Da Luigi Berlinguer a Letizia Moratti
intellettuali e scuola
ottava e ultima parte
 



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Si consiglia anche la lettura dello studio di Roberto Renzetti sul lavoro dei think tank e delle imprese, non solo italiane, che hanno portato alla costruzione delle riforme di Luigi Berlinguer prima e di Letizia Moratti poi.



di Costanzo Preve



Per agevolare la lettura, il testo è stato diviso in otto parti.

All'introduzione




  • Le osservazioni fatte nei paragrafi precedenti servono per inquadrare meglio le linee ispiratrici del nefasto quinquennio Berlinguer-De Mauro (1996-2001). L’avvento al potere del ceto sindacale CGIL Scuola, con il suo codazzo di pedagogisti pazzi ammiratori dei videogiochi, sindacalisti governativi e ceto politico PCI-PDS-DS, deve essere collocato in un contesto storico controrivoluzionario di eccezionale durata e profondità. Rimando qui il lettore, per ulteriori informazioni, a due pubblicazioni della CRT Editrice di Pistoia, il lavoro collettivo Metamorfosi della Scuola e soprattutto il libro-denuncia di Massimo Bontempelli, L’agonia della scuola italiana. Il ceto politico descolarizzatore guidato da Luigi Berlinguer si fa portatore del cosiddetto progetto di “autonomia scolastica”, una forma di aziendalizzazione della scuola gestita in condominio con il ceto sindacal-politico dei formatori e degli aggiornatori didattici della galassia CGIL-DS. La polpa avrebbe dovuto essere l’aziendalizzazione legata al cosiddetto “territorio” (ideologia geografica che sostituisce il precedente stato nazionale), e la buccia il didatticismo come ideologia di gestione. Le due vittime principali avrebbero dovuto essere la funzione nazionale della scuola (incompatibile con il monetarismo finanziario ed europeistico del ceto degli ex comunisti corrotti riciclati in rappresentanti politici delle classi dominanti) ed in secondo luogo il disciplinarismo, cioè la serietà degli studi. Ovviamente, tutto questo non aveva nulla a che fare con l’eguaglianza. Semplicemente la diseguaglianza era posta a livello di master, cioè di superpagamento familiare privato. Come si è detto, il modello americano.

  • E’ comunque necessario capire che Berlinguer agisce solo come servo sciocco e subalterno di tendenze storiche e culturali che egli non domina e probabilmente neppure capisce, perché la cultura dello storicismo togliattiano, con il suo progressismo ed il suo giustificazionismo storico apologeta dei vincitori, non è in grado di fargli capire la sua funzione strutturale ed oggettiva. Nello stesso tempo il cinico baffetto sprezzante D’Alema conduce la guerra del Kosovo del 1999 per conto di Clinton e dell’impero americano. Questi due “modernizzatori” non si rendono probabilmente neppure conto della loro funzione storica. Ma questo non deve essere ragione di giustificazione, ma di ulteriore disprezzo.

  • Potremo definire l’ispirazione del progetto di riforma berlingueriana della scuola “aziendalismo burocratico”. Non si tratta di un compromesso fra due principi opposti ed incompatibili. Si tratta di un’ispirazione apertamente aziendalistica che ci si propone di far gestire dalla burocrazia politico-didattica dei formatori CGIL-DS.
    La prima cosa da fare per costoro era l’introduzione di gerarchie stipendiali nella scuola. Non basta infatti ai modernizzatori che vi sia un ventaglio di retribuzioni sulla base di ore aggiuntive, di mansioni particolari e di lavoro straordinario. Bisogna rompere quel profilo, vecchio di due secoli, che sottraeva la scuola alla cultura aziendalistica, ed occorreva introdurre in nome della “meritocrazia” una gerarchia di retribuzioni differenziate.
    Ovviamente, la meritocrazia nella scuola era sempre esistita, solo che si era sempre manifestata nella costellazione informale della stima e del prestigio dei buoni insegnanti. Una quantificazione “meritocratica” è di fatto impossibile, e comunque sconsigliabile, come se fosse possibile pagare in modo differenziato gli insegnanti sulla base del loro insegnamento di Kant o delle derivate. Lo stesso parametro del “successo scolastico” degli studenti non sarebbe infatti per nulla “oggettivo”, perché non dipenderebbe quasi per nulla dalla qualità dell’insegnamento, ma dall’ambiente sociale e dalle motivazioni dello studente, due fattori totalmente incontrollabili da parte del corpo insegnante (come la mia lunghissima esperienza mi ha sistematicamente mostrato). Eppure, in modo del tutto ideologico, Berlinguer volle introdurre a forza questo aberrante principio, che per due secoli era sempre stato saggiamente evitato.

  • Nacque così la fatale idea del concorsone meritocratico a test e a quiz, con cui gli insegnanti avrebbero dovuto essere “differenziati” per circa mezzo milione di lire di stipendio in base al superamento di questo concorsone. Come ho detto nel precedente paragrafo, questa idea sarebbe stata sbagliata anche nel caso che la differenziazione meritocratica fosse stata compiuta in base a conoscenze disciplinari (in matematica, in filosofia, in inglese, eccetera). Questo avrebbe creato un clima di ostilità, gelosia, maldicenza fra gli insegnanti, a discapito della loro collaborazione benevola e volontaria, su cui si fonda la vita scolastica. Ma il principio berlingueriano era ancora più aberrante, perché non era neppure di tipo disciplinare, ma era congegnato in base alla padronanza di una pseudo-scienza pedagogico-didattica, una neolingua orwelliana provocatoriamente antidisciplinare. Il lettore immagini che in un ospedale i chirurghi, i cardiologi ed i pediatri vengano differenziati salarialmente non sulla base di competenze chirurgiche, cardiologiche o pediatriche, ma sulla base di un gergo amministrativo estraneo alle loro discipline. Ma il lettore non deve stupirsene, perché non c’è qui solo in ballo la cialtroneria del ceto sindacale distaccato dall’insegnamento reale, ma il vero e proprio odio antidisciplinare di cui in precedenza ho segnalato le radici ideologiche profonde.

  • Il più grande sciopero spontaneo di insegnanti della storia della scuola italiana seppellì questo progetto di cialtroni distaccati. Fu anche la fine vera del progetto Berlinguer. Gli insegnanti salvarono se stessi in nome del loro mestiere, non certo in nome di una contestazione ideologica di estrema sinistra (COBAS, eccetera). Nella più generale crisi dell’Ulivo, destinata a sfociare nella crisi elettorale del 2001, la bancarotta del berlinguerismo mostrò che la via dell’aziendalismo burocratico era sbarrata.

  • L’attuale cambio della guardia con Letizia Moratti non significa certamente l’abbandono della via aziendalistica. Al contrario, il berlusconismo professa una ideologia ancora più aziendalistica e strumentale (ad esempio le tre ‘I’, impresa, inglese, informatica). Nell’ideologia berlusconiana, il privato è per definizione aprioristica migliore del pubblico, e la stessa introduzione dei “buoni scuola” è motivata con la giustificazione demagogica per cui anche i poveri potranno accedere alle scuole private, considerate da Berlusconi migliori di quelle pubbliche. Argomento grottesco e controfattuale, se pensiamo che le scuole private sono in massima parte diplomifici dequalificati riservati a pigri patologici ed a figli di papà analfabeti.

  • L’epoca Letizia Moratti rappresenta una sconfitta tattica notevole per il ceto di pedagogisti futuristi alla Maragliano-Vertecchi e per il ceto sindacale CGIL-DS. Ma ovviamente non rappresenta una svolta nella concezione privatistica della scuola, anche se il furore anti-disciplinare ne viene attenuato, a causa della maggiore esperienza dei pedagogisti cattolici, infinitamente più saggi e professionali dei distaccati futuristi della leva politica CGIL-DS.

  • Tenuti nel dicembre 2001 a Roma, gli Stati Generali della Scuola di Letizia Moratti cominciano ad evidenziare una possibile (ed auspicabile e provvidenziale) linea di frattura fra le due correnti principali dei vincitori, l’ala cattolica e l’ala aziendalistica. Fra queste due ali, ovviamente, l’ala cattolica è la meno pericolosa, perché è la più radicata in una lunga esperienza educativa concreta.

  • Il contesto ideologico in cui nel 2002 (e presumibilmente negli anni seguenti) verrà discussa in Italia la questione scolastica formerà grosso modo un quadrilatero. In primo luogo, vi sarà l’estrema sinistra egualitaria, anticapitalista e fortemente ideologizzata, per cui la scuola è pur sempre solo un comparto di un presunto (ed a mio avviso per ora inesistente) movimento del general intellect contestativo e rivoluzionario (i COBAS di Bernocchi ne sono a mio avviso la punta dell’iceberg più visibile). In secondo luogo, c’è l’esercito degli aderenti e dei simpatizzanti CGIL-DS. Nella scuola questo è un esercito molto numeroso, tatticamente per ora sconfitto, ma con le forze quasi intatte. Non è realistico aspettarsi da costoro nessun vero ripensamento e nessuna vera autocritica, in quanto l’ideologia pedagogico-didattica ed il rifiuto del disciplinarismo non è in loro un incidente di percorso, ma è la manifestazione di una più generale concezione manipolatoria dell’insieme sociale. In terzo luogo, c’è la galassia cattolica, che si porta a casa il buono-scuola e l’appoggio alle scuole di preti, pretini e pretoni, ma che non si trova neppure a suo agio nell’aziendalismo confindustriale e nel privatismo d’impresa berlusconiano. In quarto luogo, c’è l'ala scopertamente aziendalistica, forte fra i giornalisti, imprenditori e politici, ma debole “sul campo”, cioè nella scuola.

  • In questo contesto, è difficile (ed anzi impossibile) fare previsioni. La sola cosa che si può dire è che l’epoca Moratti è diversa dall’epoca Berlinguer. Se nell’epoca Berlinguer il nemico principale erano i cialtroni didattici ed antidisciplinari, nell’epoca Moratti il nemico principale sono diventati gli aziendalisti estremisti. Non si può condurre un conflitto con i piani di battaglia del conflitto precedente.

  • Costanzo Preve



    QUESTO ARTICOLO
    E' STATO SCRITTO DAL PROFESSORE COSTANZO PREVE PER LA RIVISTA "COMUNITARISMO"
    (GENNAIO-APRILE 2002)

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