Miguel Martínez Questo articolo è uscito per la prima volta sul numero 34 - settembre-ottobre 2003 - della rivista Praxis (c.p. 162, 06034 Foligno (PG), e-mail praxis@voceoperaia.it).
Nel primo articolo, abbiamo trattato gli errori fondamentali che si possono
commettere nell'analizzare l'America attuale.
Nel secondo articolo, abbiamo parlato del fondamentalismo religioso di massa
e le sue implicazione politiche.
In questo terzo articolo, parliamo del rapporto tra il fondamentalismo americano e la
questione israelo-palestinese.
Nel quarto, parleremo del ruolo dei cosiddetti 'neoconservatori' nella nuova
rivoluzione americana.
Negli ultimi anni, gli Stati Uniti sono stati il teatro di una forte
campagna per stanare i critici dal mondo accademico e cambiare i curriculum in
senso “patriottico”. Una campagna condotta con i classici sistemi delle lobby,
denunciando sistematicamente i docenti ritenuti inaffidabili e facendo
pressioni sugli alumni, gli ex-alunni che sono spesso tra i principali
finanziatori delle università private, mentre il governo organizza apertamente
programmi di reclutamento di collaboratori di “sicurezza” nei campus.
Recentemente, David Horowitz, un rumoroso e aggressivo ex-sessantottino,
una specie di Ferrara all’americana, ha lanciato l’idea di imporre per legge
una forma particolare delle “quote”, razziali e non, con cui i progressisti
assicurano l’integrazione delle minoranze nel sistema capitalistico. Horowitz –
aiutato da un finanziamento di 3,5 milioni di dollari da parte della Bradley
Foundation – promuove, infatti, l’introduzione di quote di political
diversity. Per poter godere di finanziamenti statali, il corpo docente di
ogni università dovrebbe includere un numero di estremisti di destra pari al
numero di progressisti.
Agli inizi di aprile di quest’anno, quattro deputati del partito
repubblicano, che detiene attualmente la maggioranza nelle due camere del
parlamento degli Stati Uniti, si sono incontrati per studiare il modo di
trasformare le idee di Horowitz in legge. [1] Tra i partecipanti, Rick
Santorum, il primo a essere riuscito a introdurre una legge che apre il varco
all’insegnamento del creazionismo nelle scuole. [2]
Alla riunione ha
partecipato anche Louis Goldstein, un sottosegretario del governo Bush; ma
anche i vertici di quattro delle principali organizzazioni ebraiche
statunitensi, l’Anti-Defamation League (ADL) della B'nai B'rith,
la Zionist Organization of America, la Hillel Foundation e l’American
Jewish Committee. Infatti, la
proposta di legge include il ritiro automatico dei finanziamenti statali anche
in caso di espressione di opinioni critiche verso Israele, da parte del corpo
docente, ma anche degli studenti.
Israele pone un paradosso a chiunque cerchi di capirne il ruolo.
Da una parte, è un piccolo paese del Vicino Oriente, senza particolari
risorse economiche, dove è in corso uno dei tanti conflitti etnici dell’area.
Assieme alla Giordania e al Kuwait, è un alleato degli Stati Uniti.
Dall’altra, Israele è l’unica potenza nucleare del Vicino Oriente. Gode del
sostegno incondizionato del più grande impero che il mondo abbia mai
conosciuto, oltre all’appoggio sostanziale di tutti i suoi vassalli. Non solo:
si trova in al centro di tutte le fantasie attuali sul presunto ‘scontro di
civiltà’ tra Oriente e Occidente; è quindi il simbolo stesso della guerra che
gli Stati Uniti stanno conducendo su scala planetaria.
Facile cercare la spiegazione di questo paradosso in teorie irrazionali.
Queste in genere ricadono in due categorie: lo stato ebraico è potente perché
gli ebrei dominano il mondo; oppure, lo stato ebraico è potente perché gli
ebrei sono il popolo eletto di Dio.
Per credere alla prima, occorre essere paranoici; per credere alla seconda,
occorre avere fede nei peggiori brani dell’Antico Testamento. In entrambi i
casi, occorre postulare astoricamente un’entità eternamente uguale a se stessa,
il “popolo ebraico”, diverso per natura da ogni altro. Un’offesa sia alla
razionalità che alle più elementari concezioni di uguaglianza umana.
Possono esserci spiegazioni più terrene al paradosso. A questo riguardo, può
essere utile guardare Israele da un’altra prospettiva: quella degli Stati
Uniti. è lì che hanno la loro vera sede le maggiori organizzazioni sioniste ed
è lì che prospera il fenomeno del Christian Zionism o cristianosionismo.
Le lobby e il corporate state
Gli Stati Uniti sono una coalizione di innumerevoli imprese, in feroce
concorrenza tra di loro. Queste imprese tendono a raggrupparsi in lobby,
cioè in organizzazioni efficienti, costituite da manager ben pagati, avvocati
spietati, esperti delle comunicazioni e tecnici in grado di decidere delle
sorti elettorali dei politici e della concessione o meno della pubblicità ai
media. Il compito principale di queste superimprese consiste nel
manipolare per i propri scopi il corporate state – il gigantesco
apparato imperiale costituito dagli impieghi pubblici, dalla ricerca
tecnologica e dall’esercito.[3]
Le lobby sono economiche, industriali, religiose ed etniche, e tendono a
scambiarsi favori tra di loro piuttosto che combattersi: il sistema americano,
che ammette la massima libertà teorica di espressione, non concepisce una vera
opposizione interna.
Così la lobby dei neri riesce a ottenere posti statali per i suoi protetti
e vari riconoscimenti simbolici di political correctness. In cambio,
evita accuratamente di prendere di petto le autentiche lobby bianche, quelle
del grande capitale, che sono la vera causa della terribile discriminazione
razziale di cui sono vittime le nere. Insieme, le lobby nere e quelle del
grande capitale collaborano per soffocare i tentativi, più patetici che
pericolosi, di creare lobby di bianchi “leghisti”, poveri e rancorosi.
Le lobby etniche sono sorte per coalizzare individui arrivati nel nuovo
continente, uniti da qualche vago elemento comune, e per salvaguardare i loro
interessi in un mondo privo di tutele sociali, spesso in parallelo con le
organizzazioni religiose degli stessi immigrati. Il rifiuto da parte di tutte
queste lobby di mettere in discussione il capitalismo le ha trasformate in
macchine di potere, interessate in primis alla propria sopravvivenza.
La principale lobby etnica oggi è quella ebraica, riunita in una sorta di lobby
delle lobby, denominata Conference of Presidents
of Major Jewish American Organisations (Conferenza
dei presidenti delle principali organizzazioni ebraiche americane), diretta
attualmente da Mortimer Zuckerman, un imprenditore che controlla gran parte del
mercato immobiliare di Boston, San Francisco, New York e Washington e che ha
recentemente acquistato il quotidiano US News and World Report.
Il termine “lobby ebraica” viene spesso adoperato in Italia, in senso
ironico, per indicare un immaginario ente cospirativo, che mirerebbe al dominio
del mondo. Chiaramente non si tratta di questo. Si tratta semplicemente di un
insieme di imprese, alcune delle quali pongono l’accento sul termine
“sionismo”, altre sul termine “ebraismo”, dirette in genere da grandi
imprenditori statunitensi. Imprenditori che non mancano di utilizzare queste
organizzazioni anche per promuovere i propri interessi privati. Le organizzazioni
possono anche essere in concorrenza tra di loro; ma, come tutte le altre lobby,
sanno che la loro sopravvivenza dipende dal grado di spirito collettivo che
riescono a infondere tra una fetta della popolazione.
Perché Israele?
In quanto individui, gli ebrei americani oggi sono ben
integrati; circa metà di loro finisce per sposare partner non ebrei,
contravvenendo così a una legge religiosa e comunitaria fondamentale. Le
organizzazioni che pretendono di rappresentare gli ebrei fanno quindi leva su
due elementi più psicologici che reali: la presunta esistenza di una eterna
tendenza da parte dei non ebrei all’antisemitismo; e la difesa di Israele.
Proprio per questo, mentre gli ebrei stessi tendono a cercare una soluzione
al conflitto israelo-palestinese, [4] le organizzazioni sono per la maggior
parte schierate a favore di tutto ciò che la impedisce: quindi appoggiano gli
insediamenti nei Territori Occupati e la più feroce repressione nei confronti
dei nativi palestinesi. Come ebbe a dire Abraham Foxman, direttore della
potente Anti-Defamation League, mentre premiava il padrone della
Fininvest: “ci piace il presidente Bush, ci piace Sharon, ci piace
Berlusconi”. [5]
La maniera in cui Sharon ha deliberatamente provocato la seconda Intifada
e la sua decisione di far eseguire “omicidi mirati” ogni volta che i gruppi
palestinesi accettano una tregua non è certamente nel migliore interesse del
comune cittadino di Haifa. A lungo termine, lo scopo è di rendere impossibile
la vita ai nativi palestinesi, fino a determinare la loro emigrazione. Ma
questa strategia della tensione è gradita anche alle lobby americane,
che vogliono che Israele sia sempre al centro delle preoccupazioni dei
cittadini statunitensi di origine ebraica.
L’interesse per Israele ha più risvolti: oltre a permettere una perenne
mobilitazione di buona parte della comunità ebraica statunitense a sostegno
delle lobby stesse, gli imprenditori che le dirigono possono influire in
maniera sempre più diretta nella società israeliana, prendendone in mano le
imprese, determinando il successo o la sconfitta di uomini politici e
impadronendosi dei media: lo smantellamento dello stato sociale in Israele
procede di pari passo con l’americanizzazione del paese. Infine, gli interessi,
della lobby ebraica si sposano perfettamente con quelli dell’industria militare
e del suo enorme indotto – si pensi che circa un quarto del PIL degli Stati
Uniti finisce in spese militari. Gli enormi aiuti militari a Israele, e in
genere il clima di tensione che la situazione israelo-palestinese genera, sono
in perdita per l’americano medio, ma forniscono sterminati guadagni a un vasto
giro di interessi.
Non si tratta di onnipotenza: l’AIPAC, la lobby ufficiale filoisraeliana, è
considerata solo la seconda per importanza negli Stati Uniti, dopo quella che
pudicamente si chiama “dei pensionati”: si tratta in realtà di
un’organizzazione che si occupa degli investimenti dei fondi pensione. Ma
quello che conta è il potere relativo delle lobby, che diventa assoluto
rispetto a un obiettivo specifico, nell’assenza totale di lobby contrarie.
Lobby ebraica e destra religiosa
Da alcuni anni, le grandi organizzazioni sioniste collaborano strettamente
con la destra religiosa. Un’alleanza sorprendente, se si pensa che gli ebrei
statunitensi sono stati storicamente laici e che, fino alla seconda guerra
mondiale, occupavano una nicchia molto inferiore a quella dei WASP, gli
“anglosassoni bianchi e protestanti”, nel sistema castale statunitense.
L’alleanza nasce quindi ai vertici, tra le organizzazioni stesse, e risale
ai tempi di Reagan, anche se si è ufficializzata solo dopo l’11 settembre.
Da parte delle organizzazioni evangeliche, l’alleanza si basa su un doppio
pilastro: da una parte interessi concreti, dall’altra il grandioso immaginario
del Dispensationalism.
Due potenti lobby uniscono le forze e cessa la tradizionale opposizione
ebraica alla commistione tra religione e stato. Qui gioca un ruolo importante
anche un altro fenomeno tipicamente americano: la svolta verso il
fondamentalismo ha toccato profondamente anche le istituzioni religiose
ebraiche e non solo cristiane, per cui sono interessate a condividere,
piuttosto che frenare, i privilegi altrui. Allo stesso tempo, le organizzazioni
ebraiche garantiscono l’assoluzione per l’accusa sempre in agguato per
movimenti di destra, quella di antisemitismo.
In cambio gli evangelici offrono un appoggio incondizionato alle forme più
estreme di sionismo. Inoltre, essi, in genere così pronti a minacciare
l’inferno per chiunque non si converta, rinunciano, in maniera sempre più
esplicita, a promuovere la propria fede presso gli ebrei, da molti ritenuti
“già salvati” per diritto di sangue. Il tutto in nome di un’invenzione
tipicamente americana, i presunti “valori giudeocristiani”. [6]
Il pilastro ideologico che giustifica la convergenza tra le lobby è
costituito, invece, dal Dispensationalism, una peculiare lettura della
Bibbia che sostiene che Dio avrebbe diviso la storia in varie epoche o
“dispensazioni”: non avrebbe mai smesso di considerare gli ebrei il suo unico
popolo eletto, motivo stesso della creazione; ma li avrebbe puniti per duemila
anni per aver respinto Gesù. Oggi, dicono i dispensazionisti, il favore di Dio
è ritornato sugli ebrei, come dimostrerebbe la creazione dello Stato d’Israele,
primo segno della redenzione del mondo. Dopo inenarrabili stragi, che
culmineranno nel grande massacro di Armageddon, gli ebrei riconosceranno Gesù e
– assieme ai cristiani evangelici - governeranno il mondo da Gerusalemme per
mille anni, schiacciando con “verghe di ferro” chiunque osi ribellarsi al
divino regime. In attesa della gloriosa strage, il primo dovere dei cristiani è
sostenere a tutti i costi il governo d’Israele e l’esproprio dei nativi
palestinesi, identificati con vari popoli malvagi di cui parla l’Antico
Testamento.
è interessante notare che l’ossessione dispensazionista per la creazione di
uno stato ebraico in Terra Santa nasce molti decenni prima del sionismo. Mentre
il “ritorno nella terra dove scorrono fiumi di latte e miele” era, per quasi
tutti gli ebrei del mondo, una metafora per il ritorno dell’anima a Dio, i
dispensazionisti già sognavano futuri Sharon. Nel 1840, Nelson Darby,
dispensazionista inglese, scriveva:
“Siamo come
una religione”
Il dispensazionismo è diventato un fenomeno di massa per un motivo
apparentemente banale: è stato un dispensazionista a scrivere le note
esplicative nella versione della Bibbia più diffusa tra i fondamentalisti. Ma
si è diffuso perché risponde alle esigenze fondamentali dell’immaginario
americano. Nel dicembre del 2001, l’allora sindaco di New York, Rudy Giuliani,
concluse il proprio mandato con un discorso nella chiesa dedicata a San Paolo.
Il Popolo Eletto, con la propria fede nell’americanismo, scopre il Nuovo
Mondo come gli israeliti scoprirono la Terra Promessa; estirpa le erbacce e gli
indigeni come Giosuè alla conquista di Canaan. Con echi straordinari nel
vissuto quotidiano di un popolo composto da individui in incessante movimento,
eternamente precari e migranti, “povere cavallette che vanno saltellando di
ramo in ramoscello in questa valle di lacrime”, come scriveva tre secoli e
mezzo fa Roger Williams.
Come racconta Roberto Giammanco, il senatore dell’Oklahoma, James Inhofe, il 4 marzo del 2002, in un
discorso al Senato degli Stati Uniti elencò sette motivi per cui Israele doveva
tenersi per sempre i Territori Occupati. “Il più importante” è quello biblico:
il senatore si chiede, non è forse
Da qui, egli trae la conclusione che permette di
invocare Dio per giustificare espropri, stragi e guerre: “Questa non è una
battaglia politica ma un confronto in cui si decide se la parola di Dio è vera
o no”.
Come tutti i movimenti negli Stati Uniti, il cristianosionismo è
estremamente pratico. Centinaia di migliaia di americani vengono mobilitati per
contribuire finanziariamente alla creazione di insediamenti nei Territori
Occupati o per pagare il trasferimento in Israele di ebrei russi; oppure per
tempestare di messaggi e telefonate ogni deputato minimamente tentennante
affinché sostenga la politica di Sharon, o per manifestare davanti alle
università che ospitano oratori palestinesi. Molti evangelici si offrono come
volontari, svolgendo mansioni nelle retrovie dell’esercito israeliano, in modo
da liberare i soldati perché possano combattere contro i nativi palestinesi.
Ma non vanno sottovalutate anche le attività a carattere simbolico: decine
di migliaia di chiese vengono coinvolte in momenti di intensa preghiera per
Israele, che suscitano entusiasmo e partecipazione. Mentre un ruolo primario
viene svolto dal turismo religioso. Non va dimenticato infatti che il turismo è
oggi la prima industria del mondo. Ogni giorno arrivano in Israele
innumerevoli gruppi di turisti americani, sotto la guida del loro pastore, per
vedere dal vivo il “piano di Dio che si realizza”. Turisti debitamente
indottrinati da guide autorizzate dallo Stato d’Israele, pronti a raccontare a
casa e agli amici il viaggio, terreno e mistico insieme, della loro vita.
Non è detto che tutti questi turisti siano degli sprovveduti. Possiamo
infatti concludere con le parole che
Hillary Clinton mette sul proprio sito web, ricordando che questa spietata
carrierista tanto apprezzata da certa sinistra italiana ha qualche possibilità
di diventare la prima donna presidente del suo paese:
[1] Elementary and Secondary Education Bill, H.R.
1, P. L. 107-110, 8.01.02.
[2] Ne parla, con approvazione, il quotidiano New York Sun del
15.04.03
[3] E’ utile a questo riguardo la lettura delle considerazioni di Gianfranco La Grassa sui “soggetti del conflitto strategico” (“Note
per uscire dall’impasse teorica”, Rosso XXI, n. 16, settembre 2003).
[4] La soluzione ricercata è in genere quella, profondamente ingiusta e
razzista, dei “due stati per due popoli”. Comunque il desiderio di porre fine
al conflitto esiste, e la maggior parte dei non numerosi sostenitori della tesi
dello stato unico e democratico sono ebrei americani.
[5] Eric J. Greenberg, “Berlusconi Mum on Mussolini Flop”, The Jewish
Weekly, 26.09.03. Significativamente, il premio venne concesso in presenza
di Harvey Weinstein, proprietario della Miramax Films.
[6] E’ realmente esistita una cultura giudeo-islamica; ma le
convergenze tra giudaismo e cristianesimo, dopo i primissimi secoli, sono state
rare e marginali, traducendosi soprattutto in forme di pietà popolare ebraica
che imitavano il culto cristiano dei santi o della Madonna. Il termine Judeo-Christian
si riferisce invece sostanzialmente a una forma di patriottismo religioso
americano.
[7] Darby, Hopes of the Church, cit. in Paul Boyer, When Time Shall Be No More: Prophecy Belief in Modern
American Culture, Cambridge, MS, Harvard University Press, 1992, p.
200.
[8] George Monbiot, “America is a religion. US leaders now see themselves
as priests of a divine mission to rid the world of its demons”, The Guardian,
29.07.03.
[9] Sul tema del cristianosionismo, in questo sito, si vedano anche i seguenti articoli:
Miguel Martinez Armageddon: L’impero americano e l'immaginario del dominio universale
Home | Il curatore del sito | Oriente, occidente, scontro di civiltà | Le "sette" e i think tank della destra in Italia |
La cacciata dei Rom o "zingari" dal Kosovo | Il Prodotto Oriana Fallaci | Antologia sui neoconservatori | Testi di Costanzo Preve | Motore di ricerca
|