di Flavia Busatta Per agevolare la lettura, questo articolo di Flavia Busatta, tratto da Hako Magazine, è stato diviso in diverse parti.
Nel 1981 veniva pubblicata The
Primal Mind, un best seller presto trasformato in film TV e vangelo del
concetto primitivista degli indiani Americani come portatori di una religione
primordiale e perciò vera. L'autore, che esibiva il nome letterario di Jamake
Highwater, e si definiva meticcio di ascendenze piedineri e cherokee, era in
realtà il cinematografaro greco Americano Gregory J. Markopoulos, di Toledo, Ohio,
coreografo a San Francisco col nome di J . Marks, critico d'arte, scrittore di
talento e uno dei wannabe (da I want to be, voglio essere
[indiano]) più noti e controversi. Ma, come osserva Kehoe (1996:196), il che eleggeva la visione del Oglala Lakota Nick (Nicholas) Black Elk a fulcro del libro, trascurando il fatto che questi era stato per decenni
un catechista cattolico. Così, secondo W. Powers (1990:136-137), Quando ormai Nick Black Elk era stato cacciato dai suoi datori di
lavoro, i gesuiti, e si guadagnava da vivere eseguendo danze “sacre'' per i
turisti in un albergo, un discepolo di Hultkrantz e ammiratore di Alce Nero
Parla, Josep Epes Brown, in piena epoca maccartista, aiutò l'ex catechista
cattolico ed ex attore del circo di Buffalo Bill, «a codificare i rituali e le
credenze oglala in sette sacramenti unificati dalla pipa come simbolo centrale
(Brown, 1953). Questo era chiaramente uno sforzo del vecchio visionario,
aiutato dall'accademico Brown, di trasformare la religione oglala in
un'alternativa al cattolicesimo che aveva insegnato in precedenza. Lo sforzo ebbe successo; la
corrispondenza uno a uno tra crocifisso e pipa, Cristo e Donna Bisonte Bianco,
sacramento e sacramento, produsse un facile trasferimento di lealtà dal
cristianesimo alla “religione indiana''. Senza dubbio questo sincretismo
è stato fondamentale nello stabilire la versione di Alce Nero del
soprannaturale oglala come LA religione indiana, proprio come il costume lakota
del XIX secolo è diventato IL vestito indiano per eccellenza. Ma la visione di
Black Elk, e la sua religione, non furono mai presentate come primordiali. La
“visione primordiale'' è un passo o meglio un salto, al di là di quello che
disse Black Elk. Fu Josep Epes Brown, non Black Elk, che saltò dai concetti
oglala al tradizionale primitivismo culturale occidentale» (Kehoe,
1996:196-197). Brown sosteneva che le religioni indiane rappresentano In sostanza Brown ha un punto
di vista in comune con gli antropologi evoluzionisti, che consideravano le
religioni dei popoli “primitivi'' o “naturali'' di diretta, immutata
derivazione dalla religione degli uomini delle caverne e ribadisce, in questo
modo, il primitivismo culturale di marca europea. Egli poi considera gli indiani
delle Pianure “nazioni in un certo senso aristocratiche rispetto alle altre,
dal momento che i loro vecchi possedevano qualità rare nel mondo d'oggi e
avevano raggiunto gradi di spiritualità altrettanto rari'' (Brown, 1975:6). Tuttavia, come fa notare Powers (1990), non c'è posto nella
religione lakota per dei medicine men che si pongono al di sopra degli altri,
che si fanno scrivere un libro sulle proprie virtù. Questa è un'idea
tipicamente euroamericana, anche se è stata replicata molte volte da personaggi
come Luther Standing Bear e John Fire Lame Deer: che scrivono per un pubblico di bianchi che sa molto poco degli indiani. I bianchi però non sono più i soli a cercare guida spirituale nei
libri, conformemente alla tradizione giudaico-cristiana: oggi ci sono anche
degli indiani che lo fanno, specialmente quelli più lontani dalla tradizione
orale, che vivono in città e che li trovano «non solo sempre più accettabili,
ma persino desiderabili», perché un indiano, per sopravvivere nel mondo attuale
«deve essere sia bianco che indiano» (Powers, 1990: 149). E dato che il bianco
ha stabilito con ottima prosa e poesia i parametri dell'essere “indiano'', il
giovane nativo Americano pratica una religione che chiama lakota e non si
accorge neppure della differenza. Alleata all'idea primitivista
vi è l'invenzione di un'invalicabile differenza tra indiani ed europei, per
cui, nonostante tutte le politiche di integrazione, gli indiani restano sempre
un po' “primitivi'' e possiedono arcane doti di cura. Fin dal XIX secolo i
“dottori indiani'' apparivano tra i praticanti la medicina dell'elenco di
Washington, DC (Kehoe, 1996:199) e altri se ne trovavano tra i coloni che
andavano abitando il continente, dispensando pozioni di erboristeria,
linimenti, oli erboristeria, e altri prodotti di medicina popolare, anche se
nel XX secolo si sono maggiormente concentrati sull'inquietudine mentale e
l'ansia, in opposizione alla medicina ufficiale, “scientifica'', “fredda'' e
“razionale''. Sono così cominciati ad apparire quelli che un gruppo
indianista austriaco ha chiamato, con fortunata etichetta “medicine men di
plastica”. Molti di loro sono dei personaggi la cui appartenenza culturale è
dubbia, per non parlare della biologia, ma alcuni tra i più noti sono
certamente indiani.
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