3. Il
rapporto controverso di Lenin con Marx. Ortodossia teorica, revisionismo
pratico e falsa coscienza necessaria
Per affrontare in modo serio la questione cruciale del
rapporto di Lenin con Marx bisogna prima di tutto staccarsi dalla leggenda
edificante che vi è stata costruita sopra dalla dottrina ideologica del defunto
comunismo storico novecentesco (1917-1991). Secondo questa leggenda edificante
vi sarebbero stati prima i grandi marxisti rivoluzionari Marx e Engels, poi
sarebbero venuti i perfidi revisionisti Bernstein e Kautsky, ed infine sarebbe
venuto Lenin a restaurare la vera dottrina rivoluzionaria perduta, ricollegando
il comunismo pratico del 1917 con il comunismo teorico del Manifesto di
Marx ed Engels del 1848.
Lenin fu ovviamente un “revisionista” molto più grande di
Bernstein e di Kautsky, perché “revisionò”, e cioè rinnovò radicalmente,
l’originaria teoria di Marx e anche la sua sistemazione fatta da Engels.
Tuttavia, questa revisione radicale fatta da Lenin venne presentata nella forma
di una “restaurazione” dello spirito rivoluzionario originario nel frattempo
perduto e corrotto. Ci si può allora porre la domanda legittima se questo
rinnovamento radicale presentato nella forma di una restaurazione sia stato
dovuto ad un “vincolo ideologico esterno”, perché il movimento marxista del
tempo non avrebbe sopportato una revisione radicale presentata per quello che
era, e cioè appunto una revisione radicale, oppure sia stato dovuto ad una
forma di “falsa coscienza necessaria” di Lenin, per cui quest’ultimo era
soggettivamente convinto di stare soltanto restaurando, mentre stava in realtà
proponendo una revisione radicale delle tesi di Marx (e anche di Engels).
Che dire? In prima approssimazione, entrambe le cose.
Kautsky aveva potuto far passare la sua egemonia teorica nella forma della
fedeltà “ortodossa” a Marx e Engels. Come documenta bene Erich Matthyas, il
kautskismo era diventato l’ideologia di legittimazione della pratica
opportunistica della socialdemocrazia tedesca, così come più tardi, in un altro
contesto storico e politico, lo divenne il togliattismo nel PCI di Palmiro Togliatti e di
Enrico Berlinguer. Lenin era allora di fatto costretto a giocare con le regole imposte
da altri. Nello stesso modo, più di mezzo secolo dopo, dovettero giocare con le
regole della “sacralizzazione” di Marx, da tener fuori religiosamente da ogni
“peccato” di revisione, sia Althusser (contrapposizione fra un giovane Marx,
cattivo, ed un Marx maturo buono) sia Lukács (contrapposizione fra un Marx
tutto perfetto e senza errori ed un Engels ammirabile e stimabile, ma con
errori deterministici e meccanicistici).
In seconda approssimazione, però, credo che Lenin si
ingannasse (in buona fede, e nello stesso tempo in falsa coscienza) sul tipo di
riforma cui stava sottoponendo la teoria originale di Marx. In altri termini,
stava costruendo una teoria originale, completamente nuova, mentre era
convinto di stare solo restaurando la vera teoria marxiana originaria.
La mia è un’affermazione impegnativa. Per poterla
argomentare con un minimo di serietà devo ora passare a discutere alcuni
aspetti del pensiero di Lenin. Iniziamo, ovviamente, dalla sua teoria del
partito politico.