28. Il maoismo pone così le basi teoriche per la comprensione della dinamica ascendente e discendente del comunismo storico novecentesco inteso come fenomeno globale, ed è dunque incondizionatamente superiore alle altre tre teorie ricordate. Ma si ferma però a mezza strada, perché continua a sostenere la tesi a mio avviso strutturalmente errata della capacità rivoluzionaria inter-modale della classe operaia di fabbrica, dei contadini poveri e dei loro alleati subalterni. In questo modo il maoismo non dà luogo ad una vera rivoluzione scientifica nel marxismo (nel senso di Kuhn), ma fermandosi a mezza strada rimanda la resa dei conti con un apparato teorico globalmente insufficiente.
29. Come è ovvio, non penso affatto di possedere le chiavi del problema. La mia presunzione non si spinge a tanto. Ma ritengo che si possa ancora aggiungere qualcosa, utilizzando liberamente cinque concetti marxisti originari (modo di produzione, formazione economico-sociale, forze produttive, rapporti di produzione, ideologia).
30. Proviamo a vedere se alla luce dei due concetti marxisti di modo di produzione capitalistico e di formazione economico-sociale le società prodotte dal comunismo storico possano essere definite comuniste oppure no. la sola cosa filologicamente sicura, sulla base del testo di Marx del 1875 Critica del programma di Gotha, è che ovviamente esse non erano comuniste (da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni), ma al massimo si avviavano verso il primo stadio del comunismo stesso (da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo il suo lavoro prestato in quantità ed in qualità). Questo primo stadio è generalmente battezzato dalla tradizione marxista "socialismo", ma qui c'è un problema, perché Marx non usa mai questa parola, che è stata poi appiccicata dopo. In termini filologicamente marxiani lo stadio del "lavoro" è dunque la prima fase del comunismo, non il socialismo. Su questo punto, il maoismo cinese ed europeo (Bettelheim, La Grassa, Natoli) ha sempre avuto ragione. Si tratta allora di vedere se è possibile parlare di prima fase del comunismo. Uno studioso marxista italiano, Andrea Catone, sulla base di categorie prodotte da Maurice Godelier, ha sostenuto che il comunismo storico novecentesco è stato il periodo di una prima "sottomissione formale" ai produttori dei mezzi di produzione (attraverso la pianificazione, l'espropriazione della proprietà privata borghese, la proprietà statale e cooperativa), mentre è mancato il passaggio alla "sottomissione reale". Catone ovviamente non si sa spiegare il perché di questo mancato passaggio, e si limita ad inquadrare il tema.
31. I riferimenti a Marx sono comunque difficili, perché Marx ha volutamente lasciato un "buco" grande come una voragine su due punti teorici essenziali. Da un lato, sullo statuto della filosofia e della conoscenza filosofica, da lui considerata integralmente assorbita nella conoscenza scientifica (ed in questo modo, a mio avviso, il positivismo implicito è stato solo l'anticamera del nichilismo esplicito). In secondo luogo, sul comunismo, con la scusa di non cadere nella maniacale progettazione utopica e nella confezione di "ricette per la cucina del futuro". In questo modo, ogni marxista successivo può arbitrariamente attribuire a Marx la filosofia che vuole lui, e sostenere che il comunismo c'è o non c'è a seconda della sua personale idea di comunismo. Non si esce da questo dilemma irrisolvibile con dosi sempre maggiori di citatologia, e non pretendo certamente di riuscire ad uscirne io. Presuntuoso sì, ma solo fino ad un certo punto.
32. In estrema approssimazione, se si definisce il modo di produzione capitalistico con categorie giuridiche (proprietà privata trasmissibile in via testamentaria dei mezzi di produzione) ed economiche (anarchia del mercato contrapposta alla pianificazione), allora è evidente che le società del comunismo storico novecentesco non erano più capitalistiche. Ma a suo tempo Marx non propose queste categorie giuridiche ed economiche, ma la categoria storica globale della separazione o meno dei produttori associati dal controllo e dalla separazione dai mezzi di produzione. Sulla base di questo parametro, le società del comunismo storico novecentesco erano ancora interne alla riproduzione capitalistica, perché la proprietà giuridica pubblica e la pianificazione governativa possono essere definite solo come fenomeni di "superficie", non di "profondità". E questo per quanto riguarda il modo di produzione.
Per quanto riguarda la formazione economico-sociale (concetto centrale in Lenin, e pressoché assente in Marx) il comunismo storico novecentesco ha dato luogo a numerose formazioni economico-sociali miste, qualitativamente diverse le une dalle altre. La Cambogia di Pol Pot non aveva molto a che vedere con la Jugoslavia di Tito. La Cuba di Fidel Castro era altra cosa rispetto alla Romania di Ceausescu. Ci si può chiedere se queste diverse formazioni economico-sociali erano o no di "transizione", secondo un termine improprio e fuorviante diffusosi negli anni Settanta. Personalmente non lo credo. Transizione significa percorrere, transitare, passare. Ebbene, queste società non stavano "transitando" da nessuna parte, ma stavano solo accumulando progressivamente una classe dirigente nichilista e proprietaria ansiosa di "assicurare" il proprio dominio non solo sulla base fragile della cooptazione burocratica informale, ma sulla base più stabile della proprietà giuridicamente sicura e trasmissibile.