19. La teoria delle classi e delle crisi capitalistiche è un altro elemento fondamentale del bordighismo. In proposito, la cosa migliore è proporre un commento di una citazione dello stesso Amadeo Bordiga (cfr. Scritti Scelti, cit., p. 263). Si tratta di una lettera che Bordiga scrisse all'amico di gioventù Umberto Terracini, rivoluzionario storico degli anni Venti e poi parlamentare del PCI fin dal 1946. Questa lettera è del 4 marzo 1969, un anno prima della morte di Bordiga.
Citiamo: "Io attendo, in posizione sempre cocciuta e settaria che, come ho sempre preveduto, entro il 1975 giunga nel mondo la nostra rivoluzione, plurinazionale, monopartitica e monoclassista, ossia soprattutto senza la peggiore muffa interclassista: quella della gioventù così detta studente. Dal canto nostro quando avevamo quei verdi anni abbiamo fatto il meglio che si doveva".
Citazione stupefacente. Essa merita qualche commento.
20. In primo luogo, è bene ricordare il fatto che Bordiga rivendica integralmente il suo impegno comunista. "Per conto nostro quando avevamo quei verdi anni abbiamo fatto il meglio che si doveva". A distanza di mezzo secolo Bordiga rivendica tutto quanto ha fatto, persino sul piano tattico, ed infatti in un punto precedente della lettera scrive che "…Lenin fece una tirata d'orecchi al mio indirizzo, ma non la ho accusata né allora né oggi". Io non posso evitare un moto d'ammirazione leggendo la confessione di questo vecchio rivoluzionario ben vissuto e bene invecchiato, se penso alle grida di Adriano Sofri in favore dei bombardamenti americani e sionisti, al saltabeccare nervoso di Achille Occhetto rimasto senza posto di comando, al ghigno di sufficienza di Massimo D'Alema nel sostenere l'inesistente genocidio del Kosovo del 1999 ed infine allo stratosferico panzone di Giuliano Ferrara che traborda dai televisori. Dopo mezzo secolo Bordiga, ormai vicino alla morte, ha la piena consapevolezza di aver vissuto una vita sensata, del tutto indipendentemente dai conflitti secondari di tipo ideologico e politico.
In secondo luogo, a distanza di un solo anno dal mitico Sessantotto, in opposizione polare a posizioni come quelle di Herbert Marcuse che invece inneggiavano alla "rivoluzione degli studenti", Bordiga parla della "…peggiore muffa interclassista, quella della gioventù così detta studente". Ammetto di avere un pregiudizio positivo, e pertanto una debolezza verso l'estremismo verbale, e sono dunque incline ad ammirare il coraggio espressivo di Bordiga. A distanza di alcuni decenni è assolutamente impossibile negare il carattere modernizzatore del Sessantotto, che credette di stare praticando un rivoluzionarismo comunista da anni Venti mentre in realtà stava favorendo un passaggio del costume dalla fase protoborghese, familistica ed autoritaria, ad una fase ultracapitalistica completamente liberalizzata, la Società Senza Superio di cui opportunamente parlarono alcuni intelligenti psicoanalisti francofortesi. Fatta questa debita premessa storiografica, è bene però rilevare che la teoria della "muffa interclassista" di Bordiga resta una sciocchezza teorica. Alla base ci sta un mito, uno dei miti meno razionali e più mitologici mai esistiti, quello della "rivoluzione classisticamente pura".
In terzo luogo, infatti, è bene riflettere a come Bordiga immagina una rivoluzione classisticamente pura. Facciamo allora attenzione ai tre aggettivi "plurinazionale, monopartitica e monoclassista", perché tutti e tre questi aggettivi non sono messi lì a caso, ma vogliono dire qualcosa. È bene dunque allora analizzarli separatamente.
Primo, la rivoluzione di Bordiga sarà plurinazionale. Può sembrare assolutamente evidente, anche perché Bordiga aveva già scritto a lungo sui cosiddetti "fattori" di razza e di nazione nella teoria marxista. Per Bordiga le nazioni sono certo un fatto storico e non naturale, ma tuttavia esistono e sono un dato imprescindibile. Questa è una posizione classica, e pienamente corretta, che risale a Marx ed alla Seconda Internazionale (cfr. R. Monteleone, Marxismo, Internazionalismo, Questione Nazionale, Loescher, Torino 1982). Vogliamo qui ricordarlo, perché a volte il trotzkismo sembra dimenticarsene, l'operaismo se ne fa un vanto ad ignorarlo ed infine l'ultimo Toni Negri costruisce la sua teoria "imperiale" proprio sul disprezzo esplicito e provocatorio verso la questione nazionale.
Secondo, la rivoluzione comunista di Bordiga sarà monopartitica. Si tratta della concezione originaria dell'Internazionale Comunista del 1919, per cui esisteva un solo partito comunista internazionalista mondiale unificato da un programma (il "programma comunista", appunto), di cui le diverse sezioni nazionali erano solo divisioni secondarie. È questa la grande utopia internazionalista del 1919, estremamente generosa, che si basava però su di un presupposto errato, e cioè l'esportazione del modello eurocentrico unilineare, un modello che il maoismo giustamente corresse, prendendo atto del carattere di sviluppo multilineare della storia mondiale. Occorre capire che la concezione del monopartitismo internazionalista mondiale, che Bordiga difese fino alla morte, è solo la radicalizzazione estremistica di una concezione eurocentrica ed unilineare della storia mondiale, con un solo partito comunista che si "espande" a macchia d'olio nel mondo intero. Nonostante il superficiale folklore indigenista, differenzialista e pluralista, si tratta di una concezione comune a molti pensatori no-global di oggi, che si collocano al centro di una rete mondiale di Internet rigorosamente monolinguistica (chi non conosce l'inglese non esiste), rete che ha simbolicamente sostituito la vecchia funzione unificatrice del partito, e che dettano al mondo intero le regole della civiltà imparate a Toronto, a New York ed a Londra. Su questo la canadese Naomi Klein è assolutamente impagabile.
Terzo, la rivoluzione comunista di Bordiga sarà monoclassista. Monoclassista significa, ovviamente, che sarà una rivoluzione esclusiva della classe operaia e proletaria mondiale, senza muffa interclassista, senza studenti, impiegati, contadini, artigiani, ceti medi, eccetera eccetera. Al massimo, si potrà concedere un allargamento al cosiddetto lavoro produttivo sociale generale (cfr. P. Garbero, Lavoro produttivo e lavoro improduttivo, Loescher, Torino 1980). Qui Bordiga accetta integralmente la l'equazione di Marx fra classe operaia e classe proletaria. In proposito, io ritengo invece che fra i due concetti vi sia in realtà asimmetricità, perché la classe operaia è una classe economico-sociologica, cioè l'insieme dei salariati cui viene estorto il plusvalore assoluto e relativo attraverso lo scambio ineguale fra lavoro e capitale, mentre la classe proletaria è una classe storico-filosofica, e cioè l'insieme di coloro che hanno solo da perdere le proprie catene, hanno un mondo da guadagnare ed una missione storico-universale da compiere, la redenzione dell'intera umanità. So bene che questa mia distinzione fra classe sociologica dei salariati e classe filosofica dei proletariati sembrerà ai bordighisti (e non solo a loro, purtroppo) un miserabile sofisma piccolo-borghese, ma le cose stanno egualmente così. La centralità della classe dei salariati dà luogo ad una problematica economica (e per di più molto più neoricardiana che marxista), mentre la centralità della categoria dei proletari dà luogo ad una problematica filosofica, il ruolo emancipativo e messianico di un unico soggetto storico risolutivo. Del resto, la centralità metodologica della classe dei salariati dà luogo ad un modello economicistico, in cui la teoria del valore diventa il nucleo illuminato della totalità dei rapporti sociali di produzione, mentre la centralità metodologica della classe dei proletari dà luogo ad un modello metafisico di Grande Narrazione, che a suo tempo Lyotard criticò in modo sostanzialmente corretto. La Grande Riduzione economicistica e la Grande Narrazione storicistica sono solo i due lati convergenti di un unico modello da abbandonare.
E su questo mille urla sprezzanti di dogmatici che denunciano i piccoli borghesi miserabili e scettici che vorrebbero "revisionare" il marxismo, questa dottrina fusa in un solo blocco, non fanno che rimandare la resa dei conti con le vecchie forme ideologiche obsolete. Queste urla, comiche quando si è di buon umore, fastidiose quando si è di cattivo umore, sono comunque sempre una manifestazione di decadenza storica e di impotenza e di sterilità teorica.