo burocratico era sbarrata.
L’attuale cambio della guardia con Letizia Moratti non significa
certamente l’abbandono della via aziendalistica. Al contrario, il berlusconismo
professa una ideologia ancora più aziendalistica e strumentale (ad esempio le
tre ‘I’, impresa, inglese, informatica). Nell’ideologia berlusconiana, il
privato è per definizione aprioristica migliore del pubblico, e la stessa
introduzione dei “buoni scuola” è motivata con la giustificazione demagogica per
cui anche i poveri potranno accedere alle scuole private, considerate da
Berlusconi migliori di quelle pubbliche. Argomento grottesco e controfattuale,
se pensiamo che le scuole private sono in massima parte diplomifici
dequalificati riservati a pigri patologici ed a figli di papà
analfabeti.
L’epoca Letizia Moratti rappresenta
una sconfitta tattica notevole per il ceto di pedagogisti futuristi alla
Maragliano-Vertecchi e per il ceto sindacale CGIL-DS. Ma ovviamente non
rappresenta una svolta nella concezione privatistica della scuola, anche se il
furore anti-disciplinare ne viene attenuato, a causa della maggiore esperienza
dei pedagogisti cattolici, infinitamente più saggi e professionali dei
distaccati futuristi della leva politica CGIL-DS.
Tenuti nel dicembre 2001 a Roma, gli Stati Generali della Scuola di
Letizia Moratti cominciano ad evidenziare una possibile (ed auspicabile e
provvidenziale) linea di frattura fra le due correnti principali dei vincitori,
l’ala cattolica e l’ala aziendalistica. Fra queste due ali, ovviamente, l’ala
cattolica è la meno pericolosa, perché è la più radicata in una lunga esperienza
educativa concreta.
Il contesto ideologico in cui
nel 2002 (e presumibilmente negli anni seguenti) verrà discussa in Italia la
questione scolastica formerà grosso modo un quadrilatero. In primo luogo, vi
sarà l’estrema sinistra egualitaria, anticapitalista e fortemente ideologizzata,
per cui la scuola è pur sempre solo un comparto di un presunto (ed a mio avviso
per ora inesistente) movimento del general intellect contestativo e
rivoluzionario (i COBAS di Bernocchi ne sono a mio avviso la punta dell’iceberg
più visibile). In secondo luogo, c’è l’esercito degli aderenti e dei
simpatizzanti CGIL-DS. Nella scuola questo è un esercito molto numeroso,
tatticamente per ora sconfitto, ma con le forze quasi intatte. Non è realistico
aspettarsi da costoro nessun vero ripensamento e nessuna vera autocritica, in
quanto l’ideologia pedagogico-didattica ed il rifiuto del disciplinarismo non è
in loro un incidente di percorso, ma è la manifestazione di una più generale
concezione manipolatoria dell’insieme sociale. In terzo luogo, c’è la galassia
cattolica, che si porta a casa il buono-scuola e l’appoggio alle scuole di
preti, pretini e pretoni, ma che non si trova neppure a suo agio
nell’aziendalismo confindustriale e nel privatismo d’impresa berlusconiano. In
quarto luogo, c’è l'ala scopertamente aziendalistica, forte fra i giornalisti,
imprenditori e politici, ma debole “sul campo”, cioè nella scuola.
In questo contesto, è difficile (ed anzi impossibile) fare
previsioni. La sola cosa che si può dire è che l’epoca Moratti è diversa
dall’epoca Berlinguer. Se nell’epoca Berlinguer il nemico principale erano i
cialtroni didattici ed antidisciplinari, nell’epoca Moratti il nemico principale
sono diventati gli aziendalisti estremisti. Non si può condurre un conflitto con
i piani di battaglia del conflitto precedente.
Costanzo Preve
QUESTO ARTICOLO
E' STATO SCRITTO DAL PROFESSORE COSTANZO PREVE PER LA RIVISTA "COMUNITARISMO"
(GENNAIO-APRILE 2002)
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