di
Sandra Busatta
Per agevolare la lettura, questo articolo di Sandra Busatta, tratto da Hako Magazine, è stato diviso in diverse parti.
Alla prima parte
Alla bibliografia
Si veda anche l'articolo di Flavia Busatta, Sciamani di plastica: Indiani d'America e New Age
Il testo di Perry presenta parecchi problemi: ci sono alcuni errori marchiani.
Appiamo che Capo Seattle non si mosse mai da casa sua, perciò non poteva aver visto massacrare i bisonti, che si trovano a circa 1500 km da dove viveva né averne sentito parlare perché la strage cominciò dopo la sua morte, tra il 1870 e il 1880. Quanto al treno, la prima ferrovia transcontinentale arrivò nel Nordovest solo quindici anni dopo il presunto discorso. Perché poi un indiano, che si spostava solo in canoa, in un'area dove i cavalli sono un impiccio, e mangiava principalmente pesce, alghe, molluschi, mammiferi marini e frutti della foresta, deve piangere animali mai visti e non nomina mai i salmoni o le foche?
Il paesaggio è tutto sbagliato: non ci sono le scoscese montagne coperte da fittissimi e intricate foreste di abeti e thuye gigantesche, che scendono tra i fiordi del Puget Sound, né i vulcani che troneggiano e incombono, Mt. Reinier, Mt. t. Helen, Mt. Hood, né l'Oceano Pacifico, con le spiagge cosparse di tronchi trasportati dalle tempeste e le balene che saltano e soffiano nelle loro migrazioni, ma le grandi pianure dei film western.
E quando nomina le foreste, non si capisce dove possano essere, dato che vi mescola le
"turgide'' colline delle pianure centrali invase dagli hollywoodiani "fili che parlano''.
Quanto al succiacapre, quest'uccello non è nativo della Costa Nordovest e quindi il vecchio capo non poteva lamentarne il silenzio.
Vi sono poi degli elementi che appartengono alla tradizione culturale europea dell'autore Perry: la "trama della vita'' è un'idea che appartiene alla tradizione classica greco-romana, con riferimento alle tre Parche che tessono il destino umano e i continui riferimenti all'uomo che appartiene alla Terra, sono più vicini all'idea biblica di "polvere sei e polvere ritornerai" che al bagaglio culturale di un suquamish, ancorché convertito. L'idea della Madre Terra, poi, è più connessa alla Grande Madre europea che al complesso di spiriti di indigeni che traggono il loro sostentamento dal mare.
Vi sono poi delle importanti differenze di contenuto tra la versione 1 del 1887 e questa. La versione 1 mostra un atteggiamento positivo e amichevole verso gli Americani, come è coerente per uno dei pilastri politici e commerciali indigeni dei coloni, che assicurò contemporaneamente a se stesso la preminenza sulle altre tribù e il passaggio di potere senza scosse tra indiani e Americani. Nella versione 3 del 1972, invece, l'atteggiamento è molto poco amichevole e spesso risentito, come potrebbe esserlo quello di un Cavallo Pazzo o un Toro Seduto. Questi ultimi, da parte loro, avrebbero considerato Capo Seattle un "bighellone dei forti'', un "indiano delle razioni''.
Ma quello che colpisce maggiormente è il totale cambiamento dell'atteggiamento verso la natura.
Mentre nella versione di Smith (e anche in quella di Assowsmith) l'ambiente naturale gioca un ruolo assolutamente secondario, la versione di Perry
"si concentra quasi esclusivamente su temi ambientalisti e mette in rilievo i grandi pericoli che sorgono dal rapporto irresponsabile dell'uomo bianco con il mondo naturale. Così è solo con la versione 3 che il testo adotta un taglio ambientalista definito e che Capo Seattle diventa un ecologista" (Kaiser, 1999:516).
Queste differenze poi culminano nell'atteggiamento verso Dio: è una visione opposta, più vicina alle idee del Destino Manifesto la versione 1 ("Dio ama il tuo popolo e odia il mio"), più consona al
cristianesimo umanitario la versione 3 ("È il Dio dell'uomo e la Sua compassione è uguale per l'uomo rosso e per il bianco").
Anche il testo di Perry, che condivide con i suoi ammiratori gli stereotipi hollywoodiani buonisti post Vietnam, conserva però la visione pessimista da "ultimo dei mohicani'' del testo di Smith.
È questo il testo che, ripubblicato con una prefazione esplicativa dall'autore nel 1989, tutti conoscono: diffuso dalla Società Unita per la Propagazione del Vangelo di Londra, dai giornali ed emittenti radio e TV cattoliche e protestanti, stampato in migliaia di copie come libretto dal Consiglio Mondiale delle Chiese, diffuso dalla stampa underground e ufficiale alternativa e ambientalista come "discorso'' o "lettera'', la versione 3 è diventata "autenticamente indiana'' e di "pubblico dominio'', priva di diritto d'autore, modificata a piacere dai compilatori di testi scolastici, acquisendo, come la creatura del dr. Frankenstein, vita propria.
Kaiser, che è uno spiritualista cristiano con tendenze new age, autore del best seller Dio dorme nella pietra<. Uomo, natura, spirito
divino. La concezione del mondo secondo gli indiani d'America/i> (ed. italiana 1992), giudica la versione 3 di Perry "una prova impressionante di scrittura. Ed è facile vedere come tali parole possano funzionare come un'affermazione mitica o religiosa piuttosto che come documento storico" perché "sembrano toccare un'idea e un sentimento che finora è stato bandito dalla
nostra cultura cristiana occidentale" (Kaiser, 1999:522), l'idea che il sacro e il profano, il mondano e lo spirituale, non siano completamente separati. Questa opinione è ingiusta, dato che il testo scaturisce dalla chiesa battista e ha diffusione attraverso le chiese cristiane e il movimento new age.
Il punto saliente del testo, secondo lui, cioè che ogni cosa e creatura sono spirituali e sacri (il mitakuye oyasin, "tutti i miei parenti'' o "siamo tutti connessi'' in salsa new age), rende questo un testo ecologico impressionante di suo che, anche se
"non rappresenta la mente del vecchio capo, ma quella di un euro-Americano sensibile, preoccupato per la situazione ecologica e il dualismo generale della nostra cultura"
va riconosciuto e apprezzato per le sue qualità (ibidem). D'altronde, neppure il testo del 1887 è sicuramente "autentico'' e, anche se lo fosse, "non sarebbe un'espressione adeguata delle prime voci e degli spiriti del Far West" (Furtwangler,
1997:155).
Molti, invece, si chiedono se continuare a ignorare lo "scherzo da prete'' della versione 3 scritta da un membro del Sierra Club e continuare a divulgarla come il discorso di un capo indiano per sensibilizzare la gente sulle tematiche ambientaliste non sia una frode.
Il Reader's
Digest la chiama "la piccola bugia verde''. Jack Forbes, dell'Università di California a Davis e di ascendenze indiane, tra gli altri, si chiede, da un sito sulle leggende urbane dedicato al discorso di Capo Seattle:
"La cultura nativa americana è continuamente sfruttata e appropriata per illustrare qualsiasi teoria europea sia di moda...
Quando finiranno i furti delle
nostre tradizioni spirituali?"
Anche se la questione del "furto di spiritualità'' è troppo complicata da trattare qui, penso che sostenere un'argomentazione con un falso sia quanto meno controproducente.
Seattle continuò a vivere anche dopo morto, servendo diversi bisogni: quello della città, che fu sempre affezionata al suo Padre Fondatore e lo ha onorato con un monumento in granito a forma di croce (1904), una statua in bronzo (1906) e un busto su un abbeveratoio in ferro battuto (1908, l'abbeveratoio fu poi eliminato insieme a tutti gli altri nel 1926, dato che Seattle ormai aveva solo auto, ma il busto fu risparmiato), oltre a un parco protetto a suo nome.
Serve gli interessi degli indiani della zona, dai protestatari, che fanno giustamente notare che egli non era il capo supremo di suquamish e duwamish, una carica che non esisteva tra gli indiani della zona e che lo chiamano "traditore'' e immagine costruita dai bianchi, e quelli, più lungimiranti, degli indiani che approfittarono delle celebrazioni in suo onore per far ritornare alla luce le danze entrate in clandestinità dopo la proibizione promossa dai bigotti per lottare contro le "oscenità'' e la "barbarie'' indigene. Tra il 1912 e il 1915 molte tribù della zona ricostruirono le grandi case di legno cerimoniali e ripresero a giocare pubblicamente a slahal, un gioco d'azzardo dall'aspetto altamente rituale. Dal 1927 i Chief Seattle Days vennero gestiti in proprio dalla giovane leva dei capi tribali suquamish, di fronte alle autorità cittadine e negli anni 1960 acquisirono un aspetto più ecumenico, lasciando spazio alla riconciliazione tra i discendenti della fazione ostile di capo Kitsap e capo Leschi e degli amichevoli. Negli anni 1970 la rivitalizzazione della cultura indiana, che proprio qui sul Puget Sound aveva avuto un inizio militante con i fish-ins appoggiati anche da Marlon Brando,
portò al riconoscimento della saggezza di Capo Seattle, che aveva permesso ai suoi pronipoti di avere un appiglio legale su cui appoggiare i propri diritti, anche se il popolo di sua madre, i duwamish, attendono ancora il riconoscimento federale e dei diritti di pesca.
È in questo contesto che nasce l'iniziativa di Vi Hilbert, anziana upper skagit ed ex lettrice di lushootseed presso l'Università di Washington (vedi HAKO 11).
Nel
1985 ella tradusse il discorso di Capo eattle, versione Smith, in lushootseed settentrionale (skagit) e pubblicò un articolo all'interno del catalogo della mostra A Time of Gathering in occasione dell'apertura della nuova ala del Burke Museum.
In questa occasione Vi Hilbert, con l'aiuto del curatore Steve Brown, organizzò una commemorazione in cui venne cantata anche la canzone personale e pronunciato un breve discorso di capo Seattle, com'era ricordato dall'anziana suquamish Amelia Snealtum,
"Questo è ciò che Seeahth disse, quando stavano facendo il trattato a Mukilteo.
Quello che disse. Voi gente osservate coloro che fanno cambiamenti giunti in questa terra. E la nostra progenie guarderà e imparerà da loro ora, quelli che verranno dopo di noi, i nostri figli.
Ed essi diventeranno proprio come coloro che fanno cambiamenti qui da noi su questa terra. Gente osservateli bene".
Secondo i ricordi registrati nel 1954 di Ruth Shelton, indiana tulalip, klallam e samish, che visse fino a 103 anni, c'erano molti capi a Mukilteo, dove le tribù si radunarono per circa due settimane per parlare del trattato di Point Elliot. Qui un bianco di nome Simmons, che parlava il gergo chinook, traduceva il discorso in inglese del governatore Stevens e un altro di nome Taylor traduceva dal gergo chinook in lushootseed, con tre aiutanti indiani che traducevano rispettivame#nte in snoqualmee e skagit (due varianti lushootseed) e lummi.
Tutti i capi presenti si dichiararono d'accordo che sarebbe stato un bene per le future generazioni diventare come i bianchi e firmarono il trattato.
Hilbert fa riferimento anche al discorso riportato da Smith nel 1887 (compresa l'aggiunta di Bagley): "Sono passati oltre cento anni da quando la voce di Capo Seealth ha commosso tanto un ascoltatore sensibile da fargli scrivere le parole che gente di molte culture ha apprezzato. Anche se il vocabolario inglese era ignoto a Capo Seattle, il suo lushootseed era eloquente. E Henry Smith comprese davvero la filosofia trasmessa attraverso quel linguaggio espressivo" (Hilbert 1991:262).
Anche se, come fa notare
Christian Feest (1999:613), la "versione del 1887 del discorso di Capo Seattle, un prodotto dell'ideologia Americana del Destino Manifesto, non ha mai fatto veramente presa sull'Europa; la nuova versione ecologica, però, lo ha reso il Santo Seattle dei Verdi e del WWF…"
Nonostante Seattle sia diventato più famoso da morto che da vivo, come Elvis e Marilyn, abbiamo solo un paio di immagini che lo ritraggono: in una, poco nota, egli indossa un cappello e sta in piedi all'interno di un gruppo di indiani alla firma del Trattato Nisqually. L'altra, quella famosa, ha subito anch'essa, come il discorso, ripetuti trapianti: "nell'originale gli occhi erano chiusi, ma nei ritocchi successivi vennero aperti. In alcune versioni il capo porta una canna, ma non sempre e, nella truccatura più revisionista, la sua testa è stata incollata sul corpo di un altro uomo"
(Newsweek 4/5/92).
Capo Seattle ecologista, perciò, risulta paradossalmente sempre più simile a un prodotto biotech, come quell'altro simbolo ambientalista: Iron Eyes Cody, attore, noto come "L'indiano piangente'', per via di un celebre spot TV e di innumerevoli cartelloni autostradali degli anni '70, in cui guarda lacrimando l'immondizia abbandonata. Peccato che fosse siciliano. Ma questa è un'altra storia.
Alla bibliografia
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