9. Il fascismo italiano fra rimozione culturale e politicizzazione storiografica.
  Il fenomeno fascista fa parte integrante della storia politica della nazione 
  italiana. Questa affermazione può sembrare un'ovvietà, e non lo 
  è soltanto per l'indebita politicizzazione ideologica subita dalla nostra 
  storia per ragioni di legittimazione partitica, volta a volta di destra, di 
  centro o di sinistra. Ai due estremi di questo stravolgimento ci stanno due 
  posizioni apparentemente opposte e segretamente convergenti. Da un lato, la 
  posizione di origine gobettiana ed azionista, per cui il fascismo sarebbe la 
  triste e rivelatrice "autobiografia della nazione italiana", la manifestazione 
  di un "popolo delle scimmie" rimasto sempre eguale dai Borboni a Berlusconi, 
  nonostante l'impotente "testimonianza morale" di altissime minoranze 
  intellettuali segretamente protestanti ed eternamente incomprese. Dall'altro, 
  la posizione di origine crociana e ciellenistica, per cui il fascismo sarebbe 
  una "parentesi antinazionale", da cancellare come un vergognoso corpo 
  estraneo e collaborazionista dalla storia sana di una nazione dotata di una 
  bandiera che ha soltanto tre esclusivi colori ideologici legittimi (laico, cattolico 
  e socialista-comunista). 
Queste posizioni sono oggi, è vero, pura archeologia 
  ideologica dotate di interesse puramente storico-archivistico. Esse però 
  hanno costituito l'ideologia storiografica ufficiale della Prima Repubblica 
  italiana (approssimativamente 1946-1994), e sono ancora fortemente presenti 
  nel profilo ideologico dell'intellettuale ulivista medio (assolutamente maggioritario 
  oggi in Italia). Si tratta di posizioni prive di qualsiasi serio fondamento. 
  Da De Felice a Pavone, storici di ogni orientamento hanno accertato senza ombra 
  di dubbio che il fascismo godé a suo tempo di un vasto consenso, non 
  solo organizzato ma anche diffuso, e che fra il 1943 ed il 1945 ci fu in Italia 
  una vera e propria guerra civile, incrociata con elementi di guerra di liberazione 
  e di guerra di classe, ampiamente documentate dalla storiografia, dalla letteratura 
  e dalla memorialistica.
  Queste affermazioni sono spesso scambiate per una sorta di filofascismo storiografico 
  e culturale. Ma non è affatto così, ed è anzi esattamente 
  il contrario, o meglio è la premessa per giungere a motivate conclusioni 
  assolutamente opposte al filofascismo, conclamato o reticente che sia. Il solo 
  antifascismo razionale e durevole, infatti, è quello che si fonda su 
  considerazioni veritiere, e non su miti storiografici insostenibili. In rapporto 
  alla questione nazionale, il regime fascista è stato a suo tempo colpevole 
  di almeno tre crimini atroci ed inescusabili, che è bene ricordare ancora 
  una volta, perché è diffuso il pregiudizio secondo cui il fascismo 
  avrebbe avuto lati negativi sul piano politico, culturale e sociale, mentre 
  almeno sul piano nazionale avrebbe avuto una posizione corretta. Ma non è 
  così, ed è anzi il contrario. È proprio la questione nazionale 
  il punto peggiore del fascismo. Il primo crimine è consistito nella politicizzazione 
  partitica dell'identità nazionale (che il liberalismo prefascista -sia 
  detto a suo merito- non aveva effettuata), per cui fascista era fatto sinonimo 
  di italiano ed antifascista di anti-italiano. Le conseguenze orribili di questa 
  mostruosità si sono poi rovesciate nell'ideologia ciellenistica posteriore 
  al 1945, ed hanno contribuito alla diffamazione dell'idea di nazione così 
  associata ad una partitizzazione ideologica di parte (non importa se di destra 
  o di sinistra). Il secondo crimine è consistito nell'associazione dell'idea 
  della nazione italiana con un programma espansionistico, colonizzatore e razzista 
  di tipo imperialistico, che ha visto nell'aggressione all'Etiopia del 1935-36 
  il suo punto più abbietto (condiviso, sostenuto ed appoggiato dall'antifascista 
  liberale Benedetto Croce, in questo buon allievo di Antonio Labriola, che aveva 
  già visto di buon occhio la politica coloniale italiana), destinato ad 
  essere proseguito con le aggressioni all'Albania, alla Grecia, alla Jugoslavia 
  ed alla Russia a partire dal 1939. Il terzo crimine, meno appariscente ma rivelatore, 
  è consistito nell'oppressione e nel tentativo di cancellazione e di snazionalizzazione 
  delle minoranze nazionali di lingua tedesca (dell'Alto Adige), slava (dell'Istria) 
  e greca (del Dodecanneso). Parlando di crimini, e non di semplici errori, abbiamo 
  inteso sottolineare tre questioni fondamentali, che impediscono a mio avviso 
  la messa in atto di una riabilitazione storica del fascismo. Parlare di "consenso" 
  in termini puramente numerici è del tutto fuorviante e diseducativo. 
  
Un popolo che consente ad un crimine imperialistico, così come ad un 
  massacro amministrativo, cessa di essere un popolo (anche se continua ad essere 
  nazione, visto che l'etnogenesi non è un processo elettorale). Cessa 
  di essere un popolo, e diventa una plebe ignorante, immorale e fanatizzata. 
  Anche ammesso che il 90% degli italiani abbia consentito all'aggressione razzista 
  all'Etiopia o il 90% dei tedeschi abbia consentito al massacro amministrativo 
  antisemita di Hitler (e questo non è vero), ebbene questo presunto consenso 
  non legittima proprio nulla, ed è anzi un fattore aggiuntivo per una 
  condanna politica e morale inesorabile. Lo stesso discorso, ovviamente, vale 
  per il consenso eventuale di una maggioranza di israeliani per la deportazione 
  del popolo palestinese, per il consenso eventuale di una maggioranza di turchi 
  per una guerra di sterminio verso il popolo curdo, o per il consenso eventuale 
  di una maggioranza di americani per l'embargo assassino verso il popolo iracheno, 
  eccetera. Soltanto intellettuali rincoglioniti dall'economicismo o dai sondaggi 
  di opinione possono non capire queste ovvietà comprensibili a chiunque 
  abbia qualche nozione di diritto naturale, laico o religioso che sia.
  Nei confronti della questione nazionale il fascismo è dunque colpevole. 
  Anche i massacri etnici avvenuti in Venezia Giulia fra il 1943 ed il 1945 non 
  devono essere iscritti in un "libro nero del comunismo", ma devono 
  essere collocati in una tragedia il cui primo atto è stato scritto dalla 
  dissennata politica antislava del fascismo italiano. Per capire questo non c'è 
  bisogno di nessuna leggenda sulla "autobiografia della nazione" o 
  sulla "parentesi antinazionale". Che le sciocchezze seppelliscano 
  le sciocchezze!!!