Dal 1871 al 1914 si costituisce la sinistra nel senso contemporaneo del 
  termine. Sarà poi la guerra del 1914-1918 a dividerla fra socialisti e 
  comunisti, perché sono sempre e solo le guerre i veri "momenti della verità" 
  in cui chiacchiere e traccheggiamenti non sono più possibili, ed allora o si è 
  per o si è contro. Lo stesso atteggiamento verso la rivoluzione russa del 1917 
  è in un certo senso una derivazione secondaria di un precedente atteggiamento 
  verso la guerra. Chi ha imparato ad odiare veramente il capitalismo è stato 
  poi anche psicologicamente incline ad accettare la rottura del comunismo. Chi 
  invece non aveva consumato psicologicamente questa rottura è rimasto quasi 
  sempre socialista. Gli anni 1871-1914 non sono stati soltanto gli anni del 
  marxismo della Seconda Internazionale (fondata nel 1889, cento anni esatti 
  prima della caduta del muro di Berlino). Sono stati anche gli anni in cui si è 
  costituita la sinistra intellettuale radicale, attraverso le battaglie del 
  caso Dreyfus in Francia, attraverso l’antimilitarismo soprattutto tedesco, ed 
  infine attraverso le prime critiche al colonialismo ed al razzismo. 
In questo 
  contesto è emerso a mio avviso quel dualismo che intendo connotare con le mie 
  espressioni (forse un po’ improprie) di sinistra dell’immanenza sociale e 
  sinistra del trascendimento sociale. La sinistra dell’immanenza sociale si 
  adatta all’integrazione della nuova società capitalistica della seconda 
  rivoluzione industriale, esalta le conquiste salariali e normative che le 
  lotte sindacali effettivamente riescono a conseguire per i lavoratori dei 
  campi e delle officine, ed accompagna gradualmente l’uscita dei lavoratori da 
  quella miseria nera che prima ne scandiva le dure condizioni di vita. 
Questa 
  sinistra dell’immanenza sociale adotta una filosofia gradualistica del 
  progresso del tutto fasulla ed inesistente, che però rispecchia con ideologica 
  esattezza la propria natura compromissoria. 
La politica estera non gli 
  interessa, se non come sorgente di tasse e di leve militari. I popoli 
  colonizzati gli interessano poco, e così finisce con il condividere i 
  pregiudizi razzisti degli stessi piccoli coloni europei. La cultura le 
  interessa soltanto come divulgazione popolare e come strumento di promozione 
  sociale. Tutti gli elementi della sua futura subalternità sono già 
  massicciamente presenti. Questo "terzo stato" marcia verso i futuri 
  supermercati e verso futuri stadi di calcio e non se ne accorge nemmeno. 
La 
  sinistra del trascendimento sociale si rende invece perfettamente conto del 
  fatto che nessuna conquista sotto il capitalismo è irreversibile e garantita. 
  Non si tratta dunque di semplice massimalismo o di semplice populismo. Si 
  tratta invece di un lodevole sforzo per comprendere l’insieme dei rapporti 
  sociali, e di qui nasce quella critica all’imperialismo che a mio avviso è il 
  punto più alto ed il massimo contributo di questa sinistra nel periodo 
  1871-1914. 
Vorrei insistere su questo punto per il fatto che oggi siamo di 
  fronte allo stesso problema di allora, con la differenza (in peggio) che la 
  maggior parte della cosiddetta sinistra istituzionale e parlamentare (D’Alema, 
  Rutelli, Jospin, Blair, Schroeder, ed in più tutti gli scagnozzi ex-comunisti 
  dell’Est addomesticato) è ormai schierata a fianco del nuovo imperialismo, e 
  con la differenza (in meglio) che questo fatto scandaloso comporta un 
  rimescolamento benefico delle categorie di sinistra e di destra che annuncia 
  un periodo storico del tutto nuovo, duro e faticoso ma anche promettente. 
  
  
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